SAN REMO

L’intensità del piacere è inversamente proporzionale alla sua durata. La seconda fetta della torta non commuove come la prima, la terza e’già quasi una delusione.
Benvenuti al Festival di Sanremo: cinque serate, 25 ore, più le anteprime e il dopofestival. 28 cantanti in gara più una cinquantina tra ospiti e il venerdì delle cover.
La prima sera, all’una e trenta, Fiorello era talmente spossato dalle canzoni e dall’attesa da faticare a carburare e cominciare la sua parte di spettacolo. È vero che si può cambiare canale ma è vero solo sulla carta.
Ho visto uno spot di Netflix che pubblicizzava programmi dei prossimi giorni con la ironica precisazione: “naturalmente non in questa settimana”.
Sanremo è ormai una “istituzione”: autorevole, conosciuta in tutto il mondo, di successo chiunque la conduca.
Sul suo successo è inutile insistere: la serata di apertura ha ottenuto il 62% dell’ascolto pari a più di dieci milioni di spettatori.
Questo lo sa anche Zelensky, anche se è stato Bruno Vespa a suggerirgli il videomessaggio. È corretto dire che buona parte della vita e del business musicale italiano dipende da quanto accade quella settimana intorno al teatro Ariston.
L’attrattiva dell’avvenimento dipende molto anche dagli “scandali” annunciati e da quelli imprevisti (molto più eccitanti).A volte è difficile cogliere la differenza.
La devastazione del palco da parte di Blanco -che massacra gli addobbi floreali (mai così folti) e compie quindi, nella città dei fiori, un atto sacrilego- è troppo ben pensata per essere la reazione spontanea ai difetti della acustica.
Ma lo scandalo che conta è, come sempre, quello politico.
Questo era l’ultimo festival del vecchio mondo, dell’era precedente, “del prima”. In attesa che cambi tutto il quadro dirigente della Rai e quindi, a cascata, gli organizzatori, i presentatori e gli ospiti del festival, Salvini ci ha anticipato il futuro.
A lui l’unica cosa che è piaciuta è stato il terzetto Al Bano, Morandi, Ranieri che si sono reciprocamente omaggiati, ripercorrendo le loro carriere. Avvertenza: Salvini non dice mai quello che pensa, dice quello che pensa pensino i suoi elettori. E a una settimana dalle elezioni quel siparietto nostalgico, affettuoso, tradizionale gli è apparso “identitario”.
Il concetto quindi sarà: la manifestazione si occupi solo di canzonette.
Ma attenzione! L’attuale trasmissione non è banalmente e riduttivamente di sinistra. È “politicamente corretta” che è tutto un altro mondo. Correttezza che pur apparendo un atto politico è sostanzialmente un fatto estetico.
Avete presente il “buonismo” di veltroniana memoria? A seconda degli anni, i monologhi sono stati sugli immigrati, la violenza contro le donne, gli incidenti sul lavoro, il razzismo, l’integrazione dei “diversamente abili” e, in generale, su tutte le emergenze che ci circondano. Viste però come un tutto organico, semplice e facilmente risolvibile. Drammi su cui è possibile attivare il comune sentire di un popolo unito, solidale e partecipe. In quelle cinque serate si ricreava quella che una volta era l’atmosfera delle riunioni di famiglia, della parrocchia, della sezione di partito, del centro sportivo, della sala da ballo, del circolo della canasta.

Come tutti i mondi fatati, ci mancherà.


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