DEL TIRANNO E LA DEMOCRAZIA

Pisistrato (ritratto postumo e originale greco)

MARCELLO PACI

In politica accade che ciclicamente si assiste alla comparsa dell’uomo nuovo che si contrappone al potere costituito, cementato da decenni di governo e inglobante partiti, istituzioni, movimenti, giornali, televisioni, e tutto il resto. L’uomo nuovo interpreta il malcontento, la delusione della gente per la distanza dei governanti dai reali e concreti problemi del vivere. L’uomo nuovo non appartiene ai partiti governativi e spesso neanche a quelli dell’opposizione.

O se si, li trascende, propone una rottura, un nuovo inizio. Lentamente o in modo deflagrante, intorno a lui si sviluppa il consenso dei cittadini. Da parte degli altri gli si contrappone di tutto, entrano in campo i massimi sistemi: dalla sacralità della costituzione, alla dignità delle persone; dal diritto nazionale e internazionale, alla tutela delle minoranze; dall’aiuto ai diversi, e agli emarginati, al ripudio delle autocrazie; dalla condanna dei totalitarismi, alla tutela dell’ambiente; e molto altro di quanto va a formare quello che oggi si chiamerebbe il “politicamente corretto”.

Il confronto tra potere costituito e uomo nuovo si incrudelisce, con tentativi di cooptazione o per converso minacce.
E per quanto riguarda gli argomenti messi in campo nella contrapposizione, questi sono in funzione, al di là del merito, della loro capacità di coinvolgere le masse. È qui che si gioca il loro potenziale in qualche modo eversivo dell’ordine costituito. Accade che una personalità forte prende in mano un problema sociale, ne fa una bandiera e grazie all’alchimia del suo carisma, della attualità del problema, del malcontento che serpeggia nella società, magari per tutti altri motivi, lo trasforma in un grimaldello per rompere equilibri consolidati, ma ormai sclerotici, incapaci di muovere il cuore e la fantasia della gente. Dunque gli argomenti dibattuti sono solo un mezzo per coagulare il consenso.

Alla fine può accadere che questi personaggi se non cooptati, e non sconfitti, riescano a prendere il potere in maniera legittima, tramite il favore popolare. Nel governo del paese ci sarà una svolta e il potere di prima sarà messo a tacere. Il mantenimento del potere prevede spesso una svolta autoritaria per aver mano libera nell’attuazione del cambiamento.
Ma il potere conquistato e l’autocrazia conseguente, comportano che su l’uomo nuovo si carica tutto: il passato storico, il presente, le aspettative del futuro.

Il passato non dipende da lui, ma il carisma che lo ha portato al successo prevede questa dimensione olistica totalizzante, come se in lui si riassumesse tutta la storia di quel popolo. In genere questo genere di cose va a finire male, accade per contingenze avverse, per mutate dinamiche sociali, per delirio di onnipotenza, per mille altre cose. Comunque finisce per andar male, anche nei casi in cui la loro azione di governo sia stata virtuosa e abbia conseguito successi. Pensare ai dittatori del novecento e della storia recente può essere istruttivo al riguardo. È che l’esercizio del potere monocratico se pur raggiunto e legittimato dal favore popolare, nel suo svolgersi, concentra sul personaggio tutta la responsabilità di quanto accade. La marginalizzazione dei poteri intermedi nei quali si declina la democrazia viene sostituita dal rapporto leader-popolo, perché l’uomo nuovo privilegia il rapporto diretto senza intermediazioni.

Ma questa cosa lo espone alla volubilità dell’umore popolare, ad una deriva irrazionale, di tipo umorale, sentimentale. Tanto più pericolosa in quanto figlia di una apertura di credito anch’essa spesso umorale. E in questa congerie di umoralità si perde di vista la verifica razionale dell’azione di governo che in assenza dei poteri intermedi latita. Con il risultato che si oscilla da una apertura di credito illimitata ad una condanna senza appelli. Alla fine l’autocrate cade, è quasi la regola, in maniera più o meno rovinosa. Lascia rovine, oppure o anche, nostalgie. Ma in qualche modo questi personaggi sono funzionali al sistema di potere che hanno tentato di sconfiggere.

Questo è rimasto appartato, è stata opposizione militante o aventiniana, ma quando il tiranno cadrà perché inevitabilmente cadrà, il potere di prima e di sempre si riappropria del dominio, e sul tiranno scarica tutte le colpe presenti e passate, e con questa nuova verginità farlocca riprende a comandare, dopo la breve vacanza. In qualche modo sono quelli di prima, di sempre, classe dominante che ha buon gioco a riscuotere il favore popolare con lo spauracchio del tiranno da poco soppresso. Ma questo prima o poi ricomparirà e il ciclo si ripeterà con l’obbiettivo di cambiare e riproporre un diverso sempre uguale a se stesso.
È che esiste sempre una classe dominante, sopra il popolo, una volta i re e gli aristocratici per diritto divino, più recentemente una nomenclatura comunista di uguali privilegiati su altri uguali, ora finanzieri costituitisi in oligarchia dominante. Ciclicamente il popolo si ribella e taglia teste realmente o in senso figurato, guidato dal capo-polo di turno: Masaniello, Cola di Rienzo, Robespierre e San-just, Lenin…. E talvolta la vecchia classe viene soppressa, non sopravvive, oppure si occulta. Ma dopo un po’ una nuova o la vecchia riciclata riemerge e ridiventa classe privilegiata. E il ciclo riparte.


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