ENRICO FERMI E I SUOI RAGAZZI

La storia di una generazione di fisici italiani che fondò la fisica nucleare

Alla testa di questo gruppo c’era Enrico Fermi, il quale ebbe la prima cattedra italiana di fisica teorica istituita alla Sapienza di Roma, all’età di 25 anni e diventò accademico d’Italia a 30 anni.

Istituì a Roma la prima scuola sperimentale di fisica dove si formò una straordinaria generazione di fisici che dominarono il loro campo per una trentina di anni e furono chiamati, per il nome della via dove sorgeva l’istituto “i ragazzi di Via Panisperna”. Nel gruppo c’erano, tra gli altri, Segré, Amaldi, Rasetti, Pontecorvo e soprattutto c’era Ettore Majorana, un vero genio che lo stesso Fermi, il suo maestro, paragonò addirittura a Galileo e a Newton. « Al mondo – disse Fermi – ci sono varie categorie di scienziati; gente di secondo e terzo rango, che fanno del loro meglio ma non vanno lontano. C’è anche gente di primo rango, che arriva a scoperte di grande importanza, fondamentale per lo sviluppo della scienza. Ma poi ci sono i geni come Galileo e Newton.
Ebbene Ettore era uno di quelli. Majorana aveva quel che nessun altro al mondo ha. Sfortunatamente gli mancava quel che è invece comune trovare negli altri uomini: il semplice buon senso. »

Fermi con i suoi ragazzi si dedicò alla produzione di elementi radioattivi artificiali mediante bombardamento di neutroni. Soltanto alcuni anni dopo, nel fatidico 1938 (l’anno in cui si decidono le sorti del mondo perché Hitler si prepara alla guerra e l’Italia di Mussolini si adeguerà promulgando le leggi razziali), si capirà che Fermi aveva prodotto la fissione dell’atomo dell’uranio. E’ il primo passo fondamentale che porterà alle grandi scoperte nucleari nelle loro applicazioni pacifiche che tanto bene hanno fatto e fanno all’umanità ma anche nelle applicazioni per fini bellici che porteranno alla costruzione della bomba atomica.

Proprio dal 1934 esce dal gruppo Ettore Majorana il quale dichiara in una lettera alla sorella che “i fisici italiani sono su una strada sbagliata” e che teme le applicazioni pratiche incontrollate della loro scoperta.

Probabilmente Majorana capì con 4 anni di anticipo rispetto a Fermi e a tutta la fisica mondiale che la costruzione di ordigni nucleari era a portata di mano.

Majorana entra in crisi, diventa inquieto. Dalle lettere che invia a suo zio Quirino, anche lui insigne fisico, si evince che Ettore teme i possibili sviluppi militari dal lavoro del gruppo di Fermi. Decide di tirarsi fuori e nel marzo del 1938 scompare, dando vita ad un mistero che non è mai stato dissipato. L’ipotesi che è stata più accreditata, anche da Leonardo Sciascia, è quella del suicidio ma Enrico Fermi dichiarò che “Ettore con la sua straordinaria intelligenza, se lo avesse voluto, avrebbe potuto sparire cancellando ogni traccia della sua esistenza”.

Nel 1938 Mussolini si adegua alle direttive di Hitler e promulga le leggi razziali che rendono la vita pubblica e sociale impossibile agli ebrei. Fermi non è ebreo ma lo è sua moglie e di conseguenza lo sono i suoi figli (è la mamma ebrea a dare l’imprinting ai figli) e quindi pensa di lasciare l’Italia. L’occasione glie la fornisce il Premio Nobel per la fisica che gli viene assegnato. Parte nel novembre del 1938 per Stoccolma per ritirare il prestigioso premio, con tutta la famiglia, e da lì si trasferisce negli Stati Uniti, dove riprende i suoi studi.

A Chicago Fermi progetta e costruisce il primo reattore nucleare a fissione, che produsse la “prima reazione a catena controllata”.

Nel 1939 Albert Einstein invia al Presidente degli Stati Uniti Roosevelt una lettera che è passata alla storia. Il grande scienziato mette in guardia dal pericolo che viene dalla Germania, che, secondo lui, ha avviato i tentativi di costruire ordigni nucleari. Il Presidente raccoglie l’appello e incomincia a finanziarie le ricerche nucleari. Prima finanziando gli studi di Fermi che nel  frattempo ha sperimentato la prima pila atomica, poi dando vita al “Progetto Manhattan”: scienziati e tecnici con le loro famiglie vengono trasferiti a Los Alamos, nel New Mexico, dove viene allestita, intorno ai laboratori, una vera e propria città. A Los Alamos si dà vita a una corsa contro il tempo: l’imperativo è arrivare prima di Hitler. Ma alla fine della guerra si potrà scoprire che Hitler era avanti soltanto nella costruzione dei missili. Anche se lo aveva fatto credere pronunciando frasi apocalittiche come “Dio mi perdoni gli ultimi cinque minuti della guerra”.

Nell’aprile maggio del 1945 la Germania capitola ma il Giappone continua la resistenza. A questo punto incomincia a diffondersi tra gli ambienti militari americani l’idea della bomba che oramai è costruita e pronta per l’uso da sganciare sul Giappone, per ridurlo alla resa.

Einstein e Szilard, lo scienziato che aveva diffuso la lettera di Einstein, chiedono al Presidente Truman (Roosevelt è morto) di soprassedere all’uso della bomba e di evitare inutili stragi, perché il Giappone non può resistere ancora per molto. Ma le ragioni militari hanno la meglio e il 6 agosto l’aereo Enola Gay sgancia la prima bomba sulla città giapponese di Hiroshima. Il giorno dopo una seconda bomba distruggerà Nagasaki.

La tragedia intuita e paventata da Ettore Majorana si è realizzata.

Quale fu il ruolo di Enrico Fermi, che a Los Alamos aveva avuto il ruolo principale? Fu richiesto il suo parere? Approvò la decisione di sganciare la bomba o cercò di opporsi?

Fermi (morirà nel 1954, a Chicago, all’età di 53 anni) , che qualcuno ha definito il “novello Prometeo” è passato alla storia per aver aperto una nuova era alla scienza e all’umanità, ma anche per aver costruito la prima bomba atomica.


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