di Gaia Bertotti
Intervista a Carmine Fotia, autore del libro “Scusaci Bettino” (edito Heraion Creative Space, 2025)

GB: Quest’anno ricorrono i 25 anni della scomparsa di Bettino Craxi, cosa l’ha spinta a scrivere un libro sul leader socialista, figura politica ancora molto discussa?
CF: Ho incontrato Craxi per l’ultima volta nell’ottobre del 1999 ad Hammamet perché dovevo fargli un’intervista per Telemontecarlo che fu la sua ultima intervista televisiva. Era già debilitato da un febbrone, dopo qualche giorno fu ricoverato in ospedale, dove poi morì nel gennaio del 2000. Dopo la sua morte, questa intervista di quest’uomo più fragile di quello che avevo conosciuto, mi tornava in mente ad ogni anniversario. Era fragile ma ancora determinato nel riaffermare le sue idee di fondo. Mi disse: “La mia vita è la libertà. Io non torno in Italia se non da uomo libero. La mia vita è stata la politica. Io sono nato nella politica”. Nei suoi discorsi poi c’è quella cosa che reputo molto importante, forse il più importante testamento politico, il più attuale testamento politico di Craxi, che riguarda il fatto che senza la politica la democrazia muore. Non esiste democrazia senza la politica, una politica forte, una classe dirigente, dei partiti strutturati e organizzati. Poi, i partiti hanno fatto male, figuriamoci, ma senza partiti non c’è democrazia, e di questo Craxi era convinto.
GB: Perché questo titolo, “Scusaci Bettino”?
CF: Intanto perché la sua storia è spesso raccontata unicamente attraverso il paradigma giudiziario, e la sua figura è stata usata come capro espiatorio del finanziamento illecito dei partiti che riguardava tutto il sistema politico. La mia domanda, a venticinque anni dalla morte di Craxi, e per questo ho voluto fare un titolo così provocatorio, non è “che cosa abbiamo fatto”, ma “perché non abbiamo riconosciuto allora le sue ragioni”, che non erano quelle di un personaggio qualunque, ma di un personaggio che aveva avviato, con il dibattito su Proudhon, una riflessione sulla natura della stessa socialdemocrazia, sul legame del socialismo riformista con il socialismo liberale, proponendo una visione nuova che nella sinistra italiana non c’era mai stata, non subalterna al Pci e non subalterna alla Dc.