E’ NATA LA FEDERAZIONE DEI CIVICI EUROPEI

LA REDAZIONE

I CIVICI EUROPEI

per i cittadini e per la democrazia

Mettere insieme il variegato mondo delle associazioni e delle liste civiche presenti in tutto il territorio nazionale non è stata impresa facile. Dopo due anni di cantiere, dopo un dialogo continuo e ampio con soggetti attivi della politica e dell’associazionismo, dopo alcuni impegni elettorali che hanno visto affermarsi in tanti comuni esponenti civici, preceduto da un incontro promosso da “Lombardia Migliore” di venti rappresentanti di liste, movimenti, federazioni, di diversa estrazione culturale e politica per promuovere una cultura politica basata su un quadro valoriale comune capace di esprimere un soggetto politico. E dopo un importante seminario sugli elementi identitari e valoriali del civismo italiano promosso a Milano dal Centro Studi “Emilio Caldara” venerdi 17 giugno all’Hotel Palatino a Roma i civici di tutta Italia si sono riuniti attorno alle tre associazioni promotrici (Alleanza civica del Nord, Alleanza civica del Centro, Mezzogiorno federato), per dare vita alla Federazione dei Civici Europei.

La relazione di Franco D’Alfonso ha aperto i lavori della Costituente con una “chiamata” a tutto il civismo italiano per riflettere sui presupposti identitari del civismo italiano nel quadro di un sistema politico in cui i partiti politici mantengono segni di criticità in ordine alla fiducia dei cittadini ma soprattutto in ordine al trattamento della politica come legame di servizio con la società e i territori. E ad assumersi la responsabilità di dare forma ad un soggetto politico federato in grado di incidere nella vita democratica del nostro Paese. All’invito hanno risposto 200 associazioni unite dalla volontà di costruire una proposta originale e innovativa, maturata della crisi del sistema dei partiti e con la consapevolezza di costruire dal basso una rinnovata partecipazione dei cittadini attraverso un civismo organizzato, dotato di una forte identità, che privilegia i modi dell’intermediazione sociale, non in forme occasionali o ancillari.

La Federazione intende rivolgersi a tutte le forme associative e civiche radicate nei territori e al “più grande partito italiano”, quello dell’astensionismo, che non crede più ai partiti tradizionali.

Al termine dei lavori l’assemblea ha approvato il documento politico della Federazione, proposto da Stefano Rolando, articolato in dieci punti tra i quali particolare evidenza assumono la visione federalista dell’Europa con il forte concorso del coinvolgimento del sistema delle regioni e delle città, i doveri, i diritti e un nuovo patto generazionale, l’importanza delle riforme istituzionali, il nesso tra sviluppo ed equità, la priorità educativa, l’interdipendenza strategica delle transizioni glocali, la cultura e le regole delle migrazioni e del sistema dell’accoglienza.

Una piattaforma che non vuole essere un programma elettorale ma una base identitaria per unire il civismo italiano, ha sottolineato Giampaolo Sodano, che sente il bisogno di recuperare la frammentarietà e il localismo, dandosi una dimensione nazionale in grado di incidere nella realtà sociale del Paese e nel sistema euromediterraneo, come ha detto Claudio Signorile, e nel necessario rinnovamento e sviluppo dell’Europa.

Ai congressisti sono arrivati messaggi augurali di LETIZIA MORATTI, GIUSEPPE DE MITA dell’associazione popolari, GAETANO QUAGLIARIELLO di fondazione magna carta, IVO TAROLLI di piattaforma popolari 2024, GIUSEPPE FIORONI di tempi nuovi, VINCENZO MARAIO del Partito Socialista.

L’Assemblea Costitutiva ha eletto il primo Comitato Esecutivo che guiderà la Federazione nei prossimi due anni, nelle persone di FRANCO RAIMONDO BARBABELLA, GIUSEPPE BEA, FRANCESCO CARBINI, MARCO DONATI, MARCO SCIARRINI, GIAMPAOLO SODANO, DIEGO CASTAGNO, FRANCO D’ALFONSO, PIERCARLA DEL PIANO, LORENZO FORCHIERI, PIER EZIO GHEZZI, NICOLA PONTIGGIA, FELICE IOSSA, RODOLFO LATEGOLA, SANDRO PRINCIPE, SALVATORE SANNINO, CLAUDIO SIGNORILE, ALFREDO VENTURINI.

L’assemblea ha inoltre eletto l’Ufficio di Presidenza, composta da LAURA SPECCHIO, ANDREA FORA E FRANCESCA STRATICÒ e il tesoriere UMBERTO BONETTI.


La proposta politica della “federazione”

Lo Stato siamo noi”.

Piero Calamandrei (26 gennaio 1955)

Il sistema politico istituzionale è oggi out of joints, senza cardini, tanto che oscilla tra tentazioni estreme, di totale verticalizzazione o di passiva sommersione nell’astensionismo di massa”.

Giuseppe De Rita, Ridiamo spazio ai livelli intermedi, 2022

Arriviamo a delineare un percorso progettuale concreto e pragmatico dopo due anni di cantiere.

  • Dopo una fitta evoluzione convegnistica, sia tematica che di perseguimento di scopi.
  • Dopo un dialogo esterno continuo e ampio con soggetti attivi della politica rappresentata e dell’associazionismo di mediazione.
  • Dopo alcuni impegni elettorali nel territorio.
  • Dopo avere ricomposto alcune distanze tra le esperienze limitate alle forme delle “liste civiche” con l’ampia rete di di associazionismo e organizzazioni orientate allo scopo sociale, al ritorno importante della cittadinanza attiva, all’assunzione di valori e responsabilità nella rappresentanza professionale.
  • Dopo l’ attivazione di alcuni studi che danno profondità a temi strutturali di contesto per l’obiettivo di “federazione nazionale del civismo italiano”, tra cui un continuo aggiornamento sui dati e le interpretazioni del fenomeno dell’astensionismo.

Arriviamo anche dopo l’ultimo impegno assunto prima dell’evento federativo, cioè la giornata seminariale di fine maggio a Milano per una programmata discussione su “valori e identità del civismo verso la federazione nazionale”.

Tutto ciò costituisce l’ampia premessa che le tre associazioni promotrici (Alleanza civica del Nord, Alleanza civica del Centro, Mezzogiorno federato), con agende nutrite anche di autonomi percorsi di approfondimento, relazionati alla domanda e alle scadenze dei rispettivi territori, hanno considerato soglia sufficiente anche per l’adozione di unapiattaforma argomentativa che fissi, in occasione dell’assemblea federativa, punti essenziali qualificanti e un percorso successivo di predisposizione del vero e proprio “programma”.


  1. La garanzia civica per una proposta politica originale e innovativa.
  • La crisi dei partiti politici organizzati nazionalmente (crisi di rappresentanza sociale, di inaudeguata accoglienza del pluralismo cultutrale e civile della società italiana, di eccesso di verticalizzazione, di autoreferenzialità, di cedimenti populisti, di inefficace riduzione delle disuguaglianze, di dequalificazione del ceto dirigente, in sintesi di perdita comprovata di fiducia dei cittadini) ha avuto ufficializzazione emergenziale e ripetuti riscontri demoscopici.
  • Di fronte a ciò l’insieme dei soggetti che esprimono da molto tempo in chiave civica, cioè con una storica modalità del “far politica” che privilegia i modi dell’intermediazione sociale, non in forme occasionali o ancillari, ma con lunghi legami sociali e amministrativi con i territori, hanno lavorato nel quadro di queste crisi.
  • Hanno mantenuto dappertutto impegni e responsabilità con i cittadini, ma creando condizioni per generare legami trans-territoriali che vanno ora verso un’intesa federativa nazionale tesa ad assumere ad ogni livello responsabilità di iniziativa e di proposta nell’interesse generale.
  • Hanno altresì considerato sempre non rincunciabile il proposito di mantere vivo il confronto con il sistema politico rappresentato alla ricerca di soluzioni adeguate al bisogno sociale e istituzionale e nel rispetto della visione etica e civile che il constituendo programma esprimerà e che questo memorandum indica in via preliminare.
  • Infine hanno dichiarato e dichiarano il fervido auspicio – proprio di un principio di “utopia” – di concorrere alla qualità della democrazia italiana, agendo per il recupero strategico di una parte significativa della disaffezione elettorale.
  1. A cosa serve oggi l’unità d’Italia.
  • Il confronto spesso alimentato da politiche vacue tra “questione meridionale” e “questione settentrionale”, intersecato da insufficienti attenzioni verso le politiche per le aree interne, ha segnalato una progressiva crisi di sintesi politica, lasciando le attese e le lamentazioni in preda ad un eccesso di disunità rispetto alle condizioni di sviluppo economico, sociale, tecnologico e di mobilità su cui (con tutte le implementazioni necessarie) avrebbero dovuto poggiare le strategie di convergenza e di coesione.
  • L’Italia dal basso legge con più evidenza e chiarezza le ragioni della nuova complementarità dei territori, grazie al principio di non credere minimamente che l’idea di Nazione debba tradursi in un antistorico nazionalismo. Ma anzi puntando sull’ampliamenteo del perimetro di scambio culturale ed economico che apra le porte all’Europa dei territori e metta l’intera Italia al centro di un rilancio strategico della visione euro-mediterranea.
  • La società post-industriale accelera oggi l’integrazione e la complementarietà creativa e produttiva del sistema territoriale italiano e offre una mobilità interna da gestire con adeguate agevolazioni. La riforma funzionale dei rapporti interistituzionali deve essere messa al servizio di questa grande causa di riavvicinamento delle comunuità interne con lo sguardo puntato sulle economie moderne per le quali la piena integrazione e cooperazione interna è condizione di alta competitività internazionale.
  1. Il perimetro europeo ed euromediterraneo
  • Di fronte al rischio della disunità europea, provocata dalle impennate nazionaliste e sovraniste di alcuni Stati, Italia compresa, che sommata all’evidente trascinamento della disunità italiana, provocherebbe un sistema istituzionale alienato rispetto alle identità sociali di profondità, il civismo progressista federato si allinea in via di principio alla visione federalista dell’Europa con il forte concorso (da costruire agendo sulla miriade di diversi progetti giacenti) del coinvolgimento del sistema delle regioni e delle città.
  • Ma al tempo stesso deplora l’incapacità maturata e consolidata in Italia di rinunciare ad un protagonismo di allargamento della cooperazione nord-sud che abbracci al tempo stesso valori e interessi europei e mediterranei (nelle coordinate verticali e orizzontali) con visione cooperante rinnovata con il continente africano.
  • Senza rinunciare a favorire – agendo nel campo della cultura e dell’educazione – a un consolidamento di un progetto ormai frenato e raffredato, quello dell’aggiornamento della compresenza di identità locale e nazionale con l’identità europea ed euromediterranea.
  • La priorità del progetto di rinnovamento infrastrutturale – appeso ora alla fragilità di gestione progettuale del PNRR – dovrebbe costituire il “manifesto” del protagonismo italiano in questa bilaterale visione.
  1. Doveri, diritti e patto generazionale
  • Si riconosce che la fatica della condizione gestionale dei processi di vita e lavoro è, per un dato naturale, nelle mani delle generazioni di mezzo, che tuttavia non sono esenti dal subire maggiore fragilità dell’istituto familiare, sia pure con il beneficio di un certo progresso tecnologico-sanitario, ma anche con molteplici insicurezze riguardanti tutele e garanzie sui caratteri fondamentali della condizione dei nuclei sociali fondanti.
  • L’esplosione della violenza nei rapporti familiari o pre-familiari, che colloca le donne e i figli a rischio ormai in tutte le forme di socialità e urbanizzazione, va assumendo un carattere simbolico epocale che misura la centralità del tema. La “democrazia paritaria” deve avere posto in agenda per ripristinare intanto le sue precondizioni di basilare civiltà.
  • Diventano quindi ora priorità non rinviabili quelle di politiche sociali che contengano e combattano il vuoto di prospettiva della gioventù e il pieno di solitudini degli anziani. Riportando una quota importante di giovani e anche di anziani (nelle diverse tipologie anagrafiche, che comportano diverse dominanti) ad una decorosa condizione produttiva. Rigenerando patti per le responsabilità di cura delle famiglie, per le dinamiche formative e le forme di trasferimento delle competenze e anche per una convivenza innovativa nei modelli di alcuni sistemi di produzione e lavoro.
  • E in ordine alle “generazioni di mezzo” attenzione focale va rivolta a quella cruciale e poco ragionevolmente derubricata dalle criticità che è la generazione dei quarantenni (almeno parte) e dei cinquantenni che autorevoli analisi oggi considerano “la più compromessa”, perché carica di responsabilità e al tempo stesso investita dalla velocità dei mutamenti lavorativi, di relazioni interpersonali, di linguaggio e d’interessi; spesso priva di quei principali strumenti “adattogeni” che sono invece nella disponibilità di giovani e giovanissimi.
  • Fa cornice a questa architettura di solidarietà sociale circolare una reintroduzione della cultura dei doveri, verso la persona, verso la comunità, verso l’etica del lavoro e verso gli interessi generali che è credibile solo e unicamente se le classi dirigenti dimostrano in tutti i loro comportamenti il “buon esempio”.
  1. Le riforme istituzionali che ci interessano
  • Il ciclico ritorno del lancio del “potere forte” – una volta è il presidenzialismo, un’altra volta è il premierato tra loro conflittuali – è la dimostrazione della perdita di progettualità del sistema attorno a riforme istituzionali che allarghino e qualifichino le condizioni di accessibilità e accoglienza della domanda sociale nelle sfere decisionali del potere legislativo ed esecutivo, preferendo cominciare (e ogni volta lasciando cadere dopo un po’ i propositi) dalle presunte debolezze dei vertici. Questo clima fa parte della tensione ai temi istituzionali che poco ci interessa e poco ci appassiona.
  • La corretta demoscopia sostiuisce in questa fase la scarsa propensione ad utilizzare strumenti di democrazia partecipativa per orientare lo sblocco di decisioni sulle riforme istituzionali fin qui materia di “boatos e silenzi”, annunci e retromarce, rischiando così che aspetti anchilosati del sistema frenino ulteriormente la divaricazione tra la velocità economica e la lentezza istituzionale. Larga è la maggioranza d’opinione oggi contro la prevista riforma delle autonomie e a questa linea di opinione il civismo federato si sente di aderire, mentre nel dibattito interno si ricava una valutazione di priorità riguardante la riforma della legge elettorale. L’alta conflittualità che divide abitualmente l’opinione pubblica in questi ambiti, induce oggi a privilegiare l’ancoraggio delle riforme alla qualità della democrazia e dei servizi per la cittadinanza.
  • E al tempo stesso fa considerare argomenti ineludibili l’approccio organico e non più puntiforme alle dinamiche interistituzionali (enti locali, regioni, amministrazione centrale); e interventi indispensabili quelli in materia di giustizia, contro le invasioni di campo, per le garanzie di imparizialità, per la drastica riduzione dei tempi dei procedimenti e per il rigoros rispetto della presunzione di innocenza.
  1. Il nesso ineludibile tra sviluppo ed equità
  • La progettazione dello sviluppo economico oggi corrisponde al pensiero che è dominante in ogni comunità in cui imprenditori, lavoratori, soggetti a carico e più deboli, costituiscono una rete reale di conoscenza, rispetto e tendenziale solidarietà. Dunque un terreno di definizione di obiettivi per propria natura non unilaterale, non tecnico, non dominato dal paradigma asettico della crescita fine a se stessa. La cultura dello sviluppo (che contiene la crescita, ma non solo) è tanto più forte, anche nel pragmatismo competitivo, quanto essa comprenda equilibri con la garanzia dei diritti sociali e con il rafforzamento della coesione. Sviluppo ed equità non sono politiche separate. La vastita dei temi applicativi sollecita qui emblematicamente solo riferimenti generali: le ineludibilità economiche e quelle relative al welfare.
  • Circa le prime si lavorerà nel breve per uno spettro più allargato di obiettivi. Ma fin da ora tre punti strategici sono sotto analisi per l’importanza e al tempo stesso per una certa trascuratezza delle politiche invalse.
    • Innanzi tutta la dimensione delle medie imprese (nel rispetto delle piccole e delle grandi) intese come vero ambito di stabilizzazione e promozione di sviluppo di sistema, sia nel campo industriale che distributivo, decisive per la tenuta dell’export, già adeguatamente managerializzate e garanzia occupazionale per la situazione italiana.
    • In secondo luogo l’importanza di concepire una rete di governo delle reti, proprio nella dimensione extra-locale che parte dal principio che nessuna rete fa tutto da sé e che le interdipendenze vanno progettata e governate.
    • In terzo luogo la rivendicazione della manutenzione del Paese, largamente dismessa dalla politica perché essa dà risultati nel tempo, ma senza la quale gli assetti idro-geologici, le infrastrutture dei trasporti, la gestione occasionale del “costruito” producono immensi rischi.
  • Circa le politiche di Welfare, lavorativo e sociale, la tensione concreta è di mettere davvero al centro la persona e la totalità delle esigenze, a cominciare dall’esigenza di riorganizzazione del tempo (valore prezioso e bene infungibile) alla luce di un rapporto nuovo e diverso con l’organizzazione del lavoro (da quello pubblico a quello privato, senza esclusione delle professioni e delle attività di esercizio d’impresa) che a sua volta pone le questioni del deep working, di un adeguamento dei salari e della redditività, della diffusione delle tecnologie, della certezza ed adeguatezza d’intervento del sistema previdenziale, etc., che a loro volta determinano un impatto considerevole sulla organizzazione degli assetti sociali e familiari e conseguentemente sulle scelte individuali.
  1. La priorità educativa
  • La riflessione attivata negli ambiti professionali dell’istruzione con cui il confronto è permanente, porta in questa fase ad una ricognizione che prenda le distanze dai propositi retorici e spinga a tenere attiva l’indagine tra domanda e offerta di educazione nell’ascolto parallelo di gestori, fruitori e contesti strategici. Il convincimento di portare più al centro dell’agenda politica generale il tema della scuola e dell’educazione ha bisogno di una rifondazione motivazionale che convinca operatori, fruitori e famiglie.
  • I nodi dell’analisi sono, in sintesi, legati ad alcune domande. Di quale educazione abbiamo bisogno nel XXI° secolo? Quale consapevolezza si percepisce circa i punti di forza e dei punti di debolezza dei giovani a cui l’educazione è necessariamente rivolta? Come l’organizzazione sociale che contestualizza l’istruzione sa convivere con gli algoritmi e soprattutto con gli algoritmi umanizzanti? Il nodo più urgente appare quello di portare in emersione e in discussione tra gli operatori (insegnanti, dirigenti scolastici, educatori) il tema della loro stessa identità ben contestualizzata nelle sfide del nostro tempo e al tempo stesso creare condizioni di ascolto della domanda che studenti di ogni età (in sintonia o in apatia rispetto alla domanda delle famiglie) riescono ad esprimere in ordine alle condizioni dell’apprendimento.
  • La permeazione dei territori di sfida del nostro tempo(scoperte e conflitti, modelli e diversità, integrazioni e disuguaglianze, suture e rotture) costituirebbe l’immenso banco di prova della politica per ridisegnare ruoli e funzioni là dove va il mondo, non con gli occhi al passato e all’irrealtà del tempo in cui l’educazione d’élite non era entrata nel governo di una ineludibile difficoltà: la scuola di massa. Oggi condizionata dalla sconfinata, irriverente, anarchica, rivoluzionaria, autoritaria, velocità dei processi digitali, che sono divenuti lingua generazionale.
  1. L’interdipendenza strategica delle transizioni glocali
  • Non casualmente il precedente “governo di emergenza” ha creato condizioni più uniformi e sinergiche per presidiare almeno alcune delle principali “transizioni” che sono collocate nella sfera globale dell’agenda (ambiente, trasformazione digitale, nuove soglie della copertura informativa e cognitiva, endemie e irrisolti sanitari, processi migratori globali, diritti umani e contrasto alla violenza e altro) che hanno interlocutori diversi e scadenze sgranate ma nell’urgenza comune, nella pari cifra della complessità interpretativa e nella necessità di una gestione attenta alla praticabilità delle soluzioni ma anche al coinvolgimento informato delle popolazioni. Perchè trasversalmente la diffusa condizione di analfabetismo funzionale riverbera sui ritardi, gli ostacoli, le riluttanze, i negazionismi. Attorno a questa “interdipendenza strategica” si colloca il piano relazionale tra ricerca scientifica, responsabilità istituzionali, progettualità di impresa e raccordo sociale a cui è bene riferirsi per evitare inutili guerre di priorità e per compiere razionalizzazioni circa le risorse necessarie per trasformare passività in previsioni.
  • L’approccio più convincente oggi è quello di chi parte dall’aggiornamento concettuale della condizione di sostenibilità, declinandola come l’inedubile integrazione di una visione ambientale, economica, sociale e istituzionale. Sia l’Agenda 2030, sia i documenti internazionali metodologicamente più realistici prodotti in materia (come il contributo OCSE sulla “Coerenza delle Politiche per lo Sviluppo Sostenibile”) aiutano a immaginare un terreno di visione ma non di retorica declamatoria e come dice il presidente dell’ASvis Enrico Giovannini – che mostra vivo interesse per il ruolo dell’associazionismo intermedio per radicare anche culturalmente questa rivoluzione – si tratta di condividere a fondo la definizione di sostenibilità (dai tempi della Commissione Brundtland a oggi spesso accantonata perché scomoda); si tratta di agire nel quadro di una modellistica corrett; si tratta ancora di tenere in pari dignità le politiche pubbliche e i comportamenti individuali e collettivi.
  • Questo intreccio rappresenta visibilmente la carreggiata principale del sistema di transizioni con cui si confrontano gli equilibri naturali e artificiali del pianeta, carreggiata segnata con millimetrico presidio dalla transizione digitale che, non costituendo un obiettivo fine a se stesso ma un’immensa dimensione strumentale, oggi è la cerniera di politiche regolatorie tese a far prevalere i benefici generali rispetto alle distorsioni di potere e di utilizzo in cui – dagli intrecci con le situazioni di guerra, dalle immense pressioni esercitate dai soggetti dominanti il mercato sugli stessi ambiti istituzionali normativi, dallo sconfinamento senza precedenti in materia di diritti personali e di privacy – come per tutte le economie dominanti nell’età moderna rischi e opportunità si fronteggiano.
  1. Migrazioni e accoglienza, cultura e regole
  • Con isole di buon senso e pochi momenti di razionalità e capacità di previsioi documenti piùne, ma con un tessuto avvilente di rincorse ai peggiori sentimenti umani e all’uso strumentale dei processi di cambiamento per generare allarmi e facile fatturato elettorale, l’Europa ha perso fin qui l’opportunità di concepire un autorevole progetto comune di gestione della mobilità internazionale (dalla metà dello scorso decennio capace di riguardare nel pianeta fino a 300 milioni di persone all’anno). Una mobilità che non ha “invaso” nessun paese europeo ma ha messo tutti di fronte a nuove necessità.
  • Quella di connettere processi che la demografia considera incessanti per tutto questo secolo con la regolamentazione e l’integrazione nei processi di turnover dei mercati occupazionali.
  • Quella di disporre, al tempo stesso, di una visione di convivenze possibili solo se governate.
  • Respingendo – perché l’Italia è storia di ampia ibridazione e storia di grande emigrazione – la manipolazione statistica, l’autarchia a-storica degli invocati “ceppi italici” e la disorganizzazione, causata dall’opportunismo politico, che in altre nazioni ha dimostrato l’efficienza possibile anche in presenza di emergenze largamente superiori.
  1. La visione futura del riequilibrio tra società e istituzioni, tra comunità e transizioni nazionali, tra locale e globale.
  • La restituzione al tessuto connettivo della politica nazionale ed europea (i due livelli di legislazione ampia che coprono la parte sostanziale delle condizioni generali di sviluppo di comunità che pur dipendono anche largamente dalla qualità dei servizi messi in campo dalle istituzioni territoriali) di soggetti che mantengono radici, relazioni e ascolto con quei territori e quelle forme di organizzazione differenziata da tradizioni e convenzioni sociali, assume nelle crisi e nei conflitti che ci riguardano e ci circondano un elemento di oggettiva garanzia.
  • La società che non arriva a formulare fiducia per i tre quarti delle istituzioni che la riguardano, a dimensione sia nazionale che locale; la cultura di comunità che rischia in questa separatezza di non essere mai o per lo meno molto poco accompagnata a comprendere e quindi integrare i fattori di cambiamento che le transizioni incarnano ma che vengono riferite a teatri astratti (quando si tratta di decidere) e a terribile e vago destino (quando si tratta di subire le disgrazie naturali o altri fenomeni punitivi), sono oggi il racconto della disunità tra locale e globale, cioè di due fattori forti della vita planetaria, mentre i poteri tendono a stare concentrati nel fattore debole, cioè sempre più debole, della dimensione nazionale.
  • Una voce importante nel confronto politico nazionale ed europeo diventa per questo auspicabilmente quello di chi – compiuto il percorso di raccordo e superamento del localismo – non tralascia mai di cogliere il carattere orrizontale dei processi sociali, il carattere intermedio della diffusione dell’informazione e della conoscenza, il carattere interattivo tra i livelli di governo dal più piccolo al più grande.
  • Questa è, con tenace umiltà, la modernizzazione della cultura che ha ispirato settanta anni fa in Italia l’ordine politico delle comunità, di olivettiana memoria, 0per considerare la rete territoriale umana come il luogo più importante della sperimentazione e della reinvenzione della democrazia.
  • Questo è il punto di partenza del “programma” da scrivere nella fase di acquisita responsabilità nazionale di ciò che oggi per l’ultima volta chiamiamo “liste civiche”, avendo chiaro che la forma partito di ciò che prende forza proprio per la debolezza dei partiti avrà un destino narrativo necessariamente complesso e non pregiudicato.

LA LETTERA DI LETIZIA MORATTI


LA LETTERA DI GIUSEPPE DE MITA

vi ringrazio con sincerità dell’invito, purtroppo, come anticipato, impegni personali non mi consentono di essere oggi presente convoi.

Affido a queste righe il mio saluto, limitandomi ad alcune brevi considerazioni, aiutato dalla circostanza che negli ultimi mesi abbiamo avuto numerose occasioni di confronto, nel corso delle quali mi pare che, per un verso, c’è stata occasione di poter esporre in modo non approssimativo il senso delle rispettive esperienze e, per altro verso, c’è stato modo di registrare una sostanziale convergenza di analisi e diprospettive.

Rassicurato anche dal fatto che queste considerazioni troveranno completamento nelle parole di Gaetano Quagliariello, con il quale, insieme a Tuccillo, Pollini e altri, stiamo discutendo per offrire una posizione che combini la forza del radicamento territoriale con la qualità della proposta politica, in una prospettiva di apertura e rafforzamento del dialogo tra dinoi.

La prima considerazione. Quanto accaduto questa settimana con la scomparsa di Berlusconi consolida la considerazione che si va chiudendo un’epoca e che l’equilibrio politico attuale è, più che in altri momenti, un equilibrio precario efragile.La polarizzazione degli schieramenti maschera un’incapacità delle forze politiche di misurarsi con la realtà. Ed il distacco delle pubbliche opinioni dalla politica esprime la percezione sociale di questa incapacità. L’impoverimento della qualità delle classi dirigenti politiche, per formazione e selezione, sta confinando la politica a momento marginale. La riduzione dei partiti a strumenti padronali per la gestione di passaggi elettorali e, più spesso, per la gestione del potere sta mortificando la passione civile di una parte della società.

La situazione così com’ènonregge.

Bisogna guardare oltre. Immaginare un possibile nuovo equilibrio. Collocarsi in questo stato di cose non ha alcun senso. Non servono espedienti elettorali, artifici nominalistici, fenomeni da baraccone. Il tempo che stiamo vivendo per certi versi appartiene già ad un passato che tramonta. Bisogna collocarsi altrove, mettersi nella traiettoria di ciò che sta peraccadere.

La seconda considerazione. L’emergere prepotente di questo spazio politico mediano tra i due radicalismi di destra e di sinistra non prelude in alcun modo al successo di qualsiasi iniziativa che segni come proprio tratto distintivo il solo essere di “centro” o “moderata”.
A dirlo è la coesistenza di ripetuti fallimenti delle diverse iniziative “centriste” e dallo stesso tempo della permanenza , anzi dell’allargamento, della quota di elettori che sono alla ricerca di una nuova rappresentanza.

Per dirla con le parole dell’amico Giampaolo Sodano occorre un nuovo pensiero. Che personalmente intendo come quello sforzo di leggere la realtà storica, armati delle culture politiche di ispirazione democratica, al fine di capire come e in che misura le istituzioni sono funzionali alla garanzia dei diritti delle persone e in che possono tutelarne i bisogni sulla base di una possibile scalamorale.

Lo smarrimento angoscioso delle persone chiede alla politica di governare le transizioni senza illusioni demagogiche e senza paternalismi tecnocratici, facendo rifiorire il concetto di sovranità popolare attraverso forme rinnovate di partecipazione alla rappresentanza e alle decisioni.

In ultimo. Credo che l’impulso alle rispettive iniziative civiche e politiche e questo nostro ritrovarci sia il segno di una effervescenza, di una domanda che cresce, ma che forse non è ancora una risposta. Verrebbe da dire che raccogliamo e interpretiamo un’esigenza, che va fatta maturare e portata dal piano del disagio a’ quello della proposta e della rappresentanza organizzata.

In questo nostro parlare insieme, da Orvieto a Milano, mi pare sia stato condiviso il metodo di procedere accompagnando gli eventi e favorirne la crescita, senza ipocrisie e senza forzature. Lo penso e lo vivo come un percorso soprattutto di autenticità, come un modo per racchiudere la naturale diversità di opinioni nello spazio del rispetto reciproco e della ricerca dell’interesse generale.

Sembra, pur tra qualche punta di fisiologica indefinitezza, che si vada definendo un percorso di una prima alleanza o federazione tra diverse forze politiche ed esperienze civiche, in vista di qualcosa di più maturo e più avanzato.

In questo percorso intendiamo esserci, per fare in modo che la spinta che lo ha generato non si arresti al solo piano della tattica o delle scadenze elettorali. Abbiamo infatti bisogno di dire la verità su ciò che intendiamo fare, per la banale ragione che l’elettorato coglie la natura intima dellepropostepolitiche.

Ritengo sinceramente che una qualche forma dj rafforzamento e di saldatura di,questa nostra relazione possa essere un possibile ancoraggio a garanzia che questo percorso che intuiamo dinanzi a nostri passi, possa condurci dall’altra parte del guado nel quale ci troviamo, senza affondare in paludi.

A tutti voi, a Claudio, a Franco, a Laura, Stefano, Piercarla, Andrea, Francesca e Giampaolo; a tutti gli amici presenti, il mio più caro saluto e l’augurio che la vostra discussione aiuti lapiù generale riflessione alla quale siamo chiamati.

Giuseppe De Mita


LA LETTERA DI GAETANO QUAGLIARIELLO

sono stato contento e lusingato di ricevere l’invito alla Vostra odierna iniziativaesolounimpegnofamiliaredatantotempocontrattomiimpedisce di essere oggi convoi.

ViauguroilsuccessocheilVostroimpegnomerita,nonpermeraformalità nésoloperanticasimpatia.C’èqualcosadipiùedipiùprofondo.Datempo, infatti,ritengocheleideeantichechehannoinnervatoquelleforzepolitiche che hanno fatto grande l’Italia dopo il disastroso esito dell’ultima guerra mondiale – il liberalismo, il cattolicesimo politico, il socialismo democratico-,abbianobisogno,perriproporsi,diunbagnonelcivismo.

Stiamoinfattivivendountempodiesasperatoindividualismo,chespessosi pone come tratto comune di schieramenti e partiti che si credono oppostie che, invece, declinano soltanto con modalità differenti la dittatura dell’individuo: l’esatto contrario della centralità della persona. Questa caratteristica, in politica, sta alimentando partiti personali, forze che si identificanocolpercorsopiùomenoeroicodiunosoloechesiesauriscono con esso, il prevalere del solipsismo della rete sulla concreta esperienza umana, la condanna della mediazione e la correlata ricerca della polarizzazione a ognicosto.

Perquestaragione,negliultimianni,quantihannointesosfuggiretalederiva senzaperòrinunziareallapraticapoliticasisonorifugiatispessoevolentieri nel civismo. Hanno compreso, a livello in primo luogo epidermico, che senza passare per la ricostruzione di vere comunità civiche è impensabile poteraffrontarelesolitudini,leinsicurezze,iproble1ni diintegrazioneche rappresentanooggil’altrafacciadell’individualismoesasperato.Auncerto punto, però, lungo questo percorso, essi si sono imbattuti di nuovo nella politicaperchésolodalcontattotracomunitàfunzionanti,nellaprospettiva di una comunità più grande, sarà possibile risolvere i problemi “maggiori” del nostro tempo: dal primato dello stato di diritto, all’eguaglianza tra uominiedonne, albilanciamentotrameritieopportunità,finoaconcepire una differenziazione tra spazio civile e spazio religioso che non scada tuttavia nella reciprocaindifferenza.

Insomma: se è vero che la politica rinunziando al lievito del civismo potrà difficilmente riannodare il rapporto con gli elettori, è altrettanto vero che il civismo senza il sale della politica rischia di descrivere fenomeni solo localistici ed estemporanei. Grazie, dunque, per il Vostro tentativo. Sul versante cristiano e liberale, con gli amici De Mita, Follini, Dellai e tanti altri stiamo provando a intraprendere un percorso per molti versi parallelo. L’auspicio è che le nostre strade si possano presto incrociare dando vita a qualcosa di più grande e importante. Sarebbe una buona notizia non solo per noi ma, soprattutto. per la politica e per l’Italia. Buon lavoro dicuore.

Gaetano Quagliariello


 IL SALUTO DI IVO TAROLLI

Sono qui, anche a nome di mons. Gianni Fusco e dell’on. Lucio D’Ubaldo, per portare un saluto ed un contributo per conto di “Piattaforma Popolare 2024”, una realtà associativa al lavoro da qualche anno per consentire alle Esperienze Politiche cristianamente ispirate di ritornare a portare il lorocontributo alla politica italiana, come a quella europea e più in generale all’intero Occidente.
Ringrazio l’on Gianpaolo Sodano -con il quale già al primo nostro incontro abbiamo registrato una sintonia di fondo ed una convergenza spontanea sulla meta da raggiungere…- dell’invito, come pure i relatori che mi hanno preceduto per il loro autorevole e rigoroso sforzo di analisi e di elaborazione. Pur cercando di stare nel tempo assegnatomi, mi preme rimarcare alcune questioni.

  1. Condividiamo e in questo senso ci stiamo prodigando, perché alle prossime elezioni europee si faccia prevalere, su tutto, l’imperativo di stare assieme! Di far squadra! Di ritornare nuovamente uniti e quindi dare una risposta a quei milioni e milioni di elettori che da tempo disertano le urne sfiduciati e distanti dal modo in cui la politica oggi si manifesta. Il tema semmai è come si arriva a questo traguardo.
  2. Noi partiamo da un punto fermo, in alcuni passaggi rinvenibile anche nelle vostre relazioni introduttive: noi non ci troviamo in una normale fase di transizione! Noi non siamo in una normale epoca in cambiamento…Noi siamo dentro un vero e proprio cambiamento d’ Epoca! Che richiede siano chiariti i fondamenti costitutivi della convivenza civile, pena il cadere nel genericismo o nella volatilità.
    Siamo alla fine di una stagione e siamo catapultati in un mondo nuovo. Per i sociologi siamo al tramonto del ceto medio. Per i filosofi fagocitati dall’ individualismo.
    Per non parlare della geopolitica che sta sconvolgendo storici equilibri e dei nuovi traguardi della Tecnica. Ciò che per noi è certo è che riportare la Spiritualità e le Testimonianze religiose in disponibilità alla Modernità e considerarsi “in allerta” per il destino delle Libertà, rimangono questioni ineludibili. Su questo terreno non sono possibili scorciatoie o semplificazioni. Neppure si possono scimmiottare Esperienze datate. A monte ci vuole un collante: che non può essere semplicemente organizzativo, volontaristico o di corto respiro. Un minimo comune denominatore è necessario.
  3. Noi riteniamo che condizione preliminare e imprescindibile per una discesa in campo della Politica di una Testimonianza Politica laica e cristianamente ispirata: larga, popolare, riformista, civica, aperta a credenti e non sia la elaborazione di un Pensiero Politico Nuovo e Condiviso nel quale possano riconoscersi ed impegnarsi anche coloro che hanno praticato Esperienze politiche diverse se non addirittura contrapposte. Per almeno quattro ragioni:
    A) chi viene da Esperienze diverse, ha bisogno di riconoscersi in un Pensiero, in una motivazione, anche in suggestioni, nuovi e più avanzati. Altrimenti (e l’esperienza Renzi e Calenda l’abbiamo sotto gli occhi…) il rimpallarsi responsabilità o fare fughe in avanti diventano inevitabili;
    B) perché, come ci ha insegnato il mio conterraneo Antonio Rosmini, la Cultura e il Pensiero vengono prima! Stanno sopra i comportamenti e le scelte quotidiane;
    C) perché la Logica, l’argomentare politico, la stessa dialettica stanno alla base di sistemi politici duraturi. Sono stati scritti volumi su questo tema: da Aristotele a Cicerone etc.: solo un Pensiero forte, Contenuti alti e di lungo respiro ed una limpida ispirazione Etica e valoriale costituiscono fondamenta solide ad una Testimonianza Politica;
    D) perché in un Mondo interconnesso, dove le distanze non sono più un limite, dove il movimento delle merci, della moneta e delle persone sono una realtà, l’azione politica non può che avere un lungimirante, necessario e nuovo respiro sovranazionale.
  4. Dentro questo quadro, il Dialogo (che non consiste nel semplice parlarsi, ma che significa condividere, progettare, costruire assieme…): “l’intransigente radicalità del Dialogo” come sosteneva Chiara Lubich, è una strada obbligata.
    Se facciamo nostro questo punto fermo, se anche guardiamo alle tante testimonianze della tradizione del Laburismo riformista, una rinnovata alleanza fra la tradizione Cristiano-Popolare e la tradizione socialista-riformista non solo deve essere auspicata ma può dare l’impronta ad una nuova stagione, a favorire l’affermazione di una Terza Fase del fare comunità nel nostro Paese e nell’ Unione Europea. Sta a noi recuperare gli aspetti, troppo spesso dimenticati, del coniugare l’esercizio della Libertà con
    l’esercizio della Responsabilità! Con il recupero del valore imprescindibile della Fraternità, e quindi dell’attenzione al vicino. Del dovere di far Squadra e di sentirsi parte integrante della Comunità. Non confinare l’esercizio della Libertà nel recinto dell’utilitarismo o del solo SuperEgo ma capire e condividere che la Libertà di ciascuno di Noi si celebra e si esalta solo quando si realizza compiutamente anche Libertà di chi ti sta vicino e accanto. Amici cari, io sono convinto, che se noi troviamo e facciamo vincere le ragioni dello stare assieme e dell’affrontare assieme le sfide che la Modernità ci pone, l’obiettivo di una Testimonianza comune alle prossime Elezioni europee sia alla nostra portata e che, forse, anche una Testimonianza Politica unitaria non sia semplice fantapolitica.
    Roma 17 giugno 2023
    On. Ivo Tarolli
    Di Piattaforma Popolare 2024

IL SALUTO DI VINCENZO MARAIO

Arriviamo a delineare un percorso progettuale concreto e pragmatico dopo due anni di cantiere. Dopo una fitta evoluzione convegnistica, sia tematica che di perseguimento di scopi. Dopo un dialogo esterno continuo e ampio con soggetti attivi della politica rappresentata e dell’associazionismo di mediazione. Dopo alcuni impegni elettorali nel territorio. Dopo avere ricomposto alcune distanze tra le esperienze limitate alle forme delle “liste civiche” con l’ampia rete di di associazionismo e organizzazioni orientate allo scopo sociale, al ritorno importante della cittadinanza attiva, all’assunzione di valori e responsabilità nella rappresentanza professionale.

Dopo l’ attivazione di alcuni studi che danno profondità a temi strutturali di contesto per l’obiettivo di “federazione nazionale del civismo italiano”, tra cui un continuo aggiornamento sui dati e le interpretazioni del fenomeno dell’astensionismo. Arriviamo anche dopo l’ultimo impegno assunto prima dell’evento federativo, cioè la giornata seminariale di fine maggio a Milano per una programmata discussione su “valori e identità del civismo verso la federazione nazionale”.

Tutto ciò costituisce l’ampia premessa che le tre associazioni promotrici (Alleanza civica del Nord, Alleanza civica del Centro, Mezzogiorno federato), con agende nutrite anche di autonomi percorsi di approfondimento, relazionati alla domanda e alle scadenze dei rispettivi territori, hanno considerato soglia sufficiente anche per l’adozione di unapiattaforma argomentativa che fissi, in occasione dell’assemblea federativa, punti essenziali qualificanti e un percorso successivo di predisposizione del vero e proprio “programma”.

Vincenzo Maraio


SEGNALIAMO