SIAMO QUELLO CHE SAPPIAMO, SIAMO QUELLO CHE FACCIAMO

Ottant’anni sono trascorsi da quando venni al mondo. Era il tempo della guerra. La seconda dell’altro secolo. Poi venne il tempo della pace, e arrivò il miracolo economico, così lo chiamarono, per me era la televisione in camera da pranzo e una automobile parcheggiata davanti al portone di casa. Ma soprattutto era sognare. E io sognavo di diventare uno scrittore, di fare il cinema. Lasciai la scuola e cominciai a leggere, leggere e scrivere.
In quel sogno c’erano tutti, Bakunin e RobbeGrillet, Antonioni e Trosky e scrivevo, scrivevo. La cultura per me era Jean-Paul Sartre e la politica era fare la rivoluzione.
Erano i primi anni Sessanta e per 18 mesi vestii i panni dell’esercito.

“Hai fatto domanda per il concorso alla Rai?” mi disse una sera un amico. La mattina dopo ero in via del Babuino 9 per riempire il modulo di ammissione e qualche settimana più tardi partecipavo, con altri 400 candidati, all’esame. Avevano tutti almeno una laurea e allora io, autodidatta con un diploma da geometra, mi presentai alla commissione con un pacco dei miei articoli.

E fu così che conquistai una scrivania in Via Teulada, il calendario segnava 1 Marzo1966, e intanto mi ero sposato con Anna Maria. Sentivo di avere le carte in regola: il posto fisso, una famiglia, e una gran voglia di lavorare. E poi nasceva Alessia.

Era il vero inizio di quella meravigliosa avventura che si chiama vita e che a volte si può declinare al plurale.

Diciamo che era iniziata la mia prima vita. Quella del televisionista.

Vennero gli anni della contestazione. La rivolta studentesca del ’68 fece emergere un fenomeno nuovo: un pezzo della società, in particolare i giovani e le donne, manifestavano un dissenso che, partendo dalla scuola e dalla famiglia, metteva in discussione valori e stili di vita che fino a quel momento erano apparsi come certezze in un Paese cresciuto più di quanto la sua stessa classe dirigente poteva immaginare. Nei palazzi del potere si facevano alchimie politiche mentre nei cinema furoreggiava Edvige Fenech e il pubblico faceva il tifo per le star di “Canzonissima”. In quella frattura il ribellismo giovanile diventò il terreno di coltura in cui germogliarono i semi di una malapianta, il terrorismo.

Il delitto Moro segna l’inizio del declino della Democrazia Cristiana e con essa del sistema dei partiti che hanno fondato la Repubblica. Di fronte a questo drammatico evento la politica fu incapace di reagire, mentre, in larghi strati dell’opinione pubblica, si faceva strada il convincimento che i partiti erano diventati delle oligarchie sempre più distanti dal Paese reale. Si sentiva la necessità di un rinnovamento e questo mi spinse a mettere più energie nel mio impegno politico fino alla partecipazione alla competizione elettorale per il rinnovo del Parlamento.

Era l’inizio degli anni ’80 e comincia la mia seconda vita: quella di deputato della Repubblica. E dell’amore di Fabrizia.

Bettino Craxi, leader dei socialisti e capo del governo, aveva aperto una stagione di profondo rinnovamento. Io e Fabrizia non potevamo mancare a questo appuntamento: ci buttammo a capofitto nella nuova stagione politica. Ma mentre Craxi dava battaglia sul fronte della scala mobile contro il conservatorismo sindacale o a Sigonella rivendicava l’autonomia della politica estera italiana, non c’era nulla nella vecchia organizzazione del partito socialista che riusciva a registrare il nuovo. C’erano tutte le ragioni di una battaglia delle idee, fondai il Club Rosselli e Fabrizia una casa editrice “la nuova edizione del gallo”, coltivando l’ambizione di spingere i socialisti ad andare oltre se stessi, verso nuove esperienze. Sentivamo che la gente non ne poteva più dei partiti come erano, la risposta doveva essere la “grande riforma” delle istituzioni e dei partiti. Poi a Berlino cade il muro e si dissolve lo stato sovietico e il comunismo. Poteva essere l’occasione storica per cambiare tutto. Ma non fu così.

Finita l’esperienza di deputato, tornai al mio lavoro in azienda, prima alla Sipra poi alla direzione di Raidue: fu l’occasione per realizzare un originale progetto editoriale, lo chiamai fiction e informazione. Volevo fare una televisione capace di usare la sua forza per raccontare il mondo, ma anche per interpretarlo, una televisione capace di fare cultura in quanto capace di armonizzare generi e prodotti, una televisione che non aveva bisogno di santoni, né di imbonitori, ma di manager con la patente, come aveva scritto Popper. Lo incontrai a Rimini in un meeting internazionale e mi piacque dimostrare che io la patente l’avevo presa.

Ho vissuto l’epoca del monopolio della RAI e quella della concorrenza della tv commerciale, ho visto nascere il satellite e il digitale, siamo passati dalla prima repubblica a una seconda mai nata, ho maturato idee nuove e diverse ma di una cosa sono sicuro: oggi più di ieri c’è bisogno di una produzione culturale capace di registrare il nuovo e conforme alla funzione di servizio ai cittadini. E ho scritto un libro, anzi due, uno sulla politica e uno sulla televisione. Avevo capito, dal concorso alla RAI agli esami da giornalista, dalla esperienza parlamentare a quella di manager, che “siamo quello che sappiamo”. La cultura è il patrimonio che ho cercato di trasferire a mio figlio Gabriele.

Ora ci troviamo a un tornante della storia che ci obbliga a cambiare abitudini, modo di consumare, stile di vita. Siamo in piena rivoluzione digitale, una fase di transizione.

Il nuovo millennio mi ha trovato che facevo l’olio: è la terza vita, quella del mastro oleario.

La famiglia si è molto allargata: Alessia ha messo al mondo tre belle ragazze e una di queste ne ha fatte nascere altre due. E intanto mio fratello è diventato nonno di quattro nipoti, figli dei suoi due figli. Mi sono tornati alla mente i versi di Nazim Hikmet: La vita non è uno scherzo/Prendila sul serio/come fa lo scoiattolo, ad esempio/ Prendila sul serio / ma sul serio a tal punto/ che a settant’anni, ad esempio, pianterai degli ulivi/non perché restino ai tuoi figli/ma perché non crederai alla morte/pur temendola/e la vita peserà di più sulla bilancia”.

Sarà per questo che i miei ottant’anni mi sembrano belli, e guardo avanti, alla vita che verrà, quando quegli ultimi olivi che ho piantato saranno grandi. La scoperta che l’innamoramento è un’emozione, volatile come un profumo che dura il tempo di un fiore, mentre l’amore è un sentimento che per durare ha bisogno di molte cure, come un albero da frutto.

Arriva sempre il tempo del raccolto, il momento di fare il bilancio. Ho fatto il tratto più lungo della mia vita correndo senza soste. Ma sono fortunato perché ho potuto decidere quando e come uscire dalla gara. Ai margini del campo ho il tempo di riflettere. Un tempo breve ma utile ha capire che è necessario un rinnovato impegno: la crisi culturale e politica non consente pause. Questo tempo l’ho chiamato ilmondonuovo.club un magazine digitale con scrittori, amici e volontari, per fare qualcosa utile.
E Fabrizia ha riaperto la sua casa editrice Heraion Creative Space per pubblicare libri ed ebook che parlano di krisis e kairos. Da una vita a un’altra, per fare un nuovo raccolto. Questa volta ci accompagnano Massimo e Matilde, i figli di Marta e Gabriele, i nostri piccoli nipoti.

Tutti insieme abbiamo fatto un bel tratto di strada piena di politica e televisione, di cultura e giornali, di olio e di gioia di vivere. E abbiamo scritto un libro “Come condire un convivio con l’olio e vivere felici”. Perché siamo quello che facciamo.

E con questa esperienza affrontiamo la nuova avventura, la quarta vita.

È evidente che sarà più breve delle altre, ma proprio per questo ce la metteremo tutta, lavorando e pensando, perché solo chi pensa può cambiare le cose. E se saremo capaci di fare le cose giuste, potremmo lasciare a chi viene dopo di noi qualcosa di utile per migliorare il mondo. Di una cosa siamo certi: ci vuole una politica di civiltà che riporti umanità e convivialità nelle nostre esistenze, una politica di riconoscimento della piena umanità dell’altro, una politica umanista. E per questo c’è bisogno di uomini nuovi, di nuovi pensieri e soprattutto di nuove idee.


SEGNALIAMO


Commenti

3 risposte a “SIAMO QUELLO CHE SAPPIAMO, SIAMO QUELLO CHE FACCIAMO”

  1. Avatar Ettore Vitale
    Ettore Vitale

    caro Giampaolo, bella frase “siamo quello che sappiamo”, molto attuale, aggiungo
    “e che sappiamo comunicare”
    un abbraccio a te e Fabrizia, Ettore Vitale

  2. Avatar Nicla Claves
    Nicla Claves

    Maestro, sempre più grande. Non dimenticherò mai quello che ho imparato da te e ancora mi accompagna. Con affettonicla

  3. Avatar gianpiero ricci
    gianpiero ricci

    Per dirla con te :”…solo chi pensa può cambiare le cose. “