LA STORIA DI SHIMA

IL CIELO SOPRA TORINO 5

EUGENIA PAGANO

E’ un piacevole pomeriggio di fine Settembre e mi reco al parco fluviale del Valentino insieme a Noa e Bil, figli di una cara amica. Sono bimbi felici ed educati ed è piacevole trascorrere del tempo in loro compagnia.

Sui verdi prati ci sono fanciulli che giocano a palla, altri a rincorrersi e lungo i viali ragazzi vanno in bicicletta. Per Bil il calcio è una passione innata e così si inserisce facilmente nel gruppo, Noa è ancora piccola e preferisce divertirsi con gli scoiattoli che ormai abitano la città, ma non è la sola, con lei ci sono altre bambine accompagnate dalle loro mamme che dopo essersi accertate che tutte giocano in allegria, raggiungono la panchina si siedono vicino a me.

Come spesso accade, anche noi adulti socializziamo prima parlando dei piccoli e poi di noi raccontandoci serenamente come una volta si faceva in treno, sconosciuti che forse non incontreremo più.

Ma è proprio nel sentire l’amarezza della signora di nome Shima, mamma di Aria, per aver poco tempo da dedicare alla figlia, che domando quale lavoro svolgesse e approfondire il racconto della sua esperienza dove e quando vuole.

L’appuntamento è fissato per domenica 8 Ottobre alle ore 16 presso il suo studio in via Della Rocca . Intanto per tutti è l’ora di tornare a casa ed io sono particolarmente soddisfatta per questa conoscenza. Non so ancora se ci sarà una vera e propria intervista, ma la disponibilità di questa persona lascia ben sperare.

Mi reco all’indirizzo stabilito, suono e viene ad aprirmi Shima che nel farmi accomodare si scusa per il disordine, in quanto stava lavorando alla traduzione di un testo, ma nel dirle di non preoccuparsi inizio io a giustificare la mia quasi invadenza.

La figura del mediatore interculturale è presente anche e non solo all’interno della casa circondariale Lo Russo Cotugno dove io ho insegnato per alcuni anni e trovo straordinario che due persone conosciute casualmente abbiano una qualche affinità.

Da qui nasce un dialogo cordiale di reciproche domande e risposte nonché ll racconto della sua storia.

Sono nata nel centro di Teheran il 29 gennaio del 1986, seconda di due figli, conseguo il diploma di scuola superiore, ma il mio desiderio è continuare gli studi e laurearmi in lingue e non essendo semplice per una donna essendo, con l’approvazione dei miei genitori, seguo le orme di mio fratello e parto alla volta di Milano.

Per iscrivermi all’università tuttavia occorre il riconoscimento del diploma che riesco ad ottenere dopo pochi mesi previo accertamento della lingua. Scelgo di studiare l’arabo e intanto partecipo a varie iniziative che la metropoli offre e ad un convegno conosco un mediatore interculturale di Torino e poiché e colto e intelligente, decido di completare gli studi nella sua città.

Ecco come sono arrivata qui. Proseguo gli studi e termino la magistrale con il massimo dei voti. Intanto per mantenermi agli studi avevo iniziato collaborazioni con studi di avvocati e a insegnare inglese nelle scuole primarie.

Ed è proprio un avvocato che avendo bisogno di un traduttore di lingua persiana all’interno del carcere mi propone questa esperienza.

Accettare non è stato semplice, non era questo che sognavo, tuttavia rifiutare un’occasione di lavoro era inopportuno. Cosi dopo aver richiesto e ottenuto l’autorizzazione ad entrare arriva il giorno fatidico. Una lunga trafila mi attendeva. Il primo controllo all’ingresso ancora fuori poi passaggio del primo cancello, attraversamento del cortile quindi secondo controllo e obbligo di depositare borsa telefonino e quant’altro in una cassetta di sicurezza, poi porta in metallo che si apre per accedere ad un altro cortile al fondo del quale si accede ad un ingresso che si affaccia su un lungo corridoio dove da una parte ci sono le aule per gli incontri con gli avvocati e proseguendo si trova la biblioteca, la palestra, la cappella.

Dovunque finestre sbarrate e intanto il detenuto viene accompagnato all’udienza ed inizia l’interrogatorio per capire la colpa e tutte le informazioni che servivano all’avvocato per la difesa. Naturalmente la prima dichiarazione di Tahir, questo è il nome del giovane uomo è quella di essere innocente… ho seguito il caso fino al suo trasferimento al carcere di Bollate, dove probabilmente ha iniziato a studiare la lingua italiana e magari riuscirà a comunicare direttamente con le istituzioni.

Da questa vicenda capisco quanto importante sia il ruolo del mediatore al fine di aiutare l’inserimento degli stranieri nella società, così mi attivo per ottenere titoli necessari riprendendo a studiare.

Ed è proprio al corso di medicina che oltre alla materia trovo particolarmente interessante anche il dottore che tiene le lezioni. Inizialmente è solo uno scambio di idee relative alla materia, ma poi lentamente… Oggi Giorgio, così si chiama, è mio marito nonché padre di Aria.

Per tornare alla mia professione devo ammettere che mi ha fatto conoscere un mondo a me nuovo: il dialogo tra istituzioni e migranti da me accompagnati a cui dare voce.

Ricordo tra le storie una particolarmente toccante, quella di Marie Sole, una bambina di cinque anni in attesa di una famiglia affidataria ( i genitori sono in carcere per uso e spaccio di stupefacenti )

E’ piccola e smarrita e non parla l’italiano così trascorro con lei il maggior tempo possibile cerco di rassicurarla e poiché il tribunale ha stabilito incontri periodici con la madre, io l’accompagno, ed ancora mi ritrovo dietro le sbarre.

Purtroppo il distacco dalla madre è sempre doloroso tanto che ogni volta la serenità di Marie Sole è compromessa. Dopo aver parlato con l’assistente sociale al centro di via San Secondo, fisso un appuntamento col giudice dei minori che riprende in mano il caso. I tempi sono lunghi ma alla fine con buoni risultati. Sarò io a dire alla mamma che per un periodo di tempo non vedrà la bimba per il bene di entrambe, cosa per lei drammatica, ma poi ragiona e comprende che quella è il percorso per dare alla figlia una vita migliore. Finalmente si trova una coppia idonea all’assegnazione e la bambina è accolta in una bella casa, ai piedi della collina torinese, e ancora per un paio di mese affianco la famiglia per via della lingua. Tuttavia questo cucciolo di donna dagli occhi scuri e i folti i capelli castani apprende facilmente e così quando tutti riescono a capirsi il mio compito termina.

Ogni storia di gente lontana da casa è unica, ma con tratti comuni che io, attraverso la mia professione, riesco a conoscere e che oggi ho potuto raccontare.

Grazie.


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