“In viaggio per l’unità dei liberal-democratici” sullo schermo che domina la grande sala del Big Theatre – Mind in cui per due mezze giornate si sono incontrati qualche migliaio di cittadini, sfidando tutti i disagi di una inadatta location (il deserto dell’area Expo a Rho), per confrontare le loro idee sulla ipotesi di fondare un nuovo soggetto politico con una vecchia denominazione “partito liberale”.
La buona conduzione del programma affidata al direttore del Riformista Claudio Velardi e il livello alto delle quattordici relazioni che hanno animato la prima sessione dei lavori hanno fatto da cornice al confronto delle idee che si è sviluppato nella seconda giornata. Una gara che lo speaker Aldo Torchiaro ha saputo organizzare mettendo a disposizione di una platea attenta e partecipe uno spaccato della realtà attuale del Paese e una ricchezza di progetti per una possibile modernizzazione del Paese. In questo contesto sono stato invitato ad intervenire come direttore del nostro magazine.
Dopo aver ricordato che il 19 febbraio del 1949 Mario Pannunzio dette vita, nel bel mezzo dello scontro tra Democrazia Cristiana e Fronte Popolare, a “Il Mondo” un giornale indipendente ai cui valori ci siamo richiamati quando abbiamo editato “il mondo nuovo” come spazio editoriale per una ricerca sulla fase di transizione che viviamo e per una riflessione sulla crisi del pensiero politico, ho condiviso l’analisi dell’attualità politica contenuta nel libro LA MISSIONE POSSIBILE scritto da Luigi Marattin: “Un progetto politico si caratterizza per quattro imprescindibili elementi, leadership, classe dirigente, idea di società, organizzazione.” Se ne manca uno solo di questi elementi sono guai, osserva l’autore, ma se sono di più si dà vita ad una galleria degli orrori: dal MES al superbonus fino al caso Bibbiano. Ma ciò che ha fatto più male di tutti, anche perché è l’origine degli orrori, il cosiddetto populismo.
Tutto cambia sotto i nostri occhi. È necessario custodire la memoria, conservare le nostre radici, non dimenticare le tragedie del Novecento, la dittatura, la guerra, la shoah e poi la rinascita, il miracolo economico, l’unità dell’Europa, i diritti civili, l’incontro culturale e politico tra cattolici e socialisti, le ombre e le luci di un secolo che ci consegna una esperienza storica necessaria per mantenere la rotta attraverso la rivoluzione digitale. C’è tutto quello che ci serve per interpretare il presente e per cercare la via d’uscita verso il futuro.
E’ tornata la paura. Tutta colpa dello zar di Mosca e dei suoi sogni imperiali. Tutta colpa del terrorismo islamico.
Poi è arrivata la pandemia, tutto si è fermato, ciò che è rimasto è un diffuso senso di insicurezza, di sfiducia, un sentimento diffuso di depressione. A ciò si aggiunge la tendenza a considerare quello che c’era prima una sorta di paradiso terrestre per cui, quando è venuto a mancare, ci ha precipitato nella nostalgia e abbiamo celebrato il “come eravamo”, come stavamo bene (pur sapendo che non è vero). Ora siamo alla ricerca di un’uscita di sicurezza, sospesi tra memoria e futuro.
Ma non è con le culture dell’Ottocento o con le ideologie del ‘900 che si possono risolvere i problemi di oggi. Con la caduta del muro di Berlino e il crollo dei regimi comunisti si è celebrata la superiorità del sistema capitalistico e si è affermata l’idea che il mercato, solo e senza regole, fosse in grado di garantire un indefinito sviluppo e una ricchezza diffusa. La realtà nella quale siamo ci dice un’altra cosa: venti anni di globalizzazione, invece di darci un mercato sano ed equilibrato, ha determinato uno squilibrio ancora più forte.
La rete ha innescato un processo che ha messo in discussione il primato della classe dirigente minando alla radice il valore delle èlite, intellettuali e politiche, “creando” un nuovo protagonista, il leader, padre padrone capace di fornire lui solo tutte le informazioni e i “consigli” per il bene comune, una ricetta per ogni problema coerente con l’“attualità culturale” dei suoi follower. In definitiva si è alimentata l’illusione che il potere di “fare politica” si sia trasferito dalle classi dirigenti agli influenzer, i leader del nuovo millennio.
Quale strada intraprendere?
Se non è una buona idea tornare a “come eravamo”, non è altrettanto accettabile la condizione attuale. Dalla transizione dobbiamo uscire nella prospettiva di una diversa configurazione della società e del potere politico e istituzionale. Ci vuole, scrive Marattin, “un progetto politico-culturale in grado di rimuovere le radici del problema italiano” ma subito aggiunge “serve anche altro”.
Anzitutto si devono liberare gli individui dalla paura: di non essere, curati se malati, di non avere fonti di sostentamento per il venir meno delle possibilità di lavoro, di avere il supporto dei servizi sociali pubblici, di possibili violenze contro la persona e i beni, di garanzia di sicurezza pubblica e privata. Ciò presuppone la spinta ad una nuova socialità, socialista e cristiana, quale premessa necessaria affinché ciascuno senta la presenza dell’altro, l’appartenenza ad una comunità sociale di cui voglia contribuire a stabilire le regole.
Una politica della città. Una politica della produzione. Una politica della solidarietà. Una politica dell’istruzione.
Ma oltre il programma si deve fondare una politica capace di riportare umanità e convivialità nelle nostre esistenze. Una progetto umanista.
Un ideale per migliorare le relazioni fra gli uomini.
Con i suoi scritti Edgar Morin ci ha spinto ad aprire il cantiere del “Mondo Nuovo” per un confronto di idee su quella crisi che è all’origine di tutte le crisi del nostro tempo: la crisi del pensiero. Per fronteggiare le forze regressive che investono la nostra società la scelta è la speranza coraggiosa della lotta iniziale. Ci è venuto in aiuto Vito Mancuso con il suo ultimo “Destinazione speranza”: se saremo in grado di essere noi stessi in relazione con gli altri, di resistere all’egoismo favorendo la solidarietà, di ridare valore alla dimensione morale al fine di agire con responsabilità, saremo capaci di raccogliere la sfida, poco importa da dove veniamo, sotto quale bandiera abbiamo militato, ci vuole il “coraggio di partire” per restaurare la speranza. Non un sogno, ma una “lotta”.
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