INDRO MONTANELLI

INDRO MONTANELLI

25 giugno 1974: esce il primo numero del “Giornale nuovo”, poi semplicemente “Il Giornale”. Quel nuovo è stato aggiunto perché esisteva già una testata “Il Giornale” regolarmente registrata: Indro Montanelli che del nuovo quotidiano è il fondatore non ha voluto rinunciare a quel titolo, che vuol significare una rivendicazione da parte del vecchio giornalista del suo mestiere.

È stata la decisione della famiglia Crespi, proprietaria de “Il Corriere della sera”, di schierare il giornale su posizioni di centro sinistra, ad indurre Montanelli, che al “Corriere” ha iniziato a lavorare quasi trent’anni prima, a lasciare il giornale: ama definirsi un “anarco – conservatore” e non accetta di essere condizionato nel suo lavoro da una linea politica scelta da altri.
Un gruppo di giornalisti del “Corriere” (Cesare Zappulli, Mario Cervi, Egisto Corradi, Gianfranco Piazzesi, Giorgio Torelli tra gli altri) lo seguirono in quella che si rivelerà presto una vera avventura nel complesso mondo del giornalismo italiano ma che per Montanelli è finalmente la realizzazione del suo sogno: fondatore, direttore ed editorialista di un quotidiano che inizialmente supera le 200.000 copie di tiratura.

Ha in quel momento 65 anni ed ha attraversato quasi mezzo secolo di giornalismo italiano: in quel momento Montanelli può dirsi del tutto soddisfatto. Trova facilmente il denaro necessario all’impresa. Cefis, Presidente della Montedison, gli fa avere 300 milioni su sollecitazione di Fanfani, Achille Baroli (De Agostani) sottoscrive il 12 per centro del capitale sociale, Roberto Calvi concede un fido di 300 milioni (Gelli ne rivendicherà il merito). Nel 1978

Berlusconi si aggiungerà agli originali finanziatori, fino ad arrivare a possedere 1’82 per cento del capitale sociale.

Nato a Fucecchio il 22 aprile 1909 in una famiglia borghese (sua madre era figlia di possidenti, suo padre diverrà preside di liceo e poi ispettore superiore al Ministero della Pubblica istruzione) si laurea in giurisprudenza a Firenze con una tesi sulle riforme elettorali fasciste in cui sostiene che con quelle riforme in pratica le elezioni sono state svuotate dei contenuti tradizionali. Si reca in Francia dove a Grenoble frequenta un corso di scienze politiche e sociali e nel 1930 pubblica il suo primo articolo su Bayron ed il cattolicesimo, ospitato da Pietro Bargellini sulla rivista “Frontespizio”.

Due anni dopo è tra i collaboratori de “Il selvaggio” di Mino Maccari, che rompe presto con il fascismo, e della rivista “L’universale” diretta da Berto Ricci, un professore di matematica un tempo anarchico che pratica l’occultismo, si è iscritto il P.N.F. nel 1927 ed intende il fascismo come trasgressione rispetto al mondo del suo tempo.

È il momento dei giovani intellettuali che si riuniscono al caffè Paskowski a Firenze, tutti fascisti con fermenti libertari, ed è anche il momento dell’adesione di Montanelli, che è fra loro, al fascismo attraverso il G.U.F.: nel 1955, in un articolo su “Il borghese” diretto da Longanesi affermerà a proposito di quegli anni “sono stato fascista dal momento in cui ho potuto essere qualcosa”. Collabora con in media un editoriale al mese al “Popolo d’Italia” e nel 1935 pubblica nelle edizioni de “Il selvaggio” il suo primo libro “Commiato dal tempo di pace”.

Quello di Ricci è tuttavia un “dissenso” che in qualche modo fa parte del sistema: Mussolini il 5 luglio 1934, presente Galeazzo Ciano, incontra a Palazzo Venezia la redazione della rivista, Montanelli compreso, che continuerà a collaborarvi fino all’ultimo numero (agosto 1935) anche se dall’estate del 1934 si è trasferito a Parigi dove ha iniziato la collaborazione a “ltalie nouvelle”, un settimanale di propaganda fascista in Francia diretto da Italo Sulliatti, che è in stretto contatto con la polizia politica fascista. La collaborazione si interrompe bruscamente nel dicembre 1934 in seguito ad alcuni articoli sgraditi a uomini del fascismo in Francia.

Secondo quanto da lui raccontato in seguito (Soltanto un giornalista, pag. 13) Montanelli divenne allora cronista di “nera” di “Paris soir”, inviato dal giornale in Norvegia e poi in Canada per approdare infine a New York come praticante dell’agenzia di stampa “Uniteci Press”.

Iniziata la guerra dell’Italia in Abissinia, chiede all’agenzia di essere inviato al fronte come corrispondente di guerra: l’incarico non gli viene però accordato. Torna allora in Italia, si arruola volontario e il 25 giugno 1935 gli viene affidato il comando di una campagna di Ascari facente parte del XX Battaglione eritreo. Ferito lievemente, due volte decorato, inizia a collaborare dal dicembre 1935 al giornale “La nuova Eritrea” di Asmara, divenuto poi nel maggio successivo “Il Corriere dell’impero” e nel novembre 1936 “Il Corriere eritreo”. Ottiene (dicembre 1935) la tessera di giornalista e nel gennaio 1936 pubblica il suo primo libro, “XX Battaglione eritreo”, che ottiene un notevole successo (tra le recensioni favorevoli quelle di Ugo Ojetti e di Goffredo Bellonici). Montanelli rimarrà sempre molto legato a quel periodo. A suo avviso l’Italia in Abissinia

aveva svolto una missione di civiltà: di qui la sua polemica, durata dal 1965 al 1996, con Angelo Del Baca che nei suoi libri aveva messo l’indice sull’uso da parte italiana nelle operazioni militari di armi chimiche (gas iprite), fatto questo sempre decisamente negato da Montanelli.

Pubblica su “Civiltà fascista” un articolo sulla inferiorità razziale dei negri e viene trasferito all’Ufficio Stampa e propaganda del Presidio italiano ad Asmara fino all’agosto 1936, quando rientra in Italia per tornare poi a Parigi, da dove dal dicembre 1936 al febbraio 1937 invia corrispondenze al “Corriere eritreo”.

Racconterà (Soltanto un giornalista, pag. 33) di aver conosciuto in quel periodo Carlo Rosselli, attraverso suo fratello Nello, poco prima che venissero uccisi: inizierà da quel periodo il suo più volte affermato distacco dal fascismo, fino a definirsi “un fascista saturo e stanco” (Proibito ai minori di quarant’anni, pag. 172).

Collabora .al quotidiano “Il messaggero” di Roma ed al settimanale “Omnibus” fondato e diretto da Leo Longanesi, di cui diviene grande amico e lo resta fino alla morte dello scrittore (insieme “inventeranno ” le memorie di Quinto Navarra, il cameriere di Mussolini, pubblicate da Longanesi nel 1946 indicando Navarra come autore del testo, compilato invece da Montanelli dopo lunghe conversazioni con lo stesso Navarra).

Come inviato de “Il Messaggero” è in Spagna: scrive un articolo sulla battaglia di Santander (14 – 26 agosto 1937), una delle più sanguinose della guerra civile spagnola, e la frase “È stata una passeggiata militare con un solo nemico: il caldo” gli vale l’immediato rimpatrio per ordine di Mussolini, la sospensione dal Partito Nazionale fascista (non vi aderirà più) e quella dalla professione di

giornalista. Montanelli negli anni successivi non condivise mai giudizi di dura critica a Franco, ritenendo trattarsi di un regime abbastanza tollerante, vero baluardo europeo contro il comunismo (v. “Corr. sera” 11 gennaio 1948 e 28 agosto 1951) anche se affermerà di essere tornato dalla Spagna con la tessera di anarchico, conferitagli dal Campesino, comandante della 46° divisione (anarchici) per aver aiutato un anarchico ferito a fuggire oltre il confine, nel bagagliaio di una automobile.

Giuseppe Bottai, Ministro dell’Educazionenazionale, gli trova un posto di lettore di italiano all’università di Tartu, in Estonia, e poi lo fa assumere come direttore dell’Istituto di italiano di cultura a Tallin, la capitale dello Stato, mentre in Italia viene pubblicato “Ambesà”, un libro scritto da Montanelli ampiamente autobiografico sulla sua esperienza africana. Seguirà nella seconda metà del 1938 “Giorno di festa”, pubblicato a puntate sull’”lllustrazione italiana” ed anch’esso ambientato in Abissinia, ed alcune corrispondenze sul quotidiano “La Stampa”.

Nell’estate 1938 Montanelli è di nuovo in Italia dove concorda con il direttore Aldo Borrelli la sua collaborazione a “Il Corriere della sera”: dovrà occuparsi di viaggi e letteratura ignorando la politica. Alla vigilia dell’invio delle truppe italiane nel Paese si reca in Albania da dove scrive alcune corrispondenze che poi pubblicherà (1939) in volume con il titolo “Albania una e mille”.

Nel luglio 1939 “Il Corriere della sera” lo invia in Germania per seguire una manifestazione ciclistica di un gruppo di giovani fascisti. Montanelli resta in Germania, ha occasione, come lui stesso racconta e confermerà nel 1979 Albert Speer, di incontrare Hitler. È ancora in Germania al momento (1 °

settembre 1939) della invasione della Polonia da parte delle truppe tedesche: si reca nella zona del fronte ed invia al giornale alcune corrispondenze pubblicate molti anni dopo in volume (La lezione polacca, 1978) in cui si accenna alla censura tedesca ed al dramma della popolazione coinvolta nell’invasione.

Lasciata la Polonia, Montanelli si reca nuovamente attraverso la Lituania e l’Estonia in Finlandia dove si trova quando le truppe russe penetrano in territorio finalndese (30 novembre 1939) incontrando una accanita resistenza da parte delle truppe finniche.

È il momento della conoscenza con Mannerheim, ex ufficiale zarista divenuto comandante supremo dell’esercito finlandese che si oppone all’invasione russa: sarà una amicizia che pochi anni dopo si rivelerà preziosa per Montanelli (almeno secondo i suoi racconti).
Dal fronte finlandese invia, unico corrispondente europeo da quel luogo, quasi ogni giorno articoli al “Corriere” che verranno poi pubblicati in volume con il titolo “Qui non riposano” (1945): Montanelli diviene uno dei più noti inviati speciali.

A marzo è a Stoccolma e nell’aprile 1940 a Oslo al momento della occupazione tedesca della Norvegia. Le sue corrispondenze risultano non gradite sia ai tedeschi che agli inglesi, che combattono le prime battaglie contro i tedeschi e di cui Montanelli critica la impreparazione agli eventi bellici. Il giornale lo invia saltuariamente in Svezia, da dove torna in Italia.

Dopo il 1O giugno 1940 è corrispondente di guerra dal fronte francese per poi essere inviato a Belgrado, Sofia, Bucarest e Budapest. La campagna militare italiana in Grecia e Jugoslavia sono le ultime occasioni per le sue corrispondenze di guerra. Torna in Italia e il 24 novembre 1942 sposa a Milano

una austriaca, Maggie De Colins De Tarsienne, dalla quale si separerà nel 1951.

Stando al suo racconto, al rientro in Italia decide di “passare all’antifascismo”

(Soltanto un giornalista, pag. 99) entra in contatto con esponenti del Partito d’azione come Parri e Valiani, conosce Maria Josè di Savoia e gli esponenti fascisti come Dino Grandi che stanno organizzando la estromissione di Mussolini dal governo.

È del 1943 il primo intervento di Montanelli in un articolo apparso sul settimanale “Tempo” con il quale collabora dal settembre 1942, sulla questione delle leggi razziali, di cui dà una interpretazione “buonista”: egli rimarrà sempre convinto della necessità di dimenticare il passato, come nel testo teatrale “Kibbutz”, andato in scena a Milano il 1O novembre 1961. Giungerà a scrivere (Corr. sera, 29 ottobre 2000) “lo sono ebreo” senza esserlo veramente.

Dopo 1’8 settembre 1943, ricercato dai fascisti che gli imputano un articolo apparso anonimo sul “Corriere” a proposito del rapporto di Mussolini con Claretta Petacci, tenta di mettersi in contatto con Filippo Beltrami, comandante di una formazione partigiana “badogliana” in Valdossola ma l’incontro non riesce, Beltrami pochi giorni dopo viene ucciso dai tedeschi e Montanelli è rinchiuso nel carcere milanese di San Vittore.

Sempre stando al suo stesso racconto, Montanelli viene successivamente trasferito a Gallarate, dove viene portata anche la moglie, che era stata intanto arrestata. Interrogato dai tedeschi, viene processato da una corte marziale tedesca (un ufficiale della Wehrmacht e due ufficiali delle S.S.) e il 20 febbraio 1944 condannato a morte. La sentenza non viene però eseguita, secondo

Montanelli perché sua madre è riuscita ad ottenere l’interessamento della moglie del gen. Graziani. Anche il card. Shuster intervenne in suo favore e, secondo il racconto che gli fece anni dopo Eugene Dolmann, ex consigliere del gen. Wolf, capo delle S.S. in Italia, anche il suo vecchio amico, il generale finlandese Mannerheim aveva intercesso a suo favore presso i tedeschi.

Sta di fatto che conviene ucciso e viene di nuovo trasferito a San Vittore da dove evade a fine estate 1944 grazie all’aiuto di Luca Osteria, un “agente doppio” che finge di lavorare per i tedeschi ma è invece legato al C.L.N.A.I. ed agli alleati. Anche il maggiore delle S.S. Theodor Saevecke, secondo Montanelli era a conoscenza della progettata evasione. Questa ricostruzione degli avvenimenti è stata però più volte contestata.

Certamente Montanelli (ricercato dai tedeschi in quanto il suo nome sarebbe stato trovato in un rapporto di polizia a proposito dei contatti con Maria Josè e con il suo circolo di antifascisti prima del 25 luglio 1943) nel 1944 fu in contatto con Filippo Beltrami per assumere il comando di una formazione partigiana “badogliana” ma il progettato incontro non ebbe luogo. In una lettera allo zio Alberto Doddoli del 14 marzo 1944 (v. biografia di P. Granzotto) Montanelli afferma di essersi recato all’incontro (poi fallito) “con il proposito di annunciare la sua rinuncia ad unirsi alle bande”.

La lettera è successiva alla cattura di Montanelli da parte dei tedeschi nella sua abitazione milanese, probabilmente a causa della delazione della portiera dello stabile: fu solo un tentativo di depistaggio dei tedeschi o effettivamente Montanelli non intendeva assumere quel comando?

Montanelli restò a San Vittore tre mesi, durante i quali conobbe Mike Buongiorno, anche lui internato, e Giovanni Bertoni, un uomo arrestato per borsa nera e con alcuni precedenti penali, che affermava di essere il generale Fortebraccio della Rovere per cercare di carpire ai reclusi informazioni da passare ai tedeschi, che poco dopo (1944) lo fucilarono: sarà “Il generale della Rovere”, film diretto da Renzo Rossellini nel 1959 in base ad un racconto di Montanelli che trasse ispirazione da quell’incontro.

Saranno necessari molti anni, ben tre sentenze e lunghe ricerche storiche per chiarire il piccolo mistero della identità del Bertone e solo parzialmente i motivi della sua fucilazione a Fossoli il 12 luglio 1944: si trattava effettivamente di un pluripregiudicato, al quale i tedeschi avevano fatto assumere la identità (Fortebraccio della Rovere) già usata dal capitano di fregata Jerzy Sas Kulczychi , di origine polacca, fra i primi organizzatori della resistenza in Veneto, medaglia d’oro alla memoria. Sono restati invece incerti i motivi della fucilazione del Bertone (Rotosei, 20 novembre 1959).

Come e perché Montanelli riuscì ad uscire da San Vittore? È del tutto esatto il ricordo di Montanelli.

Esistono in proposito almeno due ricostruzioni dei fatti parzialmente divergenti tra loro. Punto in comune anche con il racconto di Montanelli è l’importanza avuta da Luca Osteria, l’agente segreto che nei primi anni del dopoguerra mantenne stretti rapporti con Parri e che a suo tempo era stato un informatore della Polizia fascista. La questione è se Osteria favorì la fuga di Montanelli in cambio di 500.000 lire per lui pagate da Aldo Crespi, della famiglia proprietaria del “Corriere della sera” o se fu invece, come da lui stesso più volte dichiarato,

animato solo da spirito patriottico. Altra questione poi è se questo patriottismo fosse veritiero o solo strumentalmente preordinato ad accreditarsi come antifascista presso il C.L.N.A.I. ed i comandi alleati: insieme con Montanelli furono infatti aperte le porte di San Vittore al gen. Zambon, come richiesto dal C.L.N.A.I., e alla cittadina americana Dorothy Gibson, che si diceva parente del Presidente Roosevelt. A garantire loro la libertà fu sufficiente un falso ordine di trasferimento al carcere degli Scalzi di Verona: il viaggio proseguì invece fino al confine svizzero che fu attraversato con l’aiuto di contrabbandieri.

Ad introdurre ulteriori dubbi in questa ricostruzione dei fatti sono però alcuni documenti italiani e americani. Il primo è il verbale datato 1° giugno 1945 dell’interrogatorio del colonnello delle S.S. Walter Rauf, già capo delle S.S. a Milano da parte di alcuni ufficiali della V armata americana in Germania: secondo Rauff Montanelli era stato liberato contro l’impegno di recarsi in Svizzera per inviare da quel Paese informazioni ai tedeschi sui rifugiati italiani (Corr. Sera, 12 luglio 2005).

Una tesi analoga è riportata in una lettera conservata presso l’archivio della Fondazione Lelio e Lisli Basso a Roma di Ada Buffalini, internata insieme alla moglie di Montanelli nel campo di concentramento tedesco di Bolzano: secondo il suo racconto, riportato dalla Buffalini, “suo marito è uscito dal carcere col permesso dei tedeschi con la promessa di aiutarli… Montanelli si sarebbe occupato di lavorare in Svizzera…”.

I dubbi sui motivi della scarcerazione però scompaiono se si guarda alla questione dal punto di vista di Osteria: doveva trovare una motivazione valida per ottenere la liberazione di Montanelli, qualunque fosse la motivazione del suo agire, ed ebbe la trovata, probabilmente d’accordo con il magg. Saevecke, del giornalista – agente segreto tedesco. A favore di questa ricostruzione sta il fatto che una volta giunto in Svizzera Montanelli chiamò in quel Paese Osteria per urgenti comunicazioni, offrendo così una via di fuga, cosa della quale Osteria profittò mettendosi così al sicuro da qualunque ritorsione.

In Svizzera, prima a Lugano (settembre – ottobre 1944) poi a Davos (fino al febbraio 1945) e infine a Berna (marzo – maggio 1945) Montanelli collabora a diversi giornali (Libertà, Gazette de Lausanne, Illustrazione ticinese) ma non riesce a solidarizzare con i rifugiati antifascisti, messi in sospetto dall’aiuto da lui avuto da Luca Osteria per uscire da San Vittore.

Torna in Italia e nel settembre 1945 pubblica “Qui non riposano”, esaltazione del ripudio sia del fascismo che dell’antifascismo e, fallito il tentativo di dare vita ad un settimanale con l’editore Rizzali (il futuro “Oggi”) torna a lavorare al “Corriere della sera”, ribattezzato “Corriere d’informazione” in attesa della fine della epurazione di coloro che all’interno del giornale avevano collaborato con il regime fascista. Dopo un periodo trascorso alla critica cinematografica del quotidiano e poi alla direzione della “Domenica del Corriere” (ribattezzata “Domenica degli italiani”) Montanelli riprende il suo lavoro di inviato.

Alla elezioni del 2 giugno 1946 affermerà (Soltanto un giornalista, pag. 125) di aver votato per la monarchia, ormai interrotto qualunque rapporto con i vecchi amici del Partito d’azione. Viene inviato in Germania, a Norimberga, dove si svolgono i processi contro i criminali di guerra nazisti ma le sue corrispondenze non vengono pubblicate sul “Corriere della sera”, ma sul “Corriere d’informazione” e poi raccolte in volume e pubblicate con il titolo “Morire in piedi” nel 1949 dalla casa editrice del suo amico Leo Longanesi, che l’anno successivo fondò il settimanale “Il borghese”. Al nuovo settimanale Montanelli collabora saltuariamente, spesso firmando con uno pseudonimo.

L’antico collaboratore dell”‘Universale” di Berto Ricci si attesta su posizioni saldamente anticomunista con scarsa fiducia nella democrazia che, annota nel suo diario (31 gennaio 1953) per essere tale deve essere “il governo di un uomo solo”.

A partire dal 24 marzo 1949 “Il Corriere d’informazione”, che è diventata l’edizione pomeridiana del “Corriere della sera” inaugura una rubrica trisettimanale di risposta alle lettere dei lettori: a tenerla viene chiamato Montanelli, che già con il nuovo direttore del “Corriere” Guglielmo Emanuel è tornato ad essere uno dei giornalisti più prestigiosi del quotidiano. Inizia la serie degli “Incontri”, delle interviste cioè a personaggi famosi, da Francisco Franco a Dino Grandi, da Umberto di Savoia ad Andrè Gide, aCharles De Gaulle e a Papa Giovanni XXIII. Saranno raccolte in volume e pubblicate nel 1961 con il titolo “Incontri”.

Gli articoli più polemici sono riservati a “Il borghese”: sono vere e proprie requisitorie contro il “regime democristiano” (“Il borghese”, 7 ottobre 1955 a firma Antonio Siberia) e le timidezze della borghesia italiana (22 ottobre 1954, stesso pseudonimo): è invece arrivato il momento di fronteggiare i comunisti sul loro terreno (14 marzo 1948).

Nel maggio 1953 inizia la sua collaborazione ad “Epoca”, talvolta firmando con pseudonimi articoli in “tono leggermente scandalistico” (Lo stregone, pag. 185) secondo le sue stesse affermazioni. La collaborazione durò meno di un anno e si concluse con una lettera polemica all’editore Mondatori (ivi, 186).

L’anticomunismo è oramai il suo centro dominante di attenzione: in tre lettere, rinvenute negli Stati Uniti (v. Italia contemporanea, settembre 1998) ed inviate nel 1954 all’ambasciatore statunitense in Italia Giare Boothe Luce, Montanelli giunge ad ipotizzare una “organizzazione terroristica e segreta con a capo Giovanni Messe per combattere con l’aiuto dell’America il comunismo.

Nel 1953 è inviato del “Corriere” negli Stati Uniti, dove resta tre mesi. Tre anni dopo è in Ungheria, poco dopo l’inizio della sommossa contro i sovietici (28 giugno). La sua prima corrispondenza è da Budapest il 1° novembre, alla vigilia (2 – 3 novembre) dell’attacco della città da parte dell’Armata rossa: lascerà la città dieci giorni dopo. Il “Corriere della sera” e “Il Corriere d’informazione” daranno ampio spazio ai suoi racconti drammatici di quei giorni: Montanelli insiste sul carattere antisovietico e non anticomunista della rivolta ma la destra italiana, ad iniziare dal suo vecchio amico Leo Longanesi, non condivide il giudizio: ne seguirono vivaci polemiche ed una rottura del rapporto di amicizia con Longanesi, che muore poco dopo (27 settembre 1957): si era riconciliato con il suo vecchio amico solo tre settimane prima.

Sull’esperienza ungherese Montanelli scrive anche un lavoro teatrale (I sogni muoiono all’alba), rappresentato a Milano al Teatro delle novità nel 1960 e da cui l’anno successivo fu tratto un film che non ebbe però molta fortuna.

Nel 1959 esce il primo volume della monumentale Storia d’Italia, iniziata da solo e scritta poi con la collaborazione di Roberto Gervaso prima e di Marco Nozza: l’opera, di carattere divulgativo, ha avuto e ha ancora grande successo e ne sono state stampate varie edizioni.

Nel 1974 Piero Ottone diviene direttore del “Corriere della sera”: Montanelli, non condividendo la nuova linea politica di centro – sinistra del quotidiano, fonda “Il Giornale nuovo”, su posizioni di centro – destra. Nello stesso anno sposa Golette Cacciapuoti Rosselli, la popolare giornalista Donna Letizia, già moglie di Raffaele Rosselli, cugino di Carlo e Nello.

Nelle elezioni politiche del 1956 Montanelli invita i lettori a votare per la Democrazia Cristiana “turandosi il naso” perché ritenuta fra tutte la soluzione meno peggiore.

Il 16 marzo 1975 la sede del “Giornale” a Milano viene assalita dagli extraparlamentari di sinistra: il giornale ha dato notizia della uccisione di due militanti di sinistra alla fine di una manifestazione in piazza Cavour contro gli sfratti ad opera di due militanti di destra parlando di opposti estremismi e non di aggressione della destra.

Il 10 febbraio 1976 “Il Giornale” lamenta l’assenza di autorità alla consegna di una medaglia d’oro al ten. Umberto Rocca, che aveva guidato l’azione contro le

B.R. in cui restò uccisa Mara Cagai (5 giugno 1975).

Il 2 giugno 1977, nel contesto dell’azione sviluppata dalle Brigate rosse per colpire i giornalisti schierati contro di esse (v. scheda Casalegno), Franco Bonisoli, un brigatista che partecipò anche al sequestro Moro e sarà condannato all’ergastolo nel 1983, gli spara alle gambe in prossimità dei giardini di Via Palestro a Milano.

Un proiettile passa a poca distanza dall’arteria femorale, ma Montanelli è salvo: diverrà amico di Bonissali che, alla sua morte, sarà l’ultimo a lasciare la sua camera ardente scrivendo “Grazie” sul registro delle firme. Il “Corriere della sera” darà notizia di quanto avvenuto con il titoletto “Gambizzato un giornalista” non conferendogli nemmeno l’onore della citazione.

Montanelli non cambia linea: nel 1978 (30 aprile) a proposito della lettera di Moro, prigioniero delle B.R., in cui saluta i familiari sentendo vicina la fine, scrive che quella lettera segna una resa che non condivide.

Nel 1988 un’inchiesta del “Giornale” sulla ricostruzione delle zone terremotate in Irpinia in cui De Mita è definito “padrino” porta alla costituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui fatti.

La situazione finanziaria de “Il Giornale” va peggiorando. Il 12 gennaio 1994 Berlusconi, che è diventato l’azionista di maggioranza, in ottemperanza alla “legge Mammì” sulla proprietà dei mezzi di informazione, essendo già titolare di tre reti televisive limita la sua partecipazione al 29 per cento del capitale azionario e cede il resto al fratello Paolo.

Alla vigilia delle elezioni politiche del 1994 Berlusconi decise di candidarsi con la nuova formazione politica “Forza Italia” e chiede a Montanelli, che appoggia la coalizione di centro riunita dal cosiddetto “Patto Segni” dal nome del suo leader Mario Segni, di mutare rotta e di sostenere la sua forza politica. Montanelli rifiuta, sostenendo che spetta al direttore del giornale e non all’editore determinare la linea, abbandona la direzione del “Giornale” e ne fonda uno nuovo, “La voce”, dopo aver rifiutato l’offerta di Agnelli di dirigere il “Corriere della sera”. Montanelli, secondo il suo racconto, rifiutò affinché non si dicesse che aveva rotto con Berlusconi per ottenere il “Corriere”, ma è probabile che il rifiuto trasse motivo dall’ambiente ostile che avrebbe trovato nel suo vecchio giornale.

Il nuovo quotidiano avrà vita breve (dal 23 marzo 1994 al 12 aprile 1995) ancora una volta per difficoltà finanziarie: gli industriali finanziatori (Luciano Benetton, Marco Cecchi Gori, Leonardo Del Vecchio, Marco Vitale) lo sostennero fino a quando fu possibile ma di fronte alla calante diffusione del giornale, cessarono di finanziarlo.

Dopo una breve esperienza a Telemontecarlo, con la quale aveva già collaborato all’inizio degli anni ’70 in un programma sponsorizzato dal “Giornale”, nel 1995 torna al “Corriere della sera” che gli affida una rubrica, “La stanza”, che curerà fino alla morte. Nello stesso anno è nominato Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica.

Muore a Milano il 22 luglio 2001, a 92 anni. Il 18 luglio aveva voluto scrivere lui stesso il suo necrologio. Volle essere cremato e che l’urna con le sue ceneri fosse collocata nel cimitero di Fucecchio accanto alla tomba della madre.

Bibliografia

Marco Clementi, Storia delle Brigate rosse, Roma, 2008. Sandro Gerbi, Raffaele Lucci, Lo stregone, Torino, 2006. Paolo Granzotto, Montanelli, Bologna, 2004.
Indro Montanelli, Soltanto un giornalista, Milano , 2002. Indro Montanelli, Qui non riposano, Milano, 1945.
Indro Montanelli, XX Battaglione eritreo, Milano, 1936. Indro Montanel li, Il generale della Rovere, Milano, 1959. Indro Montanelli, Morire in piedi, Milano, 1949.
Indro Montanelli, Incontri, Milano, 1961. Indro Montanelli, Storia d’Italia (dal 1959)
Marcello Stagliene, Il Giornale 1974 – 1980, Milano, 1980.
Di Indro Montanelli sono indicate solo le opere citate nel testo.


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