LA “MODALITA’ COLOSSEO”

ROSSANA PACE

Le manifestazioni “per la pace” o “contro il femminicidio” saranno pure necessarie ma – a mio avviso – non sono certo sufficienti, se non si interviene sul contesto.

E come ribaltare il contesto?

Il contesto è fatto soprattutto dalla comunicazione e dall’intrattenimento, dalla sensibilità, dalla cultura.

Che cosa intendiamo per “modalità Colosseo”?

(E per la sua attualità?)

L’anfiteatro Flavio fu realizzato per dare una sede capiente (la stima è tra le 50 000 e le 87 000 presenze) e comoda agli appassionati spettatori di intrattenimenti sanguinari che fino ad allora si svolgevano in location più piccole.

(L’anfiteatro fu un’invenzione romana che raddoppiava la struttura tradizionale del teatro greco.)

Quando l’Anfiteatro Flavio fu inaugurato con l’imperatore Tito (21 aprile nell’80 d.C.) ci furono ben 3 mesi di “giochi” quotidiani ininterrotti, durante i quali morirono circa 2.000 gladiatori e 9.000 animali. 

Con i giochi indetti da Traiano per celebrare le sue vittorie sui Daci, i giorni di giochi ininterrotti furono 123.

I combattimenti coinvolsero oltre 10.000 gladiatori e furono uccisi 11.000 animali.

Un record mai superato.

In questi “giochi” la costante era che il sangue scendesse a fiumi attraverso lotte cruente tra uomini, tra uomini e belve, tra belve, purché gli spettatori si abituassero al fatto che il versare il sangue, lo spegnere la vita, fosse una normale operazione quotidiana “di intrattenimento” senza particolari conseguenze.

Del resto, questi “giochi” erano sparsi per tutto l’Impero e per tutto il calendario in occasione di festività o di funerali solenni di alte personalità.

Gli spettatori erano fortemente appassionati e convolti.

Nell’intervallo venivano compiute le esecuzioni di condannati a morte i quali divenivano anch’essi protagonisti di “intrattenimento”, in quanto venivano uccisi attraverso rievocazioni di episodi mitologici o bellici.

La sensibilità cristiana avversò tali “ludi“ sanguinosi, ma quando il monaco Telemaco si gettò nell’arena per dividere due gladiatori la folla, inferocita per l’interruzione del “divertimento” lo lapidò.

A quanto pare, il sacrificio del monaco non fu vano perché l’Imperatore Onorio – impressionato dall’episodio – decise di sospendere questi “ludi gladiatorii” (404) e il nipote Valentiniano III arrivò a metterli fuori legge (438).

Gli spettatori, dunque, erano fortemente appassionati e convolti. E probabilmente ciò era funzionale all’indifferenza del legionario per il sangue versato.

Ma, se ci pensiamo bene, oggi la “modalità Colosseo” ce l’abbiamo in casa: facendo zapping sui vari canali tv si vedrà che 24 ore su 24 la tv narra – attraverso film, telefilm e perfino contenitori-dibattito – una vita costellata di risse, violenze, morti risultati di conflitti e aggressioni. Per non parlare delle modalità aggressive troppo spesso diffuse da internet e sui social.

La riflessione che vogliamo qui proporre riguarda il ruolo che svolge la Comunicazione di massa (informazione, film, videogiochi ecc.) nel sostenere/rappresentare più o meno occultamente, come naturale e inevitabile la logica dello scontro violento.

La vittima, la sua storia, le sue prospettive troncate non esistono. La vittima è solo un pretesto narrativo. A tutto questo si aggiungano le “violenze reali” che provengono da teatri di guerra di cui il mondo è costellato e le cronache di aggressioni e morti “private” perpetrate perfino in famiglia.

Questo è lo scenario nel quale siamo immersi: l’abitudine alla quotidianità della sopraffazione. Di fronte ad un conflitto, la risposta a cui siamo abituati è che “si spara”. Cioè “ammazzare” viene considerata un’opzione possibile, anzi la più facile e immediata.

A fronte di tale logica imperante va osservato che non c’è a disposizione sul “mercato” un numero sufficiente di “narrazioni” in cui si rappresentino dei protagonisti alle prese col difficilissimo compito di cercare soluzioni alternative alla violenza.

Chiunque segua un corso per sceneggiatori vedrà subito che l’insegnamento verte (e premia) una struttura filmica che “scientificamente” giunge al momento del conflitto-contrasto e, una volta risolto il conflitto con la violenza, “centra l’obiettivo narrativo” sulla ricerca del colpevole da parte dei protagonisti: non si da spazio alla possibilità che si possano cercare soluzioni diverse dalla violenza per affrontare quel conflitto.

Anche sul piano della realtà, la narrazione degli eventi bellici, delle sofferenze dei popoli umiliati e costretti a diventare “profughi” prende molto più spazio – sui media – della narrazione degli sforzi “preventivi” fatti per evitare potenziali conflitti; né vi è sufficiente attenzione sulle fasi diplomatiche, sui necessari compromessi, sulle figure anche internazionali dei mediatori, per arrivare a mettere fine ai conflitti in atto.

Se si vuole affermare il concetto della “pace preventiva” un’espressione che si sta felicemente affermando, il primo punto su cui intervenire è il messaggio della comunicazione, dell’intrattenimento.

Sia ben chiaro che non si sta qui facendo alcun discorso di censura.

Piuttosto il discorso è quello di un deciso ampliamento dell’offerta.

Le iniziative e gli appelli a favore della pace o quelle contro il femminicidio non possono avere successo se l’opinione pubblica mondiale viene ininterrottamente bombardata non solo dalle informazioni e immagini dei conflitti realmente in atto, ma – in più – anche da violenze, conflitti, uccisioni la cui narrazione compare senza alcuno scandalo o presa di distanza sulle trasmissioni di intrattenimento, nei film, nei videogiochi.”

E’ estremamente carente la narrazione della costruzione di un clima pacificatore che invada gli animi delle persone e, a partire da questo, arrivi a “rigettare” il clima di guerra perenne in cui versano i singoli e troppi paesi del mondo. Le guerre le decidono “i capi”, ma è la gente che le combatte: e se non ci si crede più, se si pensa che i capi debbano cercare soluzioni al conflitto, i capi si troveranno senza “strumenti” e senza seguito.

Ma i loro sforzi dovrebbero essere compresi e condivisi da una vasta opinione pubblica sensibilizzata: è urgentissimo perciò mettere a disposizione, sul mercato dell’intrattenimento, anche narrazioni “alternative”, in cui compaia la situazione di conflitto, ma che pongano al proprio centro la “ricerca” delle alternative alla violenza. Che considerino queste alternative realistiche, plausibili.

Nei videogiochi, se schiaccio il pulsante ammazzo il mostro, ammazzo “l’altro”. Ho potere di vita e di morte. E’ in questo clima che si compiono delitti efferati come quello di Luca Varani ucciso perché Foffo e Prato cercavano “uno qualsiasi da aggredire solo per provocargli sofferenze fisiche e togliergli la vita” e “vedere l’effetto che fa”.

Questi ragazzi, così come la gente indifferente all’annegamento del giovane gambiano a Venezia che invece di provare a salvarlo si mettono a fotografarlo, vivono chiaramente un clima “da Colosseo”.

E’ questo clima che bisogna cambiare.

E’ utopia?

A un certo punto della storia si è combattuta la schiavitù, si è diventati sensibili alla tutela dell’ambiente, maltrattare gli animali oggi è un reato penale, gli animali sono dichiarati “esseri sensienti” in sempre più paesi del mondo.

Dunque la nostra sensibilità si è affinata in molti ambiti. Perché dovremmo ritenere impossibile intervenire anche su questo tipo di contesto?

E’ il clima della violenza “data per scontata” ciò che bisogna cambiare.

È stato anche approfondito lo studio di come, in ambito cinematografico, in presenza di alcune scene che coinvolgono in maniera globale i neuroni specchio, questi si attivino come se fossimo noi stessi a vivere quelle scene. Dunque viviamo emozionalmente, neurologicamente quello che vediamo. Ci entriamo dentro.

Non vogliamo ovviamente interpretare meccanicisticamente questo dato, che fa i conti con tante variabili, l’indole della persona, la sua educazione e formazione, il contesto generale eccetera.

Però queste ricerche rivelano un fondo di “empatia” che ci fa affermare che il nostro destino non è il contrasto, la paura, la separazione quanto piuttosto la condivisione.

C’è una sorta di pregiudizio culturale, in base al quale se “scorre il sangue” c’è notizia, se invece si fanno sforzi nei quali si fa ricorso alle più alte doti di dialettica, capacità di mediazione, intelligenza, coraggio e si riesce ad evitare che scorra il sangue o si metta fine allo scorrere del sangue la notizia non c’è, lo spunto narrativo non c’è.

Non si considera affatto che “è più facile sparare” e che la vera creatività, i migliori spunti narrativi si potrebbero trovare proprio nelle intelligenze e nelle abilità di chi si assume l’arduo ma soddisfacente compito di mediatore, siano essi interlocutori collettivi o singoli, alcuni dei quali sono veri e propri “personaggi” le cui storie sarebbero davvero meritevoli di “narrazione”.

Si può riuscire a cambiare il clima culturale attraverso un arricchimento delle produzioni Media?

La domanda è: se non ci sono abbastanza produzioni di questo tipo vuol dire che per queste “non c’è mercato”?

Non è del tutto vero.

Significativo quanto dichiarato da Heather Conkie  capo sceneggiatrice della Serie televisiva Heartland (12 Serie di 18 puntate ciascuna, trasmesse in tutto il mondo anche attraverso Netflix): “I don’t think that just because something doesn’t hit you in the face with outright violence or a controversy that it is any less valuable. I think that there is a niche for this kind of programming, and if you do it well, it deserves as much merit as anything else. People are too afraid that thay like it. It’s like if they admitted liking Road to Avonlea, it was admitting somewhere inside you’re a marshmallow”.

Non penso che solo perché qualcosa non ti colpisce in faccia con assoluta violenza o non racconta per forza di conflitti sia meno valido. Credo che ci sia una nicchia per questo genere di programmi “diversi da quelli” e che se lavori bene e fai un buon prodotto meriti altrettanto successo di qualsiasi altro. La gente ha troppa paura di dire che gli piace. E’ come ammettere che, se ti piacciono storie come “Road to Avonlea” (altro sceneggiato non violento n.d.r) significhi ammettere che dentro di te sei un marshmallow” (tipo di caramella molto morbida e dolce).

Il fatto che Heather Conkie abbia scritto questa frase sul suo “profilo” la dice lunga sull’imbarazzo di un’autrice di contenuti non violenti, pur decisa ad andare avanti per la sua strada. Va detto comunque che la serie è durata più di 16 stagioni in tutto finora 249 puntate piene di cavalli bellissimi, popolate da cow boys che fanno tutto meno che spararsi e anche piene di conflitti che si risolvono mediando. Heartland – oltre che su Netflix e su Rai play – è stata trasmessa dalle tv di molti Paesi tra cui Canada, Italia, Australia, Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Lituania, Paesi Bassi, Venezuela, Giappone, Svizzera, Senegal, Lussemburgo, Colombia, Messico, Cile, Perù, Brasile, Argentina, Stati Uniti, Regno Unito, Sudafrica, Israele.

Questo vuol dire che non è mancato un pubblico, eppure l’autrice ha ritenuto quasi di dover “giustificare” la sua scelta.

Bisogna restituire l’orgoglio di chi sceglie contenuti narrativi che possono essere bellissimi “anche se non sono violenti”!

Sarebbe bello che l’Italia si facesse capofila di una campagna che attragga da tutto il mondo i creativi di ogni media, (film, fiction, videogiochi), disposti ad elaborare contenuti che abbiano al centro “la ricerca di alternative non violente di fronte a situazioni di conflitto” e/o storie reali di mediazioni riuscite con successo.

Si potrebbero organizzare rassegne, Festival, premiazioni che incoraggino e mettano in luce opere creative che trasmettano il messaggio della “unicità” di ciascuna persona, annientando la quale il mondo perde qualcosa di prezioso.


MANIFESTO

DELL’ISTITUTO INTERNAZIONALE SPADA SPEZZATA/ INTERNTIONAL INSTITUTE BROKEN SWORD

Per il sostegno alle Produzioni Cinematografiche che narrano conflitti risolti con la cultura della mediazione

1.
I firmatari di questo Manifesto sono uniti dal grande obiettivo di far sì che nella narrazione e nella comunicazione mediatica a livello internazionale aumenti in modo significativo la cultura della ricerca di alternative alla violenza nelle situazioni di conflitto e quindi una cultura della mediazione.

Siamo Autori, Produttori, Sceneggiatori, Distributori di produzioni cinematografiche e televisive, esponenti di reti, canali, piattaforme che veicolano le produzioni e associazioni che rappresentano tali aree.
Siamo anche associazioni e istituzioni umanitarie e siamo cittadini spettatori.
Abbiamo tutti consapevolezza del grande impatto sociale e dell’influenza delle narrazioni e delle loro impostazioni sulla cultura e la sensibilità dei cittadini a livello mondiale.

2.
Riteniamo che il menu delle offerte di intrattenimento debba essere rafforzato dando uno spazio maggiore alle opere che veicolano la cultura della mediazione.

Riteniamo importante che si racconti come la risoluzione dei conflitti possa trovare soluzione attraverso l’opera intelligente e paziente di chi ricomprenda e componga le ragioni delle parti in causa. Crediamo socialmente utile la narrazione di fatti e logiche improntate allo sforzo della mediazione come terreno alternativo alla violenza degli uni sugli altri. Crediamo che i media in tutte le loro articolazioni (film, fiction, videogiochi, giornali, internet) abbiano un ruolo fondamentale nel costruire il tipo di azione/reazione che nasce quando siamo di essi un pubblico fruitore.

Questa narrazione può essere uno dei principali terreni di costruzione di una nuova cultura e della pace.

3.
Noi operatori della narrazione ci dichiariamo interessati a valutare con attenzione le proposte narrative impostate in tal senso e siamo interessati ad allargare il nostro menu produttivo attraverso le storie di pacificazioni.

Questo riguarda storie di reali conflitti tra Stati che hanno trovato o trovano soggetti terzi o personalità sensibili dell’una e dell’altra parte avversa animati dalla volontà di mettere in campo ogni possibile soluzione per mettere fine al ricorso alla violenza e alla sofferenza dei popoli.

Questo sforzo richiede abilità non comuni, intelligenza, determinazione, capacità di leggere e interpretare i fatti, spirito di iniziativa, creatività, tutte attività che meritano di essere messe in luce e narrate e la cui “realtà”, fatta di vittorie e sconfitte e piena di alti e bassi e colpi di scena merita di essere rappresentata e narrata, non necessariamente in chiave realistica, ma anche in chiave onirica, surreale, brillante o drammatica, a seconda dell’ispirazione dell’Autore.

Di queste storie ce ne sono molte in ogni parte del mondo, ma non sono conosciute abbastanza e anche per questo non trovano facilmente spazio di narrazione.

L’iniziativa SPADA SPEZZATA che ricerca con pazienza storie e le mette a disposizione degli operatori della narrazione è una iniziativa che interviene meritoriamente su questa lacuna permettendo a chi opera nella narrazione di avere contenuti che possono essere ispiratori

C’è dunque a nostro avviso la necessità e lo spazio per un FILONE NARRATIVO RICONOSCIBILE che raccolga e valorizzi eventi reali di ri-conciliazione meritevoli di narrazione.

4.
Producendo opere narrative in cui si affronta il tema della ricerca di alternative alla violenza, siamo consapevoli che se nel privato lo sbocco violento viene considerato ovvio e normale, il cittadino considererà altrettanto ovvio il ricorso alla violenza in situazioni di conflitto che si dovessero determinare tra Stati, o tra aree politiche differenti in uno stesso Stato. Quindi non pretenderà dai propri leader la capacità di ricorrere a tutte le possibili mediazioni, accordi, terreni di conciliazione e riconciliazione affinché il conflitto si risolva senza ricorrere alla violenza, considerata inevitabile. E, questo, nonostante il conflitto affrontato con la violenza vada contro i propri interessi vitali, perché le guerre le decidono i leader ma poi sono i cittadini quelli che le combattono e le soffrono.

5.
Sul mercato dell’intrattenimento, anche grazie alla sensibilità di alcuni di noi, non mancano produzioni creative che raccontano storie private o di comunità ispirate anch’esse dagli sforzi di uno o più personaggi di trovare di fronte a un conflitto soluzioni alternative a quella del ricorso alla violenza.

Vediamo con favore il fatto che queste produzioni vadano incoraggiate e promosse anche con adeguati riconoscimenti.

6.
Alcuni di noi operatori della narrazione stiamo già adottando con successo l’inserimento nei nostri menu e nelle nostre produzioni narrazioni impostate in questo modo.

E abbiamo costatato il successo di storie di questo tipo.

La consapevolezza della scelta narrativa da parte degli Autori è testimoniata dal fatto che alcuni di loro hanno addirittura ritenuto di “giustificarsi” pubblicamente per il fatto che non “sbattevano il sangue in faccia agli spettatori”. Stiamo parlando di serie che hanno avuto oltre una diecina di Stagioni, sono state sviluppate per centinaia di episodi, sono state seguite in più di 20 Paesi, (alcune addirittura centinaia di paesi) e hanno avuto milioni di spettatori anche grazie alle piattaforme e ai DVD.

Questo testimonia un diffuso interesse del pubblico verso storie in cui il centro narrativo verte su temi diversi da quelli del conflitto violento (ad esempio storie che riguardano cultura enogastronomica, oppure cavalli, vicende che valorizzino l’ambiente ecc.).

Riteniamo che questa esigenza di un diverso tipo di narrazioni non sia percepita a sufficienza a livello generale e che sia opportuno contribuire a creare un vero e proprio FILONE NARRATIVO RICONOSCIBILE di narrazioni con questa impostazione.

7.
Così come esistono filoni narrativi in cui viene rappresentata la sensibilità ambientale o quella contro il razzismo o quello che sostiene le conquiste della donna o il filone narrativo che racconta come la schiavitù per molti secoli sia stata considerata strutturale, vogliamo dare riconoscimento ad un filone narrativo che mette in scena il “come potrebbe essere” se in un conflitto si cercassero sul serio soluzioni alternative alla violenza.

La tutela dell’ambiente sembrava un freno alla produzione, ma invece ha stimolato altre produzioni, nuove e più sane. Anche la schiavitù per molti secoli è stata considerata funzionale all’economia. Eliminarla sembrava utopico, ma “mettere fuori legge” la schiavitù ha avuto importanti risvolti anche sullo sviluppo tecnologico in quanto – dovendo fare a meno del lavoro umano a basso costo – si è incrementato lo studio di dispositivi meccanici.

Allo stesso modo crediamo che un forte affermarsi della logica della mediazione nei conflitti possa avere positivi sviluppi sulla società a livello mondiale.

8.
Noi intendiamo rivolgerci da una parte al pubblico, alimentandone la consapevolezza rispetto ai contenuti cui è esposto, dall’altra agli operatori della narrazione tra cui molti di noi, affinché i realizzi un ampliamento del menu delle opere produttive e lasciandosi ispirare e coinvolgere anche da storie vere.

9.
La narrazione deve poter rappresentare “la ricerca” delle soluzioni alternative, con l’obiettivo di “allenare” lo spettatore a comprendere che “non c’è solo la soluzione io ti sparo”. Quello che conta è che lo spettatore si possa immedesimare nella “ricerca delle alternative” Di fronte alle terribili scene di morte e distruzione cui assiste bisogna stimolare la ricerca, l’immaginazione di “come potrebbe essere” se in un conflitto si cercassero sul serio soluzioni alternative alla violenza.

Vogliamo favorire la spinta perché si realizzino strumenti narrativi, a livello di massa, affinché, di fronte ad una situazione di conflitto, si sviluppi in ciascuno l’abitudine non già a cercare di capire “chi ha ragione” bensì ad individuare – istintivamente – come primissimo approccio, concrete soluzioni che evitino la prova di forza, la legge del più forte, l’annientamento dell’avversario.

Opere creative che trasmettano il messaggio della “unicità” di ciascuna persona, annientando la quale il mondo perde qualcosa di prezioso.

10.
Dunque come operatori della narrazione e dell’informazione ci vogliamo impegnare per dare uno spazio significativo all’informazione e alla narrazione dei successi ottenuti nel mondo da iniziative volte alla risoluzione non violenta dei conflitti.

Riteniamo che la figura e le qualità umane e professionali di coloro che credono nella cultura della mediazione a tutti i livelli, sia in merito ai conflitti interpersonali che quelli sociali o quelli che riguardano i rapporti internazionali, vadano coltivate e debbano avere ampio riconoscimento collettivo.

Crediamo che queste intelligenze creative con questi orientamenti siano presenti in tutto il mondo e vogliamo mettere in campo tutti gli strumenti perché siano stimolate ad esprimersi. Crediamo che esse abbiano bisogno di “un luogo” dove presentare le loro idee, dove incontrare chi finanzi la loro creatività e possa mettere in produzione le loro opere.

11.
Vediamo con favore la creazione del “Centro Internazionale di Documentazione, studi e ricerca sulla narrazione della composizione dei conflitti”.

Il Centro SPADA SPEZZATA , un Centro che raccolga e metta a disposizione del pubblico e degli Autori, anche in via telematica, sia opere già realizzate con questo spirito, sia progetti sviluppabili. Nonché schede su eventi e biografie che possano essere di ispirazione per autori e produttori.

Vogliamo che le grandi azioni svolte in tanti momenti storici del passato e della contemporaneità da personaggi o da istituzioni, al fine di dirimere i conflitti attraverso l’intelligenza della mediazione vengano dissepolti dall’oblìo e diventino a pieno titolo “Storia”.

12.
Siamo anche favorevoli alla Giornata GIORNATA MONDIALE DI NARRAZIONE DELLA COMPOSIZIONE DEI CONFLITTI

Attraverso la Giornata vogliamo creare eventi pubblici (Festival cinematografici, Convegni, Rassegne Artistiche, Premi, Incontri tra autori e produttori) che abbiano al centro la cultura della mediazione. Ciò, al fine di rendere visibile l’insieme di queste produzioni e far emergere la loro forza.

Il nostro mondo ha bisogno che gli si dica che la pace è possibile

PROMOTORI

Rossana Pace

Prima firmataria Comitato Promotore

FONDATRICE DELL’Istituto spada spezzata

Centro Internazionale di Documentazione, Studi e Ricerca Spada spezzata sulla NARRAZIONE della composizione dei conflitti”


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