SÌ, SONO PROPRIO IO, MATTEO MESSINA DENARO

Strano paese il nostro: il funerale della Lollobrigida ha coinvolto emotivamente più della cattura del super latitante Matteo Messina Denaro (d’ora in poi: MMD).

Nel primo caso urla di contestazione dalla folla verso i parenti della defunta, considerati lestofanti e “profittatori”, nel secondo il silenzioso défilé di un impassibile signore in coordinato di montone (qualche volta le manette sarebbero utili per comunicare che nel gruppo filmato c’è anche un “mostro”).

Il marito, il figlio, il nipote e il “figlioccio” dell’attrice (forse nella sua affettività qualcosa non funzionava) apparivano più criminali del boss dei boss.

Subito dopo l’arresto e dopo trent’anni di indagini riservate, sono cominciate quelle “pubbliche”.
Ogni servizio giornalistico cominciava correttamente con un rapido curriculum di MMD (pluriomicida, stragista, ecc.) per virare rapidamente sul suo guardaroba griffato, sullo stato di salute, sul successo con le donne.

In mezzo ad un diluvio di medici indagati, siamo diventati tutti esperti del tumore al colon.

Abbiamo conosciuto la sua frenesia immobiliare: capisco che un fuggitivo deve far perdere le sue tracce ma trovo che sia più facile non farsi notare se eviti di traslocare a un centinaio di metri dal nascondiglio precedente.

Certo è una bella comodità con le fidanzate: quando ti vengono a noia scompari da un passaggio segreto. Vallo poi a cercare!
Quello che sembra probabile è che le nostre forze di polizia abbiano saputo -grazie alle proprie indagini- delle sue condizioni di salute e abbiano ragionato, correttamente, che uno in quello stato tende a ripararsi e a curarsi in luoghi conosciuti, dove sai muoverti e puoi contare su vecchie amicizie. E comunque vicino ai tuoi affetti, in caso di estremi saluti.

Si è sempre saputo come i padrini trascorressero la loro latitanza vicino a casa, diciamo in Sicilia, per  mantenere il controllo diretto sulle loro attività.

Il problema non è mai stato la fuga. Ovunque nel mondo ci sono degli “affiliati” pronti a darti assistenza. La necessità era però rimanere padroni del proprio business, prima che a qualche altra “famiglia” venisse l’idea di sostituirti.

Il prezzo da pagare era altissimo. Per “scomparire” sotto gli occhi di tutti, dovevi vivere in una clandestinità animalesca: tuguri e grotte, nessun confort, “pizzini” invece di una telefonata, l’assistenza sanitaria di qualche medico ubriacone, radiato dall’Ordine. Praticamente nessuna differenza da un pastore nomade (a parte i miliardi posseduti).

Molto è cambiato, evidentemente.

MMD non ha fatto plastiche facciali (è solo invecchiato), si muoveva con disinvoltura. Pur sotto falsa identità, trattava direttamente con i fornitori. Circondato da telefonini, gioielli, generi di conforto.

Probabilmente si tratta della rassegnazione fatalistica di un malato terminale, che è finalmente pronto a barattare il mito della sua inafferrabilita’, ubiquità, mimetismo, con l’invidiabile lusso di una chemioterapia privata, nella cella di fronte.
Di tutta la vicenda, l’aspetto che più affascina l’opinione pubblica è come si faccia a vivere in clandestinità per trent’anni, mentre tutto il mondo ti da’ la caccia.

Pensate che per la mia generazione era già stato uno shock la volontaria e ferrea “assenza” di Mina dalle scene.
Lo capisco! Viviamo nell’epoca dell’apparire, del protagonismo social.
Ti chiedi come fa un uomo famoso e ricchissimo a resistere all’esibizionismo, alla vanità soprattutto quella “negativa” e demoniaca.

In questo mondo bacato è infatti il cattivo a diventare l’eroe, l’orco ripugnante e MMD -ricordiamolo sempre-  è stato una belva e tra le belve il più bestiale.


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