CARA AMICA DI PINOCCHIO

Ho ricevuto oggi la tua lettera e ho letto con attenzione tutte le obiezioni alle ipotesi che ho fatto a proposito del comune amico Pinocchio nel libro “il tempo di Kairos” che mi rendo conto tu abbia letto con molta attenzione.

Non avevo dubbi, e per questo, provo a risponderti per quanto posso, sia per stimolare nuovamente una tua reazione, sia perché, proprio in questi giorni, cade un anniversario importante per il burattino più famoso del mondo, e mi pare giusto poterlo celebrare insieme. Come sai mi affascina inquadrare l’aspetto rivoluzionario dell’opera che ha segnato la mia adolescenza perché continua a stupirmi ancora oggi, al di là della storia, per la valenza epica e politica.

Epica perché interpretabile come i miti del mondo antico all’interno di contesti diversi, proverò a dimostrarti la sua contemporaneità ai problemi di oggi, politica perché è tutta indica ai lettori un percorso evolutivo focalizzato sulla possibilità di mobilità sociale basata sulla scuola e “fondata sul lavoro”. Questa seconda caratteristica, a mio parere, identifica la democrazia come sistema ideale rispetto a ogni altra forma di governo. Non dimenticare che Carlo Collodi sognava una italia Repubblicana

Come ormai sai, ho provato a leggere Pinocchio sotto la lente della “transizione di sistema”, quando una struttura economica, politica, istituzionale e culturale non regge più il governo del mondo e non può essere aggiustata con le regole interne al sistema stesso deve cambiare le regole e questo credo stia avvenendo anche oggi. “Le Avventure di Pinocchio” sono un esempio lampante.

Anche in quegli anni era in atto una transizione di sistema, quando Carlo Collodi scrisse il suo romanzo, l’Italia era unita da pochi anni e il Granducato di Toscana di matrice asburgica era ormai un ricordo, Pinocchio nasce negli anni in cui la rivoluzione industriale si affacciava alla produzione di beni e costruiva una nuova organizzazione economica e sociale, le istituzioni stesse si riorganizzavano in un nuovo assetto politico.

Era il tempo di una possibile rivoluzione, quella sognata dal Risorgimento e di quel sogno il burattino bugiardo potrebbe essere un archetipo senza luogo e senza tempo, una pura istanza mitologica.

Ti sei affannata, nella tua mania di precisione, a ricercare quali potessero essere le ambientazioni reali a cui Collodi si fosse ispirato, a scoprire in quali anni fosse ambientata la storia di Pinocchio, io trovo inutile dare un tempo al mito e vorrei citare alcun i passi del romanzo come esempi di quello che penso. Partiamo dai luoghi. Uno in cui si svolge la storia è il paese di Acciapacitrulli (nome omen) dove le strade – così scrive Collodi- sono popolate di cani spelacchiati che sbadigliavano dall’appetito, di pecore tosate che tremavano dal freddo e ….. di farfalle che non potevano più volare perché avevano venduto le loro bellissime ali colorite, di gente che chiedeva un chicco di granturco per elemosina e di ogni altro ordine e tipo di derelitti, ma dove passavano di tanto in tanto alcune carrozze signorili con entro qualche Volpe o qualche Gazzaladra.

L’allusione ai ladri in un paese dove la disuguaglianza diventa la prima cosa che si vede ti suggerisce nulla a proposito della possibilità di reinterpretare oggi quel luogo in funzione della nostra evasione fiscale? Un evasore è come la gazza ladra, attirata da quello che luccica se lo riporta in volo nel nido, ecco perchè parlo di mitologia e di epica classica.

Un altro paese dove il nostro burattino finisce è il paese dei Balocchi. Vediamo come viene descritto nel libro e se, tante volte, non fosse familiare ai nostri tempi: Non vi sono scuole, lì non vi sono maestri; lì non vi sono libri. In quel paese benedetto non si studia mai. Il giovedì non si fa scuola e ogni settimana è composta da di sei giovedì e di una domenica…..Ecco come dovrebbero essere tutti i paesi civili.

A me sembra che se andassimo a cercare analogie con la civiltà che stiamo vivendo, pur nella necessità caricaturale del tempo del mito, in quanto a disuguaglianze siamo sulla buona strada e in quanto a balocchi, alcune industrie, e la nostra televisione lo sa bene, hanno imposto un codice secondo cui divertirsi, sfuggire alla noia è passione universale. Questo ideale di vita è perfettamente legittimo, ..… Ma trasformare questa naturale propensione a divertirsi in valore supremo ha conseguenze inaspettate: la banalizzazione della cultura, la generalizzazione della frivolezza e, nel campo della informazione, la proliferazione del giornalismo irresponsabile basato sui pettegolezzi e sullo scandalo. Queste parole non sono di Collodi, ma di Mario Vargas Llosa, che apostrofa la civiltà dello spettacolo, la nostra, che mira a una modificazione antropologica personificando il paese dei balocchi come lo descriveva Lucignolo. Quel paese attirava bambini per produrre somari da rivendere al mercato, il nostro potrebbe attirare umani per produrre burattini.

Una interessante analogia è stata per me interpretare il silenzio nel quale avveniva la racconta dei bambini: il carro arrivò senza fare il più piccolo rumore, perché le sue ruote erano fasciate di stoppa e di cenci. Occorreva non svegliare Geppetto e gli altri genitori, la tragedia, nel romanzo di Collodi, arriva nel più assoluto silenzio. Anche noi non ci siamo accorti per tempo di tutto quello che i nostri balocchi toglievano al dialogo, alla moderazione, alla conoscenza. Nel paese dei balocchi di oggi ci sarebbero solo social e televisioni a desertificare le coscienze, campi di sterminio di una cultura millenaria. Credimi, Pinocchio è un libro profetico.

Anche il tempo dell’azione è misterioso, anzi, se vuoi sapere la mia opinione, è una domanda che al mito non andrebbe mai fatta anche se la tua osservazione è corretta, il fatto che le transazioni economiche del povero burattino avvenissero in zecchini lo colloca prima del 1862, ma secondo me “lo zecchino” è solo un altro modo per definire un archetipo del denaro.

Rispetto moltissimo la tua posizione storico-filologica secondo cui le angherie di cui il nostro sarebbe vittima da parte delle istituzioni sarebbero una misura di quanto Carlo Collodi, mazziniano convinto e volontario nelle guerre di indipendenza, fosse deluso dal finale monarchico del Risorgimento Italiano. Certo che Pinocchio tra le tante ingiustizie che subisce da profittatori e animali di malaffare non ha di che conservare un buon ricordo delle istituzioni. Il giudice lo imprigiona essendo lui la vittima, i carabinieri lo traducono in manette innocente, la sanità rappresentata da un consulto di tre esimi dottori che farfugliano senza senso non riuscendo nemmeno a certificare se il burattino fosse vivo o morto, non fanno fare al potere una bella figura.

Tu parli di delusione? Forse, ma anche lotta politica: Carlo Collodi era un esponente del radicalismo socialista del tempo, e l’afflato rivoluzionario è leggibile già nell’incipit del romanzo. Collodi immagina che i suoi lettori si aspettino: C’era una volta un re, oppure almeno una famiglia nobile, non dico Asburgo-Lorena , anche altri , ma che possano far funzionare una storia al di fuori della routine quotidiana di chi lavora duro per vivere, Invece no, per spronare la cultura, alla consapevolezza di una transizione occorre che addirittura l’epica possa essere accesa da un pezzo di legno. Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo di catasta di quelli che d’inverno si mettono… per accendere il fuoco. Proprio un pezzo di legno qualunque.

Sono gli anni in cui la questione sociale si impone contemporaneamente allo sviluppo industriale e gli artisti non vogliono essere estranei al tema, pur non avendo tutti chiaro il punto di arrivo, iniziano un percorso comune verso condizioni di vita migliori per tutti. Se volessi visualizzare quello che sto scrivendo, pensa al famoso “Quarto stato” ed al fiume di lavoratori che sembra vogliano uscire dal quadro camminando in avanti fin fuori dalla cornice che li opprime: fu dipinto, anno più anno meno, poco dopo Pinocchio. Quello era il clima, e c’è forse anche un’altra cosa che secondo me emerge da Pinocchio, l’amore di Collodi per il teatro, la sua attività di drammaturgo, la sua grande cultura classica per altro riconosciuta in importanti incarichi istituzionali.

Ora ti chiedo di rispondere d’istinto e senza pensarci troppo: come inizia l’avventura di Pinocchio? Sinceramente mi aspetto tu risponda come molti: con Geppetto falegname il quale costruisce un burattino che poi prende vita. No mia cara, hai saltato una scena, una scena chiave per definire proprio Geppetto. Ricordi mastro Ciliegia? Lui sì, era un falegname. Geppetto no, era un intagliatore, lo sapremo solo alla fine del romanzo. Mastro Ciliegia sceglie un ciocco di legno per riparare la gamba di un tavolino, ma ogni volta che lo pialla o prova a tagliarlo questo si lamenta e gli fa perdere il senno ed i sensi dalla stranezza e dalla paura. A quel punto l’amico Geppetto appare a chiedere:

Ho pensato di fabbricarmi da me un bel burattino di legno: ma un burattino meraviglioso, che sappia ballare, tirar di scherma, fare salti mortali. Con questo burattino voglio girare il mondo, per buscarmi un tozzo di pane e unbicchier di vino: che ve ne pare?

A me pare chiaro come Geppetto voglia cambiare mestiere, chi ha la coscienza della transizione per non trovarsi nei guai lo fa, sta pensando di fare l’attore, di raccontare storie vere, inventate, immaginarie non importa, ma si prepara ad affrontare il nuovo mondo con il bagaglio della creatività. Infatti, mentre mastro Ciliegia è quasi morto dalla paura e si disfa volentieri di quel pezzo di legno parlante, Geppetto no, lo lavora amorevolmente e conversa con lui mentre lo trasforma in sembianze antropomorfe. È a suo agio, non prova spavento e nemmeno stupore. Così nasce una storia costruita per raccontare che se anche un burattino di legno può diventare bambino, il futuro migliore esiste per tutti. Lungo il percorso ci saranno ostacoli e inganni, per cui occorre saper scegliere su chi contare e su chi no, occorre capire che la conoscenza che viene dalla scuola è la sola possibilità di rivincita sociale, la migliore arma contro le ingiustizie, una risorsa personale per il bene comune.

E l’aspetto rivoluzionario del testo non è tutto qui. Scritto con la sapienza di un drammaturgo che conosce a fondo le regole dell’animo umano, la sua storia è intrisa di trappole, inganni, e questa è forse la parte più interessante del nostro discorso. Il gatto e la volpe ingannano Pinocchio con promesse assurde, suggestioni per animi semplici. Mai si sarebbero rivolte a Geppetto, artigiano che vorrebbe fare l’attore, la sua capacità di astrazione, la stessa che aveva guidato la sua mano a creare dal legno la creatura vivente che aveva immaginato avrebbe impedito l’inganno.

Non si può ingannare chi ha deciso di offrire al suo pubblico la sua fantasia per sognare, chi riesce ad immaginare non subisce fake news, Umberto Eco ha scritto pagine bellissime sul tema, te ne parlo la prossima volta. Il gatto e la volpe, al contrario, offrono solide realtà fasulle, sembra una campagna elettorale di oggi. Ascolta come si rivolgono a Pinocchio: Fai una piccola buca…metti dentro i denari…ricopri… innaffi…getti…poi vai a dormire l’indomani l’albero germoglierà. Sembra di sentire una campagna elettorale di oggi fatta di promesse irrealizzabili che conquistino consensi anche senza prove, come se gli elettori fossero considerati burattini nel paese di Acchiappacitrulli. Al gatto e alla volpe, come a molti politici di oggi, la mala fede toglie la capacità di sognare e far sognare, per questo sono costretti a propinare bugie senza sostegno invece di sollecitare l’immaginazione.

A volte ho la sensazione che anche da noi si creda nel campo dei miracoli che, come quello del romanzo, appare possibile solo quando il pensiero critico non esista più. Io ho sempre votato in funzione di un sogno e mai per altri motivi. Forse alle decine di milioni di elettori che non votano più manca proprio questo.

E il finale? Quello è davvero diverso da come avverrebbe oggi, Pinocchio capisce, il disagio costruisce la sua coscienza, inghiottito dal pescecane e ritrovato Geppetto non scappa da solo, ma con il padre a cavalluccio sulle spalle e comincia a nuotare (lo fece anche Enea fuggendo dalle fiamme di Troia, a proposito di mito) e poi comincia a lavorare, si stanca, si addormenta e sogna la sua fata turchina:

Bravo Pinocchio! In grazia del tuo buon cuore io ti perdono tutte le monellerie che hai fatto fino ad oggi. I ragazzi che assistono amorevolmente i propri genitori nelle loro miserie e nelle loro infermità, meritano sempre gran lode e grandeaffetto…

Speriamo finisca così anche per noi, se il monello Pinocchio usufruisse di un condono proprio non lo sopporterei.

Con immutato affetto Tuo

Aldo

9 OTTOBRE 2023


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