GEORGIA: NUOVA MAIDAN O VECCHIE BEGHE?

Un vento colmo di conflittualità soffia sulle terre caucasiche, che dopo l’Ucraina si apprestano a diventare un altro pezzo della nuova cortina di ferro che pian piano si sta consolidando dalla Finlandia fino alla Georgia.

In modo del tutto simile ad altre ex repubbliche sovietiche, la storia della Georgia è stata ed è tutt’ora caratterizzata da una divisione atavica e difficile da seppellire nelle pagine della storia; la vicinanza alla Russia e il difficile tentativo di convivere con questo ingombrante vicino, cercando nel mentre di avvicinarsi alla sfera di influenza occidentale, ma senza essere divorata del tutto da questa. Un difficile compito di equilibrismo strategico che ben si riflette nella classe dirigente e nei partiti che governano questo piccolo paese caucasico di appena tre milioni di abitanti, il massimo rappresentante di questa strategia, infatti, è il partito attualmente di maggioranza “Sogno Georgiano”.

Sogno Georgiano è stato definito in questi ultimi mesi come un “partito filorusso”, cosa che in realtà non è. Il partito ha sempre assunto in modo coerente un atteggiamento pragmatico nelle relazioni con la Russia, ben tenendo a vista una futura integrazione euro-atlantica. Nel 2015 per esempio in Georgia fu aperto un centro di addestramento della NATO, l’allora primo ministro Irakli Garibashvili (esponente di Sogno Georgiano) affermò che “il centro di addestramento per il personale militare non è in alcun modo diretto contro la Russia. Siamo chiamati a mantenere un approccio pragmatico nelle nostre relazioni con la Russia”

Oppure come scrive Tilman Alioscia su Valigia su in merito alla posizione di Sogno Georgiano nei confronti della Russia: “[I]l governo georgiano viene superficialmente descritto come “filorusso”, categorizzazione non necessariamente sbagliata, ma semplicistica e che rischia di portare fuori strada chi non conosce le dinamiche del paese… i legami tra il partito di governo, Sogno Georgiano, e Mosca, se esistono, non sono palesi… quella di “governo russo” è la descrizione usata dalle opposizioni e da chi è contrario alla legge per mobilitare gli abitanti… L’etichetta di filorusso va usata quindi con attenzione… affermazioni come “Putin ha ordinato il passaggio di questa legge”, che si legge su certa stampa italiana come dati di fatto, sono in realtà indimostrate”

E infine

Nel marzo del 2023, uscì sui giornali italiani questa notizia: “In Georgia il partito al governo ha annunciato l’intenzione di “presentare immediatamente” la richiesta per entrare a far parte dell’Unione europea, definendola come un’operazione che “aumenterebbe la sicurezza dei suoi cittadini”. Irakli Kobakhidze, leader del Georgian Dream, mercoledì ha detto alla stampa che la decisione del suo partito è “basata sul complessivo contesto politico e sulla nuova realtà” degli ultimi giorni, aggiungendo poi che “la richiesta dovrebbe essere avanzata giovedì”, quindi nelle prossime ore.”

la Georgia come paese sovrano cerca di difendere i suoi interessi e la sua sicurezza interna come può, cercando di tutelarsi dalle infiltrazioni straniere siano esse Russe o occidentali e che possano in un qualche modo creare disordine e poter condizionare l’opinione pubblica interna in modo compromettente agli interessi nazionali. Proprio a questo dovrebbe servire la legge sugli “agenti stranieri”, che in modo un po’ frettoloso è stata descritta dai nostri media come una legge in stile “russo”, forse dimenticandosi del “FARA” statunitense che per certi aspetti è anche più restrittivo della analoga georgiana.

Ma andiamo con ordine. Da diversi decenni, in Georgia operano almeno 6 ONG filo-occidentali e lavorano attivamente per creare un’opinione pubblica favorevole all’integrazione euro-atlantica. Tra le più importanti ci sono USAID, Free Russia che mira a rendere la Russia un paese libero e democratico (sempre secondo standard occidentali non chiari) e la Open Society foundation, che in parte finanzia USAID e altre ONG minori. senza contare i Think Thank, quei serbatoi di pensiero ( o di propaganda se volete) che lavorano con la stesse finalità sopracitate.

Ora, non lasciamoci ingannare dalle dichiarazioni di intenti, quella che si sta giocando in caucaso è una dura lotta di posizionamento, dove molto probabilmente vincerà chi riuscirà a organizzare per primo un colpo di stato che in questo caso possa avvicinare di più la Georgia all’influenza occidentale, strappandola a questo equilibrismo precario che la rende al tempo stesso protagonista di alcuni equivoci con il suo ingombrante vicino. Si sa fin troppo bene, che in altri contesti, la scusa dell’esportazione della democrazia e delle libertà è sempre stato un buon cavallo di troia per l’imperialismo statunitense, che in un sistema di pesi e contrappesi finisce per alimentare il suo opposto russo, in un cane che di morde la coda all’infinito.

Un caso abbastanza evidente di questa influenza, sono tutti quei manifestanti che nelle scorse settimane hanno affollato le piazze di Tblisi, sventolando bandiere statunitensi, europee ed ucraine. Alcuni media locali, riferiscono che tra i tanti partecipanti a queste manifestazioni imponenti non sono passati inosservati i membri della “legione georgiana”, cioè dei mercenari che durante gli eventi di piazza Maidan in Ucraina nel 2014 hanno contribuito ad affollare le piazze portando gente e creando vari disagi, che spiazzano dal lancio di molotov contro i palazzi governativi all’appiccare incendi. Si pensa che oltre ad azioni contingenti e vandaliche, ci sia stato un supporto anche all’altro protagonista inosservato di Maidan, cioè Pravy Sektor, l’altro grande battaglione-partito che proprio in quei giorni così fomentati, intimava all’allora presidente Yanukovich di abbandonare il paese, pena l’uso della violenza per cambiare il corso politico di un paese, che come la Georgia oggi, scontava un’eccessiva indipendenza nelle relazioni estere, dei vasi di coccio tra i vasi di ferro insomma.

E con libertà nelle relazioni estere si intende proprio il commercio con la Russia a scapito degli Stati Uniti.

Anche se può sembrare contro intuitivo e complesso, il paradosso è che nel mentre si cerca di integrare la Georgia tra le istituzioni occidentali, le istituzioni georgiane possano assumere un atteggiamento di rallentamento nel tentativo di non apparire ostili al vicino russo, nel mentre l’occidente potrebbe vedere questo rallentamento come una forma di ostilità, alzando i toni e fomentando le manifestazioni interne al paese, che a sua volta richiamerebbero un maggiore sentimento nazionalista ed euroscettico che rallenterebbe il tutto. In questo caso il rallentamento è dovuto alla legge sugli agenti stranieri, un domani chissà.

Nel merito, la legge sugli agenti stranieri prevede di inserire in un apposito registro tutte quelle fondazioni senza scopo di lucro che ricevono più del 20% dei loro finanziamenti da enti/stati esterni alla Georgia con relative misure penali per chiunque non adempia a tale obbligo, come una multa da 9000 euro. E con enti/stati esterni si intendono tutti, dalla Russia fino agli Stati Uniti. E Quindi cercando di mettere un freno a quelle ONG che starebbero lavorando attivamente per condizionare l’opinione pubblica georgiana.

Come accennavo priva negli Stati Uniti a tal proposito esiste la Foreign Agents Registration Act, che oltre al parametro dei finanziamenti esteri, include anche un “movente ideologico” cioè il fine con il quale la X ONG agisce nel paese. La FARA, venne istituita verso la fine degli anni 30, quando una certa aria di conflittualità imponeva agli Stati Uniti di difendersi dalla propaganda Britannica e Tedesca per impedire condizionamenti dell’opinione pubblica.

Giacomo Gabellini su “l’Antidiplomatico”, aggiunge che oltre alle 6 ONG citate, c’è ne potrebbe essere addirittura altre che non vengono prese molto in considerazione quando si parla di Georgia e di intromissioni straniere:

“ La sigla identificativa Quasi-Autonomous Non-Governmental Organization (Qango) che le caratterizza tradisce la parzialità di queste associazioni, tutte riconducibili a uffici e agenzie statunitensi che se ne servono per portare avanti i loro piani strategici senza lasciare tracce che possano ricondurre a Washington, attraverso una sorta di diplomazia parallela e in buona parte privata condotta anche con l’ausilio di think-tank allineati come l’American Enterprise Institute (Aei) o il Center for Strategic and International Studies.

Nonché al National Endowment for Democracy (Ned), una società privata senza scopo di lucro istituita dal Congresso nel 1983 dietro raccomandazione del direttore della Cia William Casey per provvedere al fruttuoso reimpiego dei finanziamenti pubblici stanziati annualmente per la “promozione della democrazia nel mondo”. In realtà, la funzione del Ned consisteva nell’assicurare la tutela degli interessi statunitensi all’estero evitando il ricorso alle metodologie di cui la Cia aveva fatto largo impiego nei decenni passati attirandosi forti critiche anche all’interno degli stessi Stati Uniti.

Lo ha riconosciuto da senza mezzi termini lo stesso Allen Weinstein, che in qualità di architetto di punta del Ned dichiarò al «Washington Post» che «buona parte delle operazioni che portiamo avanti oggi [attraverso il Ned], venticinque anni fa era gestita dalla Cia».

Sul piano pratico, il Ned si occupa, al pari delle agenzie e degli uffici dipartimentali parimenti coinvolti nei progetti di democracy building all’estero (!), di sovvenzionare, per tramite della strutturata rete di Ong, singoli candidati stranieri accuratamente selezionati, così da garantire loro maggiori possibilità di successo sul piano elettorale o per quanto concerne il rovesciamento di governi sgraditi senza ricorrere ai dispendiosi e ormai inadeguati metodi convenzionali tipici della Cia e del Pentagono. Il fine ultimo è quello di promuovere la diffusione di sistemi aperti al “libero mercato” e di installare al potere classi dirigenti alleate disposte a estinguere il debito di gratitudine contratto con i sovvenzionatori Usa con l’adozione di misure confacenti agli interessi statunitensi.”

Mentre il professor Francesco dall’Aglio rileva che:

“la legge russa sugli “agenti stranieri”, adottata nel 2012 e via via inasprita nel corso degli anni (l’ultima volta nel settembre 2022) obbliga chiunque riceva o abbia mai ricevuto non meglio specificati “sostegno” o “influenza” dall’estero (anche non finanziari), o sia stato “affiliato” a entità straniere a dichiararsi “agente straniero”, perdendo il diritto a ricevere finanziamenti statali, lavorare nelle università statali o insegnare nelle scuole, e rischiando di avere i propri canali di comunicazione (tipo il sito web) chiusi dalle autorità senza bisogno di un ordine del tribunale […]. La proposta di legge georgiana imponeva a media e associazioni (non privati cittadini) che ricevono dall’estero più del 20% dei propri fondi di registrarsi in un apposito elenco e inviare al Ministero degli Interni la propria documentazione finanziaria una volta all’anno, pena una multa corrispondente a 9.550 dollari. In caso non si ottemperi a questa disposizione sono previste varie misure amministrative che, nei casi più gravi, diventerebbero penali. Più che alla “legge russa” sembrerebbe quindi somigliare al Foreign Agents Registration Act statunitense, che impone la “public disclosure” di individui o enti che svolgano attività di lobbying o di sostegno a governi, organizzazioni o cittadini stranieri tramite registrazione presso il Ministero della Giustizia nella quale va dichiarato il loro rapporto con questi enti stranieri, la propria attività a loro favore e i compensi percepiti”

La preoccupazione di fondo condivisa da diversi osservatori è che la Foreign Agents law georgiana sia sgradita all’occidente non tanto, per la sua non democraticità, ma perché non propedeutica agli interessi esteri Euro-atlantici. Come scrivevo all’inizio di questo pezzo, il Caucaso è solo una parte di una nuova cortina di ferro che in questo caso si sta giocando sulla pelle dei Georgiani, con tutti i rischi annessi di una guerra civile e di un ulteriore incrinamento dei rapporti con i paesi non NATO.

Del resto, il paese è frammentato da separatismi di vario genere, basti pensare All’Abcasia o all’Ossezia del Sud. Fronti ancora caldi e pronti a riaccendersi spinti da una possibile rivoluzione colorata, di cui il popolo georgiano non beneficerebbe affatto.

Fonti:


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