POVERO MARX!

di Beppe Attene

Che a ciascuno piaccia o meno, che ciascuno ci creda o meno non vi è dubbio che l’approccio alla realtà economica e sociale di tutti noi si è codificato attraverso il filtro della lettura marxiana della Storia e della Economia.

Da oltre un secolo e mezzo il pensiero dell’ebreo di Treviri ha costituito il perno non soltanto delle analisi “alte” ma anche e soprattutto dello sguardo di tutti sul mondo materiale, sulla economia e sulle dinamiche sociali.

Ciò non ha, fortunatamente e naturalmente, portato ad una adesione parimenti diffusa alle sue opzioni politiche.

Ha configurato però un sistema di recepimento e percezione che è, a sua volta, diventato un fenomeno oggettivo, una realtà (per quanto immateriale) che viene accettata come esistente e data.

Molti elementi hanno giocato, e tuttora giocano, a favore di questo straordinario “successo”.

Certamente, fra gli altri, la straordinaria potenza del pensiero di Karl Marx.

In esso tendenzialmente nulla va perduto fra le righe ma tutto si ricollega, in maniera solida e giustificata, al resto.

Chi vi si avvicina serenamente non ha mai la sensazione di perdersi dietro un passaggio ingiustificato o di affrontare uno sfogo soggettivo.

Altrettanto certamente agisce a renderlo talmente diffuso una apparente semplicità cui siamo poco abituati.

La chiarezza della legge sulla caduta tendenziale del saggio medio di profitto è quasi paradossale.

Una volta accettate le definizioni e riconosciuto che il plusvalore a favore del capitalista deriva tutto dall’apporto del lavoro salariato che non viene ricompensato interamente nel salario, tutto il resto si tiene.

Un ulteriore e fondamentale elemento di forza dell’approccio marxiano è costituito dalla sua natura finalistica.

Tutta la sua elaborazione prevede un percorso umano che non può non sfociare in un altro e nuovo modello di organizzazione economico-sociale.

In questo Marx condivide e in qualche modo “copia” l’impostazione dei modelli religiosi pur riducendola alla realtà materiale.

Il sistema capitalistico non potrà non cadere ed essere sostituito dal nuovo modello che ne elimina gli errori e le distorsioni.

Persino il giovane Antonio Gramsci polemizza con Marx su questo e, dalle pagine di L’Ordine Nuovo, chiama alla rivoluzione contro il Capitale: il Capitale non sono i padroni ma il sacro testo marziano.

Lui pensa al socialismo (in quel momento) come un percorso frutto di una crescente soggettività di classe.

Ma era giovane e non considerava che assai più facilmente si aderisce a una dottrina che comunque ti “garantisce” l’esito finale piuttosto che chiederti impegno, fatica e volontà.

Quel che però sembra determinante nelle analisi di Karl Marx è la sua natura “oggettiva” e scientifica.

Le eventuali posizioni politiche non derivano da sistemi valoriali o presupposti ideologici. Il mondo che egli racconta e analizza è il mondo vero, quello materiale e ben reale.

Le conclusioni di analisi a cui giunge possono tranquillamente  essere utilizzate e condivise anche dai suoi avversari. O le si contesta internamente dimostrando che il ciclo del valore è differente da quello da Marx sintetizzato o ci si adegua all’analisi magari non pensando a una possibile rivoluzione o alla dittatura del proletariato.

Si tratta di un vero e proprio elemento strutturale che spiega come, sino a pochi anni fa, fosse impossibile prescindere dal suo pensiero e scavalcarlo.

Ma povero Marx! Aveva fondato i suoi studi e le sue ricerche su un contesto teorico (e non solo) basato sul concetto di libero mercato e sulla definitiva esistenza degli Stati-Nazione in grado di applicare la loro consapevole azione al territorio di loro appartenenza.

La stessa dialettica struttura-sovrastruttura che faceva infine dipendere i contenuti e i sistemi di valori dalla base economica si reggeva su questa dimensione data per stabile e definitiva.

La rivoluzione capitalistico-borghese era in fondo soltanto un passaggio, per quanto fondato su ingiuste basi, verso quelle sorti magnifiche e progressive di cui pur Leopardi gia aveva dubitato.

Nessuno, del resto, poteva immaginare che nel giro di poche decine di anni la geopolitica avrebbe visto cambiare talmente a fondo le proprie regole.

Quegli Stati-Nazione che si erano costituiti (con l’eccezione dell’Italia) nel corso di diversi secoli e apparivano potentissimi avrebbero presto scoperto di non avere più il controllo economico del proprio territorio.

Avrebbero dovuto imparare a fondare la propria esistenza soltanto sulla appartenenza linguistica e culturale oltre che sugli apparati militari.

E i capitalisti avrebbero presto capito che il vero profitto non andava ricercato “soltanto” nello sfruttamento dell’uomo sull’uomo ma in dinamiche finanziarie non strettamente legate alla produzione e al consumo delle merci.

L’analisi marxiana è venuta così perdendo rapidamente la propria natura realistica ed oggettiva.

Il mutamento delle forme di comunicazione ha travolto la consolidata e giustificatissima idea che la sfera culturale dipendesse infine dai diretti poteri economici.

Si è venuto creando un nuovo mondo le cui regole interne di funzionamento sembrano ancora tutte da scrivere.

Da scrivere, naturalmente, ammesso che ci siano e che esistano.

Perché, in fondo, proprio questo rimane il problema.

Esiste, nel nuovo mondo, la possibilità di analizzare e governare i passaggi economici e finanziari?

E come si definirà l’adeguamento delle Istituzioni, che appare sempre più necessario, al nuovo contesto?

Dobbiamo davvero ridurci a pensare che solo gli apparati di Deep State, privi per definizione di finalità generali, possano oggi risultare operativi?

Nel 1848 Marx ed Engels scrissero “uno spettro si aggira per l’Europa” e testimoniarono l’avvio di una serie di movimenti sociali che sono risultati determinanti (e non sempre in bene) nella Storia.

Ma qualcosa di ben più forte e difficilmente analizzabile si aggira oggi per il mondo, anzi per il sistema solare.

Riportarlo a una base oggettiva, capirne i meccanismi e adeguare i comportamenti senza farsi imbrogliare (o imbrigliare?) da una falsa libertà individuale sarebbe utile e necessario.

Povero Marx, insomma. Ma poveri anche noi se non ce ne capita un altro.