NON È UN DERBY

La prima reazione – in tutti- è stata: siamo alle solite. Ma non era così.
L’attacco a freddo di Hamas è stato una orrenda novità.
Per le tecniche con cui è stata condotto, per le dimensioni raggiunte, per l’innovativo e massiccio sequestro di ostaggi.

Due aspetti mi hanno particolarmente colpito: il compiacimento con cui i terroristi hanno ripreso e diffuso le immagini truculente dei loro crimini e l’attacco al rave party.
Quei ragazzi che nel deserto cantano e ballano spensierati non somigliano affatto agli stereotipi dell’ebreo in tenuta militare o in divisa nera da ortodosso, treccine comprese.
Sono sicuro che molti di loro hanno protestato per settimane sotto le finestre di Netanyahu per le sue leggi liberticide.
Due scelte apparentemente insensate se vuoi conquistarti un consenso internazionale.

Ma non dimentichiamo che Hamas non agisce autonomamente, per il bene e la difesa del popolo palestinese.
È eterodiretto da ben altri interessi. Intanto ha impedito la firma di accordi con i Sauditi che facevano seguito a quelli con gli Emirati.

E infatti tra le ragioni addotte per spiegare la mossa di Hamas -costata mesi di preparazione nonché centinaia se non migliaia di morti tra i militanti- quella che mi convince di più è il tentativo di riservarsi uno spazietto nel “disordine mondiale” che farà seguito alla fine della guerra di Ucraina.  

Forse per questo la famosa e insuperabile “intelligence” israeliana ha clamorosamente fallito: difficile interpretare a scala locale, con logica territoriale, iniziative che servono semplicemente ad aumentare quel caos globale che deve convincere un pianeta monogovernato a dotarsi di una “governance” multipolare.

Ora è evidente che chi ha subito tutto ciò ha “diritto” a una risposta. Non è solo una vendetta ma è una legittima difesa che provvede a non rendere più possibile quanto accaduto.
Ma una democrazia -caratteristica che rende Israele diversa da tutti gli altri deve mettere in pratica una reazione “proporzionata” e, se possibile, dotata di una qualche ipotesi di futuro e di rispetto delle ragioni degli altri.

Guardando alcune fotografie dall’alto di Gaza city non appare così scontato. Chi è stato vittima di olocausto non credo possa pensare di applicarlo ad altri.

Dopo ogni colluttazione i protagonisti diretti ed indiretti della trattativa diplomatica tirano fuori la soluzione dei due stati indipendenti, sapendo che subito dopo ciascuno si affretterà a prendere decisioni che contribuiranno a rendere la prospettiva impossibile.

Per finire vi dico ciò che mi ha scandalizzato di più: la reazione dell’opinione pubblica che ha trattato la questione come fosse un derby calcistico: io sto con questi, no preferisco gli altri.
Parlo della opinione pubblica mondiale perché quella locale è evidentemente partecipe dell’appartenenza e del “tifo” per i propri colori.

Nella partita Israeliani contro Palestinesi non può esserci un vincitore perché non c’è un colpevole e una vittima. Entrambi sono colpevoli e vittime.
Sono passati più di 120 anni da quando gli Inglesi cominciarono a studiare come fare convivere due popoli pienamente legittimati ma il mondo evidentemente non è affollato di uomini di buona volontà.

Propongo due derby differenti: Palestinesi contro Hamas e Israeliani contro Netanyahu.


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