IL PREDOMINIO DELL’OSSESSIONE

BEPPE ATTENE

Come tutti sappiamo alcuni piccoli episodi recenti hanno mostrato non soltanto l’esistere ma addirittura il predominare di una ossessione.

La attribuzione della qualifica di “fascista” a gesti normati e abitudinari, la scoperta di un retroterra “fascista” abilmente nascosto, il bisogno di ricondurre a quella matrice qualunque fatto denotano l’esistenza di una paranoia ossessiva molto più diffusa di quanto si sarebbe potuto pensare.

Ora, la forza della paranoia sta essenzialmente nella sua capacità di respingere le smentite, ed anzi di venirne rafforzata.

Se viene detto e sostenuto che così non è, ciò dimostra invece che è proprio così.

L’esempio più tipico è il caso del testo I protocolli dei Savi di Sion.

La storiografia ha accertato e certificato che si tratta di un falso documento, realizzato dalla polizia zarista in chiave antisemita, ma proprio questa certificazione di falsità viene addotta a sostegno della veridicità del testo stesso.

Poiché, sostiene il paranoico, il potere della finanza ebraica si manifesta in maniera evidente, quel falso testo è dunque vero. O meglio, può anche essere falso ma ci dice la verità che il paranoico conosce a prescindere.

È per questo che non serve spiegare che quel gesto non è un saluto romano.

Il paranoico sosterrà, e penserà profondamente, che proprio quella insistenza a chiarire, così diffusa e anche ironica, è proprio la dimostrazione di una verità nascosta, dagli altri, ma che egli vede.

Ma allora, come affrontare (e curare, se si può) l’ossessione?

In primo luogo avendo presente da dove nasce e da chi viene eventualmente sostenuta e diffusa.

In primo luogo accettando l’idea, quasi banale, che l’Italia non ha mai superato ed elaborato sino in fondo il rapporto con quell’innegabile fatto storico che risponde al nome di Regime Fascista.

Si dirà, immagino, che questa assenza di elaborazione è tipica di un continuismo che caratterizza tutta la nostra Storia, da sempre.

Appartiene forse al carattere italiano l’assenza di momenti catartici, dal forte valore simbolico che rimangano fissi nella coscienza collettiva. Noi giungiamo a Porta Pia bestemmiando il traffico, totalmente svincolati dalla memoria di quel 20 settembre 1870 e di cosa davvero significava o avrebbe potuto significare.

E, del resto, come potremmo altrimenti spiegare che una graziosa giornalista televisiva ci comunichi che il 2 Giugno del 1946 gli italiani scelsero la Monarchia? Ha sbagliato una notizia, può succedere.

Tuttavia, la mancata elaborazione del Fascismo è cosa più complessa.

In primo luogo essa è il frutto della sconfitta politica del Partito d’Azione che era stato l’unico avversario del Fascismo non su base ideologica, raccogliendo la gloriosa esperienza di Giustizia e Libertà.

Gli Azionisti furono probabilmente gli unici a chiedere una vera “soluzione di continuità” con il Fascismo. L’indignazione di Ferruccio Parri con la definizione di “macelleria messicana” per i fatti di Piazzale Loreto conteneva la lucida consapevolezza che quel finto processo popolare avrebbe impedito per molti anni all’Italia di liberarsi di quanto era avvenuto nella ventina di anni precedenti.

Vinsero, invece, i partiti – Stato che, pur democratici, ambivano a conquistare e gestire quello Stato che il PNF aveva governato assolutisticamente dal 1925 sino al Luglio del ’43.

Tra essi si distingueva il PCI il cui leader Palmiro Togliatti aveva scritto nel 1936 una vibrante lettera “ai Fratelli Italiani in Camicia Nera” in cui rivendicava (dall’Hotel Lux di Mosca) la vicinanza con i valori fondanti del Fascismo.

Gran parte dell’elettorato italiano (di sinistra, di destra o cattolico che fosse) riteneva di avere buoni motivi per non riconoscersi nel nuovo Stato. I Partiti si proposero, in continuità con il PNF, come mediazione necessaria con l’Istituzione che si andava costruendo.

L’unica, e importantissima, modificazione fu una forma di dialettica democratica che l’Italia non aveva avuto mai modo di sperimentare. In questa condizione il richiamo all’antifascismo fu il fattore comunque unificante delle formazioni politiche chiamate a governare la Repubblica Democratica.

Questa categoria, per quanto difficilmente definibile,diventò una ipostasi indiscutibile. L’Unità poteva inneggiare ai carri armati russi che nel ’56 invadevano Budapest ma l’importante era che tutti si riconoscessero non nella Democrazia, ma nell’Antifascismo. Ora, non soltanto questo diffuso atteggiamento impedì una vera elaborazione collettiva del Ventennio ma, come sempre accade, l’ossificazione di una posizione portò con sé anche quella della posizione contraria.

Così la contrapposizione tra fascisti e antifascisti diventò un comodo alloggio per tutti, regalando un’appartenenza gratificante ad entrambe le parti.

L’antifascismo era il peggior lascito del Fascismo, ma il paradosso fu che a tenerlo in vita furono anche coloro che avrebbero dovuto essere più interessati a liberarsene.

Qui nasce il permanere della ossessione, di cui all’inizio.

In un gioco strumentale in cui “nostalgici e non” hanno insieme contribuito alla non elaborazione di un periodo cruciale per la Storia e l’Identità italiana. L’unico modo per uscire da questa trappola è, oggi, la ricostruzione storiografica senza strumentalità. Sostenere che ci sono prove del fatto che Mussolini non fu, nonostante il discorso del 3 Gennaio, tra i mandanti del delitto Matteotti non è essere né fascisti né antifascisti.

Analizzare e documentare il sostegno inglese alla presa (e al mantenimento) del potere di Mussolini dovrebbe essere possibile senza retro – pensieri.

Studiare e raccontare l’azione delle Nazioni Europee verso l’Italia sia in pace che in guerra potrebbe aiutarci tutti a superare l’ossessione ricorrente.

E così via.

Sarebbe necessario accettare l’idea che la nuova Italia non è nata dalla dialettica contrapposizione tra Fascismo e Antifascismo, ma da una serie immensa di fattori nazionali ed internazionali che in quegli anni drammatici hanno giocato sul nostro territorio nazionale anche alla luce degli interessi europei e mondiali.

Troppi misteri abbiamo ancora alle spalle, troppe porte non aperte ci tolgono ancora l’aria.


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