Ricetta Rissoles di Maître Chiquart: un piatto di confine

Nel loro testo letterario, le ricette ci raccontano tante cose. In questo caso, tutto ci parla di confini. Di confine è l’epoca in cui è stata scritta, il 1420, alla fine del Medioevo. Di confine è la terra in cui è stata preparata, il ducato di Savoia, a metà tra le influenze ancora arabeggianti della cucina italiana e quelle nordiche. Di confine è il sapore; in una preparazione di stampo medievale, irrompe prepotentemente il Rinascimento. Leggiamo la ricetta:

Ricetta delle Rissoles

E poi serviamo delle Rissoles. Per far meglio comprendere a chi le preparerà, secondo la voluta quantità, bisogna che prenda della carne di maiale fresca, e deve tagliarla in pezzi belli e puliti. Mettetela a cuocere e salatela. Quando sarà cotta, disponetela su un bel tavolo pulito. Levate la cotenna, disossatela e tagliatela minutamente. Fate in modo di procurarvi dei fichi secchi, delle prugne, dei datteri, dei pinoli e dell’uva candita. Levate i peduncoli ai chicchi d’uva. Pulite i pinoli dai resti di scaglie e fate in modo che tutte le cose siano più che pulite. Lavate bene tutti questi frutti per due o tre volte con del buon vino bianco e sgocciolatele su dei bei taglieri puliti. Tagliate fichi, prugne e datteri in dadini minuti e mescolateli alla farcia di carne. Ora procuratevi il miglior formaggio che si può fare. Prendete del prezzemolo in grande quantità, selezionate le foglie più belle, lavatele e tagliatele finemente e mescolatele al formaggio. Poi mescolate tutto alla farcia di carne e frutta secca con delle uova. Ora prendete le vostre spezie: zenzero, pepe di Guinea, ma non molto, zafferano, e zucchero in grande quantità. Ora affidate la vostra farcia al vostro Pasticciere.

È bene che egli abbia curato di fare delle belle sfoglie di pasta per fare le dorature che ricopriranno i ripieni. Quando saranno preparati il Pasticciere ve li riporterà e bisogna che voi siate provvisti di buona sugna per friggerli. Quando saranno pronti mettete su ogni pezzo una foglia d’oro. Quando sarà il momento di servire ordinate tutto in un bel piatto e versate sopra dello zucchero.

L’autore di questa ricetta è Mastro Chiquart, capo delle cucine del Duca Amedeo VIII di Savoia, e proviene dal suo testo “Della Cucina”, scritto nel 1420.

Cosa ci racconta questa ricetta?

Partiamo dal nome Rissoles, che deriva dal latino e richiama il colore rossastro, che assume il preparato durante la frittura. Oggi li chiameremmo Panzarotti. È impressionante l’attenzione che Chiquart pone alle diverse fasi della preparazione di un semplice panzarotto. Tutto viene ordinato su tavole o taglieri di cui si richiama continuamente la pulizia. A una carne di maiale tritata dopo la cottura, tipica della cucina nord europea, viene aggiunto un sapore agrodolce fatto di frutta secca, ben immersa nel vino bianco che conferisce al preparato una certa quota di acidità. Non manca l’influenza araba del dattero. Poi si aggiungono spezie rare e preziose, secondo la tradizione medievale dell’ostentazione della ricchezza. Ma, ad un certo punto, entra in gioco un’assoluta novità: il formaggio morbido, insaporito con molto prezzemolo. La presenza del formaggio non solo come grattugiata finale sui cibi, ma come protagonista con molte sfumature di sapore è una delle caratteristiche nuove della cucina rinascimentale. Fin qui la farcia, ma Chiquard ci spiega la separazione dei compiti tra cucinieri che preparano la farcia e pasticcieri che realizzano l’involucro di pasta. Nelle mani del pasticcere c’è una fase delicatissima. La pasta deve essere stesa sottile (belle sfoglie). Una pasta troppo spessa sarebbe troppo dominante sul contenuto. Qui torna un pensiero al Sambusak, tipico involucro fritto della cucina araba, che oggi si fa con la pasta Filo. Il Pasticciere poi riporta ai cuochi i panzarotti ripieni per la definitiva frittura. Un piatto di confine dunque queste Rissoles, tra nord e sud e tra Medioevo e Rinascimento. Come molti piatti del suo libro.

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Cuisine Philosophale. Ricostruzione immaginaria di Fabrizio Mangoni

Quando il Duca Amedeo VIII ordinò a Chiquart di scrivere il suo ricettario, il cuoco confessa di non aver mai letto altri documenti di cucina. Quindi, per quanto qualche ricetta assomigli a quelle dei manuali francesi di qualche decennio prima, il tutto è in gran parte farina del suo sacco e frutto di esperienze pratiche. Per la prima volta non ci troviamo di fronte a fogli manoscritti di ricette, mescolati ad altri manoscritti di vario argomento. Il “Della Cucina” di Chiquart è un ricettario completo.  Chiquart non pensa di scrivere un qualunque testo di ricette, vuole consegnare ai posteri una sorta di Vangelo, a partire dalla sorprendente introduzione. Si rivolge niente di meno che a Gesù, scrivendo:

“Gesù, poiché la memoria degli uomini è fallace e trasforma spesso la realtà delle cose, è per questo che i saggi, gli antichi e i profeti, hanno fedelmente consegnato per iscritto i fatti che lo spirito umano non può raccogliere. Così, quel che segue avrà dimora nel presente per i contemporanei, e nel futuro per i loro discendenti.”    

L’escamotage narrativo del ricettario è altrettanto stupefacente. Le ricette sono ordinate secondo il menu di un banchetto principesco che dura ben tre giorni. Dichiara che il banchetto è offerto dal duca Amedeo in onore del Duca di Borgogna nel 1400. Il duca era uno degli uomini più potenti della sua epoca, solo che non andò mai in Savoia in quella data, e forse ci passò solo tre anni dopo. Perché questa piccola bugia? Ma poi quella la bugia più grande, che trasforma il ricettario in un vero racconto immaginario. Chiquart elenca in successione i commensali: Re e Regine, principi e principesse, duchi e duchesse, e così attraversando tutta la scala della nobiltà, fino ai religiosi. Altro che realtà da tramandare, qui siamo di fronte a pura fantasia narrativa. Che si estende alle stesse ricette. A un certo punto del banchetto immaginario, irrompe un gigantesco castello, portato da molti inservienti, tutto mangiabile con elementi simbolici, che richiamano i “Trionfi” dei grandi banchetti del Barocco. Una tipica ricetta medievale, il Biancomangiare, una sorta di budino dolce di pollo e latte di mandorla, del quale nel medioevo si esaltava il candore simbolico, in Chiquart viene proposto in una versione multicolore.

Se Chiquart era una personalità particolare, lo era anche quella del suo signore. Il Duca Amedeo dominava un piccolo territorio tra Francia e Italia, ma grazie alle sue abilità diplomatiche, alleandosi or con l’uno or con l’altro potentato che animavano i conflitti nell’Europa dell’inizio del 1400, aveva sempre più conquistato ricchezza e potere. Era un mecenate, amante delle arti e voleva anche col libro di Chiquart tramandare una tradizione di bellezza e buongusto. A un certo punto della sua vita si ritirò, con altri nobili, in un castello, una sorta di eremo d’impostazione conventuale. Che vi si svolgesse una vita santa si nutrono molti dubbi. Il futuro papa Pio II, in visita lì non ne riportò una buona impressione, raccontando di cortigiane e banchetti, ma non sappiamo se fosse una calunnia. È probabile che la buona tavola la facesse da padrona, se non altri vizi. Nel 1439, Amedeo VIII fu addirittura eletto Papa, anzi Antipapa in alternativa a Eugenio IV. Otto anni più tardi si sottomise al nuovo Papa Nicolò V.

Ma torniamo alle nostre Rissoles. Sono offerte nel terzo giorno dell’immaginario banchetto, nell’eventualità che alcuni invitati si potessero trattenere. È un menù più leggero, dopo le abboffate dei giorni precedenti.

Ora notiamo il tocco finale della presentazione di un piatto semplice, che non richiedeva trincianti, ma che veniva preso tra le dita da ciascun commensale. Il semplice panzarotto viene decorato con una foglia d’oro; sembra di trovarci di fronte al famoso risotto di Gualtiero Marchesi. Non sappiamo se fosse stata edibile, ma non dobbiamo stupirci; Chiquart pratica una sorta di cucina filosofale, tipica del medioevo. In una pietanza “Restaurant- ristoratrice” nella sezione di cucina per malati, la cosa prende un tratto sorprendente. Il cuoco prepara un contenitore di vetro spesso e vi ci cucina dentro a bagnomaria, carne ed ossa di cappone tagliate fini, con mezzo bicchiere di acqua di rose, uno d’acqua fresca e un pizzico di sale. Poi immerge nel brodo un sacchetto di perle, e anche un sacchetto con molte pietre come diamanti, zaffiri, rubini, turchesi, smeraldi e così via. Vi ci aggiunge anche una grande quantità d’oro, ducati e gioielli. L’importante è tenere separata la carne dai preziosi. Il loro potere medicamentoso si sarebbe dovuto trasferire al brodo, mentre i gioielli, una volta cotti, sarebbero ritornati  nei forzieri. Molti pensano che l’ultimo residuo di questa tradizione la troviamo ancora oggi nei nostri dolci dove i canditi non sono altro che la memoria degli smeraldi, dei rubini, dell’ambra.