SITUAZIONE TUBERCOLOSI DOPO LA PANDEMIA

Prima dell’ arrivo della pandemia la tubercolosi (TB) era la prima causa di morte al mondo, causata da un unico agente infettivo. La mortalità da TB superava anche quella causata dall’ AIDS.

La tubercolosi è conosciuta da migliaia di anni ma i batteri che la causano sono stati scoperti solamente nel 1882 da Robert Koch. E oggi, nonostante siano più di 140 anni che il responsabile è conosciuto, sono molti gli aspetti di questa infezione e delle possibilità di prevenirla e curarla, ancora sconosciuti. Eppure l’ infezione e’ molto diffusa nel mondo.

I dati dell’ OMS indicano che 1 persona su 4 al mondo è infettata dal batterio e l’ infezione resta, in molti casi, in forma latente. I soggetti con infezione latente sono a rischio di sviluppare la malattia, ma non tutti si ammalano. La maggior parte dei malati (90%circa) sono adulti che hanno qualche forma di immunocompromissione come quella causata da HIV, dal diabete, dalle patologie oncologiche, dai trapianti, dalla malnutrizione, o, semplicemente, dall’ età avanzata.

L’ Italia, come gli altri paesi dell’ Europa occidentale, è definita dall’OMS come un Paese “a bassa endemia”, poiché si registrano meno di 10 casi di malattia ogni 100.000 abitanti. L’incidenza è maggiore nelle Regioni del Centro-Nord rispetto a quelle del Sud, fenomeno dovuto in parte alla sottonotifica dei casi in alcune Regioni. Tra gli italiani, gli anziani sono i più colpiti, mentre tra gli immigrati la TB colpisce prevalentemente la fascia di età tra i 25 e i 34 anni.

La TB è presente in tutti i Paesi del mondo ma in alcune aree la malattia ha un impatto maggiore che in altre. Nel 2020, due terzi dei nuovi casi sono stati diagnosticati in solo otto Paesi: India, Cina, Indonesia, Filippine, Pakistan, Nigeria, Bangladesh, SudAfrica.

Grazie ai servizi di prevenzione, diagnosi e cura attivati dai vari Paesi e dall’ OMS, si stava assistendo ad un lento ma costante calo della diffusione della infezione che faceva sperare di poter raggiungere l’ obiettivo che gli stati dell’ UN e l’ OMS si erano dati e cioè “ending the global TB epidemic by 2030”. Questo sembrava possibile grazie agli screening delle persone a rischio e il successivo trattamento. La TB è, infatti, curabile e circa l 85% dei malati può essere trattato e guarire in 6-12 mesi.

Purtroppo, però, la tendenza al ribasso si è recentemente invertita.

Infatti tra i tanti danni sanitari che la pandemia ha causato, non bisogna dimenticare che anche molti servizi di prevenzione e cura della Tubercolosi nel mondo sono stati disattivati e il personale nonché gli spazi e le attrezzature sono stati dedicati alle attività antipandemiche. Molti casi di TB possono, quindi, essere sfuggiti ai servizi sanitari.

Inoltre, poiché l’infezione si diffonde quando i malati eliminano i batteri nell’ aria principalmente tossendo e starnutendo, le misure di contenimento messe in atto per controllare la diffusione del SARS cov2 molto probabilmente hanno rallentato la diffusione di tanti patogeni trasmessi per via respiratoria tra cui anche i micobatteri tubercolari.

Per questi due motivi, quindi, durante gli anni di pandemia si è osservato un drastico calo dei casi di TB. In Europa, ad esempio, il calo è stato del 24%.

La mancata diagnosi però e la conseguente mancata cura hanno causato una maggior diffusione della infezione visto che i malati sfuggiti alla identificazione diagnostica e alla conseguente terapia possono aver eliminato i batteri nell’ ambiente anche per molti mesi.

I dati a disposizione e le previsioni dell’ OMS sull’ aumento della Tubercolosi nel mondo dopo la fine della pandemia sono preoccupanti. Si stima infatti un aumento di oltre un milione di casi annui rispetto agli anni pre-pandemici.

Sta purtroppo crescendo anche il numero dei casi di TB causati da ceppi di micobatteri resistenti alla rifampicina e anche a gli altri farmaci disponibili, fenomeno dovuto ad un trattamento inadeguato dei singoli pazienti, spesso interrotto troppo precocemente.  Questi casi sono a carico di gruppi di persone maggiormente a rischio e, a volte, difficilmente raggiungibili dai servizi sanitari, come i migranti (soprattutto quelli provenienti da Paesi ad alta incidenza di TB), le persone HIV-positive e i senza fissa dimora.

Vista la situazione L’ OMS è stata costretta a rivedere l’ obiettivo del 2030, che non è più la fine della epidemia globale di TB, ma la riduzione dell’incidenza dell’80% e la riduzione dei decessi del 90% .

Il bisogno di agire è diventato più pressante nel contesto della guerra in Ukraina, di altri conflitti in diverse parti del mondo con milioni di persone nei campi profughi, la crisi energetica globale, il peggioramento degli approvvigionamenti di cibo. Tutti elementi questi, che alzano il livello di rischio delle popolazioni colpite.

La battaglia per combattere la TB non è solamente contro la malattia, ma anche contro la povertà, le estreme disuguaglianze, la discriminazione, e per pretendere che la protezione sociale e sanitaria venga estesa a tutti. La battaglia contro la TB è una battaglia di civiltà.


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