Queste elezioni sono cruciali, si sceglie quale Europa pensiamo ci possa garantire il nostro futuro. Qualcuno/a ci vuole far credere che in ballo c’è il destino di qualche partito o di qualche leader. No, di mezzo c’è il nostro destino. Mettiamola così: o l’Europa delle piccole patrie, l’Europa dei sovranisti e dei populisti comunque collocati, o l’Europa federale, quella di Spinelli, Rossi e Colorni, l’Europa che si fa stato (Stati Uniti d’Europa) e con ciò garantisce la sicurezza dei suoi popoli, la democrazia liberale, lo stato di diritto, la società aperta. Un soggetto istituzionale forte che possa contrastare l’aggressività delle autocrazie e garantire la pace, la missione per cui si affermò l’idea di un’Europa unita dopo la tragedia della seconda guerra mondiale.
Le sfide di oggi sono davvero drammatiche: la guerra dentro il cuore dell’Europa, il dilagante antisemitismo, l’attacco feroce alle democrazie liberali, la crisi interna delle democrazie stesse, l’avanzata dei sistemi autocratici e la disgregazione dell’ordine mondiale. L’Europa così com’è oggi difficilmente può essere in grado di resistere ancora a lungo. Lo sappiamo, la nascita dell’Europa intergovernativa dagli anni cinquanta del novecento in qua è stato un fatto di portata straordinaria. Ne sono derivati pace, prosperità, progresso, lungo oltre settant’anni di storia. Questo ha permesso di resistere alle spinte disgregatrici e di non arretrare di fronte alle grandi crisi che si sono susseguite del 2007/8 ad oggi (la crisi finanziaria, la pandemia, invasione russa dell’Ucraina, l’attacco islamista a Israele).
Ma la storia ora richiede altro. Dobbiamo insistere: l’Occidente è sotto attacco, l’Europa è sotto attacco, la democrazia come sistema è sotto attacco. Più in generale, siamo di fronte ad una transizione delicata e difficile e non abbiamo un pensiero adeguato al cambiamento di paradigma: dalla semplificazione-separazione alla complessità-cooperazione. Dobbiamo dunque reagire, la classe dirigente più avvertita deve dimostrare di esserlo andando al cuore del problema, il destino della civiltà occidentale, la salvaguardia dei suoi valori, la permanenza e il rilancio delle sue conquiste ottenute con i passaggi drammatici che conosciamo lungo i secoli della modernità.
Lo constatiamo con preoccupazione, il presente incalza e non abbiamo tempo e voglia di guardare a che cosa può accadere domani. Ma se non guardiamo a domani la politica diventa puro scontro per il variabile consenso del momento. E infatti di Europa, in questa campagna elettorale per l’Europa, non si discute. Debito comune, tassazione e bilancio comune, sistema comune di difesa, politica estera, voto a maggioranza, non entrano nel dibattito pubblico.
Si preferisce altro, e sarebbe un elenco lungo. Nel frattempo l’Ucraina rischia di crollare. L’islamismo radicale rischia di vincere sia sul campo mediatico che con i movimenti di contestazione antioccidentale interni alle democrazie liberali. L’Europa è in difficoltà. Le forze antieuropeiste rischiano di prevalere. Non deve accadere!
La storia dunque invoca una svolta. Noi del civismo organizzato in ACIC e FCE siamo convinti che si debba passare dall’Europa delle nazioni all’Europa Nazione, uno Stato, una vera statualità europea. È la necessità della storia, è ciò che dà senso alla lista Stati Uniti d’Europa. Dispiace che FCE, la Federazione Civici Europei, che abbiamo costituito il 17 giugno dello scorso anno a Roma insieme a FCN e a MF, non faccia formalmente parte della lista. Ma non possiamo star fuori da questa battaglia per la scelta della via del futuro.
Noi che facciamo politica civica nelle comunità locali e nei territori viviamo in modo lacerante la crisi del sistema politico che non sa guardare oltre la giornata, ciò che ormai sfugge alla parte maggioritaria del ceto politico. Noi nasciamo come nuovo soggetto che vuole cambiare la politica schiacciata su false coalizioni, una rete di liste e movimenti civici che vuole ridare fiato e senso alla politica come espressione e governo dei bisogni di comunità. Per questo siamo convinti europeisti e nelle scelte dell’oggi vediamo la prospettiva.
Non si può assistere passivamente allo vuotamento della democrazia. Non si può accettare in Italia la trasformazione delle riforme in spartizione di bandierine identitarie. Non si può accettare in contemporanea la centralizzazione del potere statale e la frammentazione dello stato in venti piccole repubbliche territoriali, deboli e soggette al pericolo di fenomeni degenerativi. Se si vuole il premierato al centro sarà necessario avere come contrappeso macroregioni in periferia. Non si possono poi eleggere i rappresentanti con una legge che affida ai capi la decisione di chi deve essere eletto.
Per questo diciamo che il domani si costruisce oggi. Perciò la battaglia per l’Europa che facciamo oggi, battaglia di libertà, di democrazia liberale e stato di diritto, è anche battaglia per libertà, democrazia liberale e stato di diritto, in Italia. Il populismo antieuropeo e sovranista si sconfigge con con una progettualità politica di segno opposto. Dobbiamo far nascere un progetto politico per l’Italia europea dopo il 10 giugno.
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