LETTERA APERTA A UN GIORNALE DELLA SERA CINQUANT’ANNI DOPO

Un appello alla politica per salvare la rai rilanciandone la missione di servizio pubblico

Giacomo Mazzone
Direttore responsabile di Democrazia futura

Finito Sanremo con tutto il suo bagaglio di polemiche (la maggiorparte inutili, qualcuna di grandissimo rilievo –ad esempio quella sui data- ma la cui portata non è stata percepita), forse la politica troverà finalmente il tempo di occuparsi del Contratto di Servizio della Rai. Un contratto che la politica sembra considerare un inutile orpello, come ne dimostra la storia, visto che le scadenze previste sovente non sono state rispettate.

Basta dare un’occhiata al calendario.

Il primo Contratto di Servizio con durata triennale, è del 1997, cui ne seguirono altri due (2000-2002 e 2003-2005) di pari durata. Già il quarto venne varato con due anni di ritardo, nel 2007 anziché nel 2005.

Il seguente (2010-2012) ebbe miglior sorte e rispettò la durata triennale, mentre quello successivo, cominciò sì puntuale nel 2013, ma anziché finire nel 2015, venne prolungato fino al 2018. Si decise quindi di passare ad una durata quinquennale, nella speranza che questo allungamento dei tempi potesse tradursi in un migliore rispetto delle scadenze.

Ma anche questo cambiamento dell’arco temporale non si è tradotto in un miglioramento della tempistica.

Tant’è che la scadenza prevista per fine 2022 è stata già prorogata per decreto a settembre 2023. Per cui il nuovo dovrebbe avere vigenza da settembre 2023 ad agosto 2028… ma il condizionale è d’obbligo, visti i trascorsi.

Non è una tendenza di destra, sinistra o centro, visto che i ritardi si sono accumulati sotto governi di diverso colore (l’ultimo con Paolo Gentiloni, ora con Giorgia Meloni). Qualcuno minimizza questi ritardi, visto che, in assenza del contratto nuovo, resta in vigenza quello precedente. Se questa proroga può bastare dal punto di vista amministrativo, di certo non soddisfa chi invece considera che il Contratto di Servizio sia una cosa molto seria, anzi uno dei pochi strumenti a disposizione del governo e della società per governare il cambiamento del Paese.

Un’idea che evidentemente non è condivisa dalla classe politica, che ha rinunciato a rinnovare (e quindi ad usare) questo strumento per quattro degli ultimi dieci anni. In un periodo in cui il mercato pubblicitario si è spostato dalla carta stampata e dalla radio-tv verso l’on-line, in cui il 20 per cento della popolazione ha smesso di seguire la televisione lineare, in cui il divario digitale aumenta a dismisura fra classi, fra zone geografiche del paese e perfino fra fasce di età.

Alla disattenzione per le scadenze, si accompagna quella sugli strumenti di regolazione del sistema.

Il fatto che a distanza di sei mesi dal voto ancora non si sia insediata la Commissione Bicamerale di Vigilanza (che ha un ruolo primario nella procedura di discussione ed approvazione del Contratto di Servizio) e che si sia stati mesi a discutere sull’ampliamento del numero dei suoi componenti da 40 a 42 per soddisfare il bilancino della ripartizione fra tutti i partiti, (quando siamo entrati nella prima legislatura che sconta un taglio del 30 per cento dei parlamentari) sono entrambi segnali negativi che evidenziano la scarsa attenzione prestata a questa vicenda.

Le incertezze sulle risorse che verranno assegnate alla Rai dopo le dichiarazioni di Giorgetti sull’abbandono del canone dalla bolletta elettrica e il loro impatto sul Contratto di Servizio

Se il Parlamento di questa nuova legislatura è quantomeno negligente, certo il governo non lo è da meno. Quando il neo-ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti dichiarava l’8 febbraio ad una manifestazione elettorale in vista delle elezioni regionali, che il 2023 sarà l’ultimo anno in cui il canone sarà nella bolletta elettrica, si sarà prima ricordato di avvertire il suo collega Adolfo Urso, titolare del Ministero delle Imprese e del Made in Italy (l’ex Ministero dello Sviluppo Economico – MISE) incaricato di negoziare con la Rai il testo del nuovo contratto?

Oppure il Governo ritiene che questo argomento non abbia un impatto sul Contratto di Servizio? e che quindi si continueranno a scrivere contratti come quelli precedenti, simili a libri dei sogni, in cui agli annunci roboanti (canale in lingua inglese, canale parlamentare, transizione digitale, eccetera) non seguiranno mai i fatti, perché non sono mai state assegnate alla RAI le risorse necessarie per attuare questi progetti?

Di fronte a tanta negligenza da parte delle istituzioni ci si potrebbe aspettare un raddoppiato attivismo sul fronte interno Rai, che di questo contratto di servizio ha bisogno come il pane per puntellare le scelte di cambiamento che sta portanto avanti (piano industriale, riorganizzazione per generi, trasformazione digitale) … Ed invece anche su questo fronte si gioca di rimessa. Il gruppo di lavoro interno sul Contratto di Servizio è in standby e nessuna discussione con gli stakeholder è stata avviata.

L’ultimo segnale pubblico fu la presenza della RAI ad un dibattito promosso dal sindacato dei giornalisti USIGRAI e dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI) del luglio 2022 ospitato dal CNEL che mirava a rilanciare il dibattito pubblico intorno alla missione Rai, a partire proprio dal nuovo Contratto.

Poi arrivarono le dimissioni di Mario Draghi, le elezioni politiche anticipate, il nuovo governo di Giorgia Meloni e tutto svanì in una bolla di sapone.

A distanza di sette mesi da quell’appuntamento un nuovo sasso nello stagno dell’immobilismo viene lanciato con un appello ancora una volta proveniente dalla società civile e sottoscritto dall’USIGRAI, aperto alla sottoscrizione di tutti gli stakeholder interessati.

Un appello alla cui stesura hanno contribuito anche Infocivica (che è l’editore attuale di Democrazia Futura), l’Associazione Italiana di Comunicazione Pubblica ed Eurovisioni, e che trovate qui di seguito.

A questo appello va tutto l’augurio mio personale e quello di Democrazia Futura che riesca infine a “bucare” la cortina di silenzio che circonda questa vicenda e che venga finalmente ascoltato2.

Appello della società civile e delle professioni sul Contratto di Servizio Rai

Il Contratto di Servizio tra la RAI e il Governo definisce l’attività che la Società concessionaria svolge ai fini del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale.

È il documento che sancisce gli obblighi del servizio pubblico della comunicazione, la cui scadenza era prevista a marzo 2023 ed è stata già prorogata al settembre prossimo.

La scadenza ha subìto rinvii per il mancato insediamento della Commissione parlamentare di vigilanza sulla RAI in questa legislatura, ma il confronto tra il Ministero competente e la RAI per il rinnovo (sulla base di linee guida emesse dall’AGCOM) è già iniziato, senza che molto se ne sappia e senza che nulla sia stato portato all’attenzione dell’opinione pubblica, anche specialistica.

Per questa ragione, le Associazioni della società civile e professionali e i soggetti che promuovono e sottoscrivono questo appello ritengono che il nuovo Contratto di Servizio RAI debba essere portato all’attenzione dei cittadini e che diventi oggetto di dibattito e confronto trasparente tra i diversi operatori (sociali, professionali, tecnologici) che siano interessati a renderlo non solo uno strumento di orientamento dell’azienda, ma un indispensabile strumento di servizio pubblico nella trasformazione digitale nel nostro Paese.

Infatti, il passaggio epocale in corso nel mondo della comunicazione, con l’ingresso impetuoso della Intelligenza Artificiale nella già tumultuosa rivoluzione o trasformazione digitale, impone al Paese di dotarsi di un moderno soggetto di comunicazione, informazione, coesione sociale, stimolo culturale e educativo, che sia al passo con i tempi e possa agire dando la massima produttività alle risorse investite.

I soggetti firmatari chiedono dunque:

Trasparenza dei processi decisionali, attenzione dei media e avvio di un serio dibattito pubblico sul rinnovo del Contratto di Servizio, in modo che questo superi le passate routine e porti la RAI a un sollecito rinnovamento, estendendo, il più possibile, il suo sguardo e la sua offerta alle giovani generazioni.

Il presupposto di “servizio pubblico” per la RAI divenga assolutamente prioritario, pur restando l’azienda una realtà che opera sul mercato della comunicazione digitale a tutto campo, passando dal concetto di “media digital company” a quello di “media digital company di servizio pubblico”.

Alla rilevanza dei compiti affidati alla concessionaria corrisponda, contrattualmente, una valutazione, altrettanto seria ed oggettiva, di tutti i contributi pubblici necessari ad attuarli, anche attraverso l’individuazione di strumenti di misurazione e operativi che consentano la verifica, reciproca, della loro realizzazione.


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