LA DESTRA C’E’, LA SINISTRA FORSE: SERVONO I CIVICI

La fine dei partiti del Novecento, basati su una ideologia caratteristica che ne definiva con chiarezza il profilo e la proposta cultural-politica, ha privato il nostro sistema parlamentare democratico del suo elemento fondamentale di garanzia di partecipazione ed accesso dei cittadini alla vita democratica, eliminando di fatto la mediazione fondamentale fra governo della comunità e cittadini che la costituiscono che ha mandato in crisi l’intero sistema.

La risposta più veloce ed efficace alla crisi della democrazia italiana è stata quella della Destra, che ha riproposto il modello del leader che ha un rapporto diretto, sostituendo la comunicazione unilaterale attraverso i media ai noiosi barocchismi della politique-politicienne dei partiti giunti alla fine del loro ciclo.

Con una scelta assolutamente analoga se non identica a quella dei leader antidemocratici degli anni Venti del Novecento, che colsero l’occasione della comparsa della radio e del cinema come formidabile arma per una propaganda politica semplice e di veloce accesso e successo, i leader della Destra populista affermatisi nel Duemila hanno utilizzato con quasi altrettanta efficacia i nuovi potentissimi media di cui hanno dimostrato di saper approfittare meglio e più velocemente, a partire dal padre della Seconda Repubblica italiana, Berlusconi con le Tv commerciali, per continuare con Grillo e Salvini con i social media moderni.

Per quasi trenta anni la Sinistra ha combattuto la nuova Destra italiana sostituendo la tattica dell’isolamento politico- l’”arco costituzionale” che limitava il campo democratico – con quello dell’isolamento ..giudiziario, cercando di sostituire il concetto di legalità a quello di democrazia, alterando in maniera forse irreversibile l’equilibrio dei poteri: la Costituzione non è più vista come tutela dei principi di democrazia, ma di una non meglio definita legalità democratica, rendendo i Tribunali una sorta di organismo sovraordinato alle assemblee elettive. La Sinistra della cosiddetta Seconda Repubblica ha operato una svolta conservatrice, rinnegando così la propria stessa natura.

Ma, come dovrebbe insegnare la Storia, se si rendono le aule parlamentari “sorde e grigie” trasferendo altrove il luogo della politica, chi ne trae vantaggio alla lunga non può che essere la Conservazione che si richiama a un passato e a dei valori selezionati e idealizzati piuttosto che non il Progresso, cioè chi si avventura, meglio dovrebbe farlo, ad affrontare il cambiamento che comunque arriva, con idee nuove: la nostalgia del passato vince sempre sulla paura del presente e contende con successo la speranza in un futuro migliore con la concretezza delle cose passate ma conosciute e idealizzate.

Sta qui la ragione, a mio parere, dell’avvento di Giorgia Meloni come leader stabile di una Destra conservatrice europea :fu sottovalutata da tutti la sua scelta di non legarsi, al contrario di Salvini, ai movimenti apertamente fascisti di Identità e Azione guidati da Le Pen e neonazisti di Afd proprio nel momento di maggior successo di quei movimenti, per optare per la costruzione di uno schieramento da lei guidato in prima persona di Conservatori e reazionari legati alle radici culturali di un sovranismo provinciale attestato nelle campagne e nei territori dell’Est Europa, che andava sempre più contrapponendosi al globalismo delle realtà urbane e delle “elite” indicate come le vere avversarie del popolo sovrano.

La Destra Conservatrice di Giorgia Meloni supera e archivia la stagione del populismo giallo-verde ancorato al presentismo dei social per proporre una sfida e una visione di lungo periodo che si allunga pericolosamente sul vero scenario dello scontro politico, l’Europa. E lo fa proponendo una rassicurante visione da Strapaese cara alla provincia di Latina come a quella di Varese, con valori comuni ai popoli della nuova frontiera dell’Est, accomodandosi sotto l’ombrello americano, candidandosi con polacchi e baltici a svolgere quel ruolo di acceleratore sull’economia e frenatore sulla politica che svolgeva la Gran Bretagna fino alla Brexit.

La sinistra di governo ha sprecato la sua occasione di presentarsi come l’interprete delle speranze di riforma e delle possibilità di sviluppo della democrazia italiana.

Ma la sinistra maggioritaria non aveva né progetto, né cultura dell’alternativa, ed era quindi impreparata, inconsapevole e poco convinta delle cose da fare e delle scelte da compiere. In sostanza la sinistra al governo ha operato sulla difensiva, correggendo, non riformando, rifugiandosi in contenitori forti (la moneta unica, l’Europa, l’affidabilità nelle alleanze internazionali), senza una sua chiara identità e obiettivi visibili di cambiamento.

A fronte della Destra Conservatrice strutturata e consolidata nel campo occidentale, il campo della Sinistra italiana è diventato così un campo di Agramante nel quale non si intravvede un filo comune di riorganizzazione politica efficace, trovandosi per di più a dover affrontare la riorganizzazione geopolitica imposta dalla guerra in Ucraina senza una direzione di marcia comune.

Il PD ha affrontato le ultime elezioni politiche come se fosse ancora in vita il bipolarismo dei “buoni” di un centrosinistra che non esisteva più nemmeno come sigla o coalizione elettorale contro i “cattivi” conniventi con mafia ed evasori fiscali dei tempi di Berlusconi e Salvini, arruolando fra i “buoni” perfino gli antisistema grillini, senza accorgersi che l’avversario Giorgia Meloni era profondamente diverso anche dalla Meloni sovranista e antieuropeista di pochi mesi prima.

Con la riconosciuta capacità di cambiare contenuti e azionisti mantenendo immutato il quadro dirigente attraverso il meccanismo delle primarie per l’elezione del segretario ( un unicum mondiale che meriterebbe analisi meno sbrigative di quelle giornalistiche), il Pd si è rifugiato in una scelta identitaria su quelli che sono diventati i suoi valori di “sinistra” da partito Radicale di massa, caro all’elettorato urbano che ne costituisce ormai lo zoccolo duro residuo, uniti a un tentativo di ripresa di una tematica “massimalista” sui temi sociali e del lavoro, senza ovviamente alcuna riflessione critica ad accompagnare e a motivare la “svolta” che l’abbia portato, per fare solo un esempio, a passare dall’essere fieri avversari del “salario minimo” che affosserebbe la contrattazione collettiva a sostenitori strenui di una misura sulla quale non hanno scritto nemmeno un rigo di proposta.

Ancora una volta, il Pd cerca di ripercorrere via e metodi utilizzati dall’avversario vincente, proponendo una leadership femminile che fa della “coerenza” con valori identitari il proprio punto di forza, in grado di fargli “saltare” la critica agli errori del passato anche recente e l’elaborazione di contenuti e proposte.
E’ probabile che Ely Schlein avrà maggiori difficoltà rispetto a Giorgia Meloni, avendo a che fare comunque con un partito i cui iscritti e soprattutto amministratori locali, che restano la spina dorsale e l’insediamento sociale di un partito che si è identificato appiattendosi sulla burocrazia istituzionale più che sulle istituzioni, non condividono le caratteristiche identitarie cui la segretaria sembra richiamarsi: ma questa, per ora, sembra la scelta che il Pd manterrà almeno fino alle elezioni europee.

Gli altri protagonisti o presunti tali, a partire dai recenti naufraghi del Terzo Polo, vagano senza bussola nello stesso campo : la chimera di un centro “moderato” in grado di sottrarre consensi a destra e sinistra muovendosi in una immaginaria “prateria” che periodicamente appare come un miraggio invitante si infrange regolarmente nelle urne, qualsiasi sia il sistema elettorale utilizzato, mentre l’idea di imitare i metodi del centro destra vincente (partito personale, comunicazione che sostituisce la politica, uso della leva fiscale come strumento di consenso) porta regolarmente a fare i conti con il fatto che fra originale ed imitazione l’elettore finisce per scegliere l’originale, mentre il “proprio” elettore deluso dall’offerta si rifugia nell’astensione ormai maggioranza assoluta nel Paese.

Il fallimento del progetto di partito condotto da due leader autodefiniti e autoreferenziali, ma soprattutto da gruppi dirigenti di scarso valore che hanno assorbito tutti i difetti dei partiti (i posti, i capilista, i tuoi e i miei, la chiusura a riccio di minioligarchie personali, uso personale dei fondi elettorali) e nessun pregio (il rapporto con gli elettori e’ cosa del leader, il partito è un bancomat elettorale e di carriera per i leaderini dei piani bassi…) conferma, ove fosse stato necessario, che la costruzione di una alternativa valoriale e politica al progetto della Destra conservatrice in Italia e soprattutto in Europa, non avverrà attraverso l’opera di un leader-commissario alla semplificazione del messaggio politico, come è invece nella storia e nella tradizione della Destra.

Uno degli effetti della crisi del sistema è stato l’emergere del civismo come risorsa politica:oggi un terzo dei comuni italiani sotto i 20 mila abitanti è amministrato da giunte e sindaci civici. L’ultima tornata elettorale ha segnalato che nei comuni capoluogo di provincia il civismo è risolutivo per il 15% dei casi.
Nella grandi città metropolitane il civismo concorre diffusamente a formare alleanze determinanti per le condizioni di governo.
Le varianti di orientamento riguardano alleanze di centro-sinistra, alleanze di centro-destra ma anche, in forma crescente, autonomia di posizione che seleziona i casi rivelando un’evoluzione forte sia dal lato dell’offerta che dal lato della domanda.

A questo punto se il mondo civico non raggiunge un livello di maturita’ tale da non percepire l’esistenza di una organizzazione strutturata come una minaccia alla propria indipendenza associativa e, alla fine, personale, finisce per sprecare ignobilmente quelli che sono i pregi dell’impegno civico e politico, dalla generosità e disinteresse personale alla maggiore e ormai conclamata capacita’ di analisi ed elaborazione politica che per primi noi NON riconosciamo a noi stessi.

Egualmente occorre che il civismo acquisisca consapevolezza del fatto che se sono archiviate le ideologie, non sono certo venute meno le necessità di disporre di teorie per compiere scelte sociali, economiche, istituzionali. Teorie che costituiscono filiere di pensiero con radici lontane, anche molto lontane, che appartengono ad un patrimonio generale delle scienze politiche.

L’interesse espresso nei confronti del modello di programma di governo rappresentato dal “Semaforo tedesco” è un segnale di flessibilità rispetto al pluralismo di questi filoni di riflessione ed elaborazione, segnale che deve essere confermato e sviluppato: storie differenziate in relazione alle molte problematiche che è compito di una forza politica mettere in un certo ordine di priorità e di reciproca connessione.

E proprio queste esperienze ci portano oggi a dire che anche per il civismo è il tempo delle scelte di campo e dell’impegno a un livello che supera l’ambito municipale.

Il campo di azione dei civici riformatori è quello alternativo alla Destra Conservatrice. Il loro ruolo è quello di federatori di realtà diverse attraverso la rivendicazione chiara ed esplicita dei valori comuni, dell’idea di progresso e futuro comune europeo e federale, del metodo di partecipazione democratica e della costruzione di politiche e organizzazioni dal basso, dalle città e dai territori.


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