LA BATTAGLIA DELL’ITALIANO

L’Italiano è la quarta lingua più studiata al mondo (dopo inglese, spagnolo e cinese) e resiste agli attacchi interni di coloro che vorrebbero anglicizzarla a tutti i costi. Abbiamo vinto la battaglia per la pronuncia di stadium che le televisioni avevano preso a pronunciare stedium. Nessuno in Italia si azzarderebbe più a chiamare ET la chiocciola dell’indirizzo di posta elettronica, forse per la familiarità che abbiamo per l’animaletto. Ora bisogna lottare per reintrodurre la parola “cancelletto” o “diesis” al posto dell’orribile “hastag”.

Un po’ di battaglie le abbiamo vinte ma molte le stiamo ancora combattendo nel campo del calcio, ad esempio, con esito incerto. Il calcio in televisione si è allargato a dismisura e i telecronisti tendono a ricorrere all’inglese per raccontarne le varie fasi per comodità o anche, sospetto, per ignoranza. Infatti dicono, soltanto in estate per fortuna, cooling break  invece di pausa rinfresco, poi, siccome le partite si giocano praticamente tutti i giorni e a tutte le ore, quando si gioca di lunedì ovviamente si dice monday match, o all’ora di pranzo, diventa dinner match. Tutta la terminologia legata al Var ve la risparmio perché, anche se il video assistente lo abbiamo inventato noi italiani, è oramai tutta, temo,  in inglese. Temo che la battaglia si risolverà con una débacle dei difensori della nostra lingua.

Qualche cenno di vittoria sembrano averla quelli che si battono per la femminilizzazione dei vocaboli fino  ad ora appartenuti in esclusiva alla forma maschile.

La lingua non prevedeva il femminile delle professioni, perché le donne non avevano accesso a quelle professioni. Non si diceva avvocata, o ministra, o sindaca o assessora perché non c’erano donne che ricoprivano quei ruoli. La cosa vale al contrario: nessuno sente il bisogno di dire lavandaio o bambinaio o casalingo perché nella realtà quelle professioni al maschile non esistono. Per ora… L’Italiano è  una lingua viva perché cambia continuamente, si arricchisce perché registra i cambiamenti della società e dei costumi. Un famoso vocabolario, lo Zingarelli, produce una versione aggiornata ogni anno, mentre, quando andavamo a scuola noi vecchi, ce lo passavamo di padre in figlio.

Ora che abbiamo avuto una signora che ha retto il Senato e, probabilmente, avremo un’altra signora a reggere il governo, sentiamo la necessità di aggiornare la lingua. In questo caso non dobbiamo fare nessun cambiamento perché presidente è un vocabolo ambigeneri, che si accorda cioè con tutte e due i generi. E poi presidente è il participio presente del verbo presiedere, dove si distingue il genere con l’articolo: se il presidente è un maschio (colui) si dice il presidente, se è una femmina (colei) la presidente.

Ma spesso sono le stesse donne che rifiutano la femminilizzazione della lingua: la signora Casellati si faceva chiamare il presidente.

Non importa la lingua va avanti nelle sue trasformazioni e rimane viva perché i vocabolari le registrano e le rendono legittime. L’italiano non fa come i francesi che, chiamano il computer, unici al mondo, ordinateur. Sarà per questo che il francese è rimasto fermo al palo. 


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