È PASSATO UN GATTO NERO

Ho ripubblicato questo libro, questo romanzo sulla Resistenza che sembra avere oggi una inaspettata realtà. Dopo molti decenni, si riparla di pacificazione fra i ragazzi italiani che si divisero in una tragica guerra civile. Ma quelli che ne parlano oggi celebrano nel contempo il neo fascismo, allontanando ancora una volta la pacificazione.

Che senso ha oggi un libro, un romanzo, su un eroe della Resistenza? Ce lo siamo chiesti con Federico Tantillo, l’editore che ha deciso di ripubblicare Hai visto passare un gatto nero. E la risposta è venuta facile: in un momento di smemorizzazione, quando chi ricorda vuole dimenticare e chi non sa non è interessato a un passato che non viene più raccontato neppure da quelli che avrebbero il dovere di tenerlo vivo, come la scuola. E chi custodisce la memoria ha il dovere di trasmetterla alle nuove generazioni.

Parlare della Resistenza, del fascismo, del nazismo, della seconda guerra mondiale, e poi del dopoguerra, della Repubblica e della Costituzione, oggi è reso necessario da questa tendenza a negare i valori della Storia, a voler ricordare e celebrare soltanto quello che è condiviso, a questa tendenza al revisionismo e soprattutto a negare in maniera recisa ogni sintomo che quella storia negativa tende a riproporsi.

Con Tantillo abbiamo pensato che chi sa non può tacere ma deve raccontare, perché la memoria sia sempre viva perché un popolo senza memoria è un popolo senza radici e senza futuro. E così abbiamo deciso di ripubblicare questa storia di Resistenza che nel 1998 raccontai alla mia maniera, sotto forma di romanzo rispettando i fatti e i personaggi ma ricostruendoli e dandogli vita. Si intitola Hai visto passare un gatto nero e ne spiego il perché.

Quando i partigiani di Carrara comandati da Memo decidono di passare, dalle azioni di sabotaggio cittadino alla guerra per bande, hanno bisogno di armi. Allora Memo decide di andarsele a prendere là dove sono, nella caserma della federazione fascista. Infiltra, quindi, due partigiani fra i brigatisti neri. Dopo qualche giorno i due fanno sapere che la notte dopo saranno di guardia e che la parola d’ordine sarà Hai visto passare un gatto nero. La notte dopo Memo si presenta con una decina di partigiani. Chi va là, gridano i due infiltrati, parola d’ordine. Hai visto passare un gatto nero. Entrate. Memo entra, prende prigionieri i brigatisti neri che stanno dormendo e gli porta via tutte le armi.
Il gatto nero diventerà il simbolo dei partigiani di Memo che combatteranno fino alla liberazione di tutta la Versilia e di Carrara, che liberarono tre volte. Le prime due furono gli Alleati a farli tornare indietro, perché non si sentivano pronti per l’avanzata, la terza volta definitivamente. Alla loro testa c’era Memo, Alessandro Brucellaria, l’unico uomo al comando di duemila ragazzi che portavano nel cuore tre cose: Libertà, Giustizia sociale e Italia.

Quando uscì il libro ricevetti l’invito di Arrigo Boldrini, il mitico comandate Bulow, presidente dell’Anpi, a presentarlo in una sede istituzionale, nei locali della Camera dei Deputati. “Con quelli di Salò” mi disse Boldrini. “Tremaglia mi chiede sempre di incontrarci, sono passati tanti anni, siamo diventati tutti vecchi e fra qualche anno non ci sarà più nessuno. Questa è una buona occasione per raccogliere l’invito”.

Sentii che Boldrini mi avrebbe messo al centro di un avvenimento “storico” molto più grande di me e del mio libro ma non potei tirarmi indietro. Quel giorno mi ritrovai in un salone gremito di gente, sulla parte sinistra vi erano schierati gli ex partigiani, sulla parte destra i “ragazzi di Salò”, di cui io sapevo poco. Sapevo che erano ragazzi come quelli che scelsero di andare in montagna, ma o che non avevano resistito al richiamo alle armi di colui che avevano idolatrato fin da bambini, o che erano convinti che la loro scelta di campo fosse dettata da una questione d’onore. Erano ragazzi che andavano a cercare “la bella morte”, come recita il titolo di un bel libro di Mario Mazzantini, un “ragazzo di Salò”. Ragazzi che andavano a morire per Mussolini, sul quale indentificavano la Patria e il suo destino.

Memo non c’era perché era morto prima che io riuscissi a pubblicare il libro, ma c’erano alcuni dei suoi ragazzi: c’era Tarzan, c’era il Leprotto, c’era Saetta ed altri che si erano riconosciuti nei personaggi del libro che erano usciti dalla mia fantasia di scrittore.

Boldrini mi volle accanto a lui quando aprì la riunione, dicendo: “Ha ragione Tremaglia, siamo vecchi e fra poco non ci sarà più nessuno, è quindi ora che ci incontriamo e ci diciamo le nostre ragioni. Noi che siamo stati i vincitori siamo disposti ad ammettere i nostri errori e anche i nostri orrori (disse proprio così, i nostri orrori) a condizione che voi ammettiate di essere stati dalla parte sbagliata”. A queste parole, la “parte sbagliata”, i “ragazzi di Salò” si alzarono in piedi e se ne andarono, come se avessero ricevuto un comando. Rimasero soltanto Mazzantini, il quale disse “io ho sempre ammesso di essere stato dalla parte sbagliata” e Tremaglia che aveva cercato una occasione storica di confronto. Quella fu una occasione mancata, e irripetibile, di riconciliazione sul piano personale, mantenendo le sostanziali differenze a cui la Storia aveva costretto i ragazzi d’Italia. Quelli che furono dalla parte giusta e quelli che furono dalla parte sbagliata. Ma pur sempre ragazzi d’Italia.


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