CENTO E PASSA

E’ un periodo che amici, conoscenti, colleghi, tutti più o meno coetanei cominciano ad andarsene. La cosa un po’ ci preoccupa e allora ci siamo messi a consultare qualche statistica.

Nel mondo, di ultracentenari ormai ce ne sono a bizzeffe. Per restringere il campo andiamo a vedere i supercentenari, quelli con più di 110 anni, e loro sono circa mille (in Italia sono 3). Ce lo testimonia il Dottor Robert Young (eh? quando i cognomi ci si mettono anche loro!) capo del Centro di Ricerca Gerontologica di Los Angeles.

A marzo del 2018 ci ha lasciati il nostro campione nazionale di lunga vita (maschio, quindi ancor più meritevole) Gillo Dorfles, critico d’arte, pittore, scrittore e parecchio altro ancora. Essendo nato nel 1910, ne ha avuto di tempo per fare un bel po’ di cose.

Naturalmente, come era successo con la Levi Montalcini, quando muore un ultracentenario, e non uno di quei vecchietti rimbambiti che si vedono ogni tanto nei Tg regionali, ma un Premio Nobel o un intellettuale famoso, ci rispunta questa speranza di immortalità che in fondo è il mito di tutti noi umani.

Tanto forte è il nostro desiderio di arrivarci che da sempre e con grande successo, leggende, studi scientifici di dubbia serietà, ricerche geografiche viranti al new age e adesso anche la nostra grande mamma informatica, la rete, ci forniscono storie di popoli che hanno scoperto la formula della vita infinita.

Abbiamo i centenari del paesello sardo, quelli del villaggio del Caucaso e gli altri del pueblo sulle Ande.

Ma i più in gamba di tutti sono gli Hunza. Gli Hunza vivono in una inaccessibile vallata dell’Himalaya. Secondo i testi in rete, un’abbondante percentuale di questa brava gente campa come minimo un secolo. Alcuni arrivano ai centotrenta, e c’è chi ha raggiunto i centoquarantacinque anni. Per non parlare delle loro indomabili signore, capaci di generare fino a tarda età.

La formula? Naturalmente andare sempre a piedi, mangiare poco e sano, frutta e verdura non trattata, bere acqua dei ghiacciai, niente carne, fumo o alcool. Niente stress. Fare per tutta la vita un lavoro per il quale non serve il cervello: zappare, seminare, raccogliere.

Tranne questa trovata del cervello in pausa che ci vede un po’ scettici, tutto sacrosanto. Forse un tantino noioso, ma di sicuro sano.

Noi che il cervello cerchiamo di farlo andare, magari non sempre con successo, abbiamo un’altra teoria per spiegare tutti questi miracolati. Si sarà notato che, contrariamente a Dorfles che era di Trieste, perciò solidamente documentato, i vecchietti ultrasecolari abitano sempre in angoli sperduti del mondo, su vette irraggiungibili, o in fondo a vallate sconosciute.

Bene, la spiegazione del fenomeno è una sola, secondo noi: l’anagrafe. Nel senso che da quelle parti non ce n’è, e non ce n’è mai stata una.

Come si fa a certificare l’età di un anziano che dichiara di avere centoquarant’anni, quindi è nato, diciamo, nel 1883, in una sperduta valle del Karakorum? Facile inventarsele, le date, anche in buona fede. Il tempo, si sa, se è un concetto relativo per noi, figurarsi per quei signori che ne avranno di sicuro un’idea piuttosto fluida.

Però, siccome del mito abbiamo tutti bisogno, allora ce lo teniamo così: razionale o no.

Per ora. Poi, i futuri progressi della medicina, chissà…

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