QUEER, RADICAL PARTY

Nel film di Ettore Scola La terrazza (1980), Vittorio Gassman interpreta il ruolo di Mario, parlamentare comunista in crisi esistenziale. Disagio dal doppio risvolto. Infatti, dietro i tormenti personali (intrattiene una relazione con una donna più giovane), si nascondono le inquietudini dell’appartenenza politica. A pochi anni di distanza lo stimato studioso dell’antichità Aldo Schiavone mette nero su bianco le angosce (non quelle esistenziali) di Mario, in un agile libretto-manifesto, che oggi a rileggerlo suscita tenerezza: Per un nuovo PCI (Laterza, 1985).

Il «nuovo» corso auspicato è destinato a finire sotto le macerie del crollo del comunismo, nel 1989. Naufragio di un’illusione. Rapidamente i comunisti – diventati ex comunisti, perlopiù senza fare i conti in maniera realistica con il proprio ingombrante passato – si sono impegnati nella costruzione di una nuova casa, all’ombra – botanica – prima della quercia, poi dell’ulivo, successivamente della margherita.

Con fortune alterne. Nel 1985 il comunismo italiano appariva a Schiavone da riformare. Nel 2022 è la sinistra a necessitare di una riforma. In Sinistra! Un manifesto (Einaudi) Schiavone invoca una rottura totale per il pensiero (e la militanza) progressista. Occorre prendere atto del fallimento del socialismo e formulare una nuova proposta politica, capace di rispondere al cambiamento epocale verificatosi nell’ultimo trentennio. Naturalmente l’invito è rivolto al Partito democratico, impegnato a scegliersi il nuovo segretario. E il partito sceglie Elly Schlein. Schiavone è perplesso. Non era quella la strada da imboccare che si aspettava. Ma, evidentemente, non gli sono state chiare le trasformazioni della sinistra nella società postmoderna. Quanti ritengono l’arrivo di Elly Schlein alla guida del Partito democratico una rottura, si sbagliano. Non è una novità. È la definitiva consacrazione di una mutazione antropologica e politica che ha preso avvio con il «Sessantotto pensiero» (non con il 1968). Il «movimento» che ha trasformato, in mezzo secolo, la sinistra in «istituzione», era solo in attesa di incontrare la guida giusta. E, finalmente, l’ha trovata.

Chi ha familiarità con il pensiero del filosofo cattolico-tradizionalista Augusto Del Noce, bistrattato in vita e dimenticato dopo la morte avvenuta nel 1989, del «nuovo corso» della sinistra non è per nulla sorpreso. Del Noce nell’ultimo decennio della sua produzione intellettuale, aveva espresso chiari dubbi sull’entusiasmo per la vittoria della società liberale neoborghese. Il filosofo scompare proprio mentre il comunismo sta sgretolandosi. Le sue analisi, da tempo, ne danno per scontata la dipartita: la rivoluzione, come aveva profetizzato in un denso studio del 1978 (Il suicidio della rivoluzione, Rusconi), si è data la morte con le proprie mani. La società italiana secolarizzata gli appare impregnata da materialismo, internazionalismo, dominio della produzione, eliminazione della sacralità religiosa e nazionale.

Poco prima della morte (avvenuta il 30 dicembre 1989) Del Noce verga il proprio testamento intellettuale, nella forma della sua introduzione a Processo all’Occidente. La società globale e i suoi nemici (Sugarco, 1990), corposa analisi controcorrente di uno studioso appartato quanto originale, Marcello Veneziani. Nello scritto, datato 22 dicembre, il filosofo esprime chiari dubbi sull’entusiasmo per la vittoria della società liberale neoborghese. A suo avviso la società sta perdendo, irrimediabilmente, ogni retaggio religioso. Si sta assistendo al trionfo dell’ateismo radicale, del materialismo, dell’internazionalismo, del dominio della produzione, dell’eliminazione della sacralità religiosa e nazionale. L’epicentro dello sconvolgimento, del vero e proprio cambiamento di paradigma, si è verificato nel Sessantotto (o meglio, a causa dell’affermazione del «Sessantotto pensiero») e nella conseguente distruzione del Sacro e della Tradizione.

Nell’ambito di questo quadro epocale, Del Noce ragiona sulla situazione italiana, annunciando l’approssimarsi di un «movimento» (destinato a diventare «istituzione») pronto a trasformarsi in «partito radicale di massa», mondialista e individualista, liberista e libertino. Il futuro «partito radicale di massa», sostiene anzitempo, scaturirà dall’alleanza tra il postcomunismo con la borghesia laica e il cattolicesimo progressista.

Del Noce prefigura la deflagrazione del partito cattolico (la Democrazia cristiana). La frantumazione ne avrebbe spinto la frangia più estremista a spostarsi a sinistra della sinistra. Pietro Scoppola (storico e senatore democristiano) in La «nuova cristianità» perduta (Studium, 1985), nello stesso anno in cui Schiavone si interroga sulla riformabilità del comunismo, ragiona anch’esso, da altro versante, sulla altrettanto impellente riformabilità del cattolicesimo. Entrambi, nei titoli delle loro riflessioni, invocavano una stagione «nuova». I cattolici impegnati in politica vengono esplicitamente invitati da Scoppola a prendere atto del fallimento e abbandonare visioni complesse, sostituendole con decisioni da condividersi, di volta in volta, con soggetti politici non necessariamente cristiani.

Del Noce reagisce alle tesi di Scoppola attraverso alcuni articoli apparsi sul quotidiano romano «Il tempo». È l’ultimo sussulto, il dibattitto conclusivo, di ampio respiro, in seno alla cultura cattolica prima dell’eclissi totale. Nel dopoguerra, sul piano filosofico-politico, la scena era stata segnata dalla contrapposizione tra cristianesimo e marxismo. Ma il «Sessantotto pensiero» (Marcuse e la scuola di Francoforte, la «teoria francese» di Deleuze-Guattari-Foucault, il postmoderno di Lyotard) sotterrava approcci ormai desueti, imponendo la moda del «pensiero debole» (uscito dal 1983 dal cappello magico del filosofo Gianni Vattimo, all’epoca sulla cresta dell’onda).

Heidegger e Nietzsche mutavano di sponda, da destra e sinistra, frullati ad arte (massmediologicamente) in un nichilismo di matrice neoilluminista, saldatosi con il neoliberismo più oltranzista, nella sfera pubblica alla pari della privata. Non più marxista, la sinistra prima pallidamente, poi sempre con maggior coloritura, orienta l’azione politica nell’abbandono delle «politiche dell’organizzazione collettiva» (gli operai, la famiglia), spostando il proprio asse verso le «politiche della differenza» (l’immigrazione, la fluidità sessuale). La sinistra «movimentista» (oggi «istituzionalizzata») non guarda più alla collettività. Il proprio sguardo lo rivolge, ormai stabilmente, all’individualità.

Il «partito radicale di massa» prefigurato da Del Noce, è il partito guidato da Eddy Schlein. Un partito queer, retto da una filosofia e una religione queer. Molto istruttiva, al riguardo, è la lettura del recente saggio di Michela Murgia God Save the Queer. Catechismo femminista (Einaudi, 2022). In copertina un’immagine della Madonna (è una giovane in maglietta rossa, dall’aria vagamente no global, ma potrebbe essere anche una migrante) con il pugno alzato. Il termine queer nella lingua inglese per lungo tempo è stato sinonimo di strano, insolito, eccentrico. Poi, con la rivoluzione culturale degli anni Sessanta, queer ha assunto una declinazione sessuale.

Chi è queer non è eterosessuale. Infine, chi è queer, ulteriore evoluzione, non necessariamente rivendica una sessualità alternativa (che potrebbe anche avere), ma intende presentarsi privo di etichette, ormeggi definiti, riferimenti precisi, identità certe. Liberi di sistemare a piacimento le pedine sulla scacchiera. Si può essere cattolici senza bisogno di accettare quanto la Chiesa ritiene imprescindibile. E si può essere di sinistra senza bisogno di accettare quanto la sinistra ritiene imprescindibile.

Le «politiche della differenza» producono, necessariamente, una contrapposizione «identitaria» binaria, con la divisione (sociale, religiosa, sessuale) tra un elemento buono e uno malvagio. Il progressismo (positivo) e chi ad esso si oppone (negativo). Questo processo è stato descritto da Robert Hughes in La cultura del piagnisteo. La saga del politicamente corretto (Adelphi, 1994), che quando uscì sembrava lontana anni luce dal contesto italiano, mentre era già in azione in quello nord-americano. Ora ci siamo arrivati. Il «partito radicale di massa» ci ha messo un po’ a prendere forma definitiva, a mostrare il suo vero volto. Ma ora c’è.


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