POLIS SICILIA
La Sicilia rischia di diventare un grande deserto, come quelli della Libia o della Tunisia.
La siccità e le temperature sempre più alte, assieme alla mancata gestione delle risorse sempre più scarse, portano oggi all’emergenza siccità. Un fatto nazionale, non solo locale. In Italia manca una Legge Quadro sul clima, nonostante gli effetti disastrosi del climate change su agricoltura ed economia nel nostro Paese.
48,8° C
Il deserto sta invadendo la Sicilia, l’isola più grande e popolosa del Mediterraneo, dove nel 2021 è stata raggiunta la temperatura record in Europa: 48,8°C. Negli ultimi due anni le precipitazioni sono ulteriormente diminuite, fino a raggiungere il dato importante del meno 40% dal 2003 ad oggi. Negli ultimi sei mesi del 2023, sono caduti solo 150 mm di pioggia.
La Sicilia, con Malta e la Spagna, è la regione del Mediterraneo più colpita dalla siccità. E la situazione, secondo l’IPCC delle Nazioni Unite, è destinata a peggiorare, con l’aumento del caldo e della siccità nei prossimi decenni.
L’emergenza climatica ha già oggi un un impatto molto pesante sulle colture agricole tradizionali dal Mediterraneo, in un futuro prossimo potrebbe rendere necessario cambiare la colture e introdurre piante e frutti tropicali. La produzione di avocado, mango e papaya è già oggi una realtà in Sicilia. Nel 2021 un’azienda locale che produce caffè ha coltivato in via sperimentale e con successo il proprio caffè su terreno in Sicilia con l’obiettivo di creare la piantagione di caffè più a nord del mondo.
La Sicilia sta diventando sempre più tropicale dal punto di vista delle temperature ma non delle precipitazioni, perché nelle zone tropicali piove, cosa che in Sicilia sembra non avvenire più.
Una crisi che viene da lontano
Christian Mulder, professore di Ecologia ed emergenza climatica all’Università di Catania, in un recente intervista al “The Guardian” ha raccontato come “entro il 2030 un terzo del territorio della Sicilia potrebbe diventare un deserto paragonabile alle terre della Tunisia e della Libia”.
Secondo Mulder, la desertificazione partirà da Sud Ovest, nelle terre che si affacciano sul Canale di Sicilia davanti all’Africa. La causa di una situazione che sta diventando drammatica è imputabile al clima e anche ai gravi fallimenti delle autorità nazionali e regionali sul tema dell’acqua. L’Italia, ad esempio, è uno dei pochi Paesi dell’Unione europea a non avere una Legge Quadro sul clima, ma solo un piano di adattamento ai rischi climatici, peraltro approvato solo nel 2024.
L’acqua potabile nell’isola proviene tradizionalmente dalle falde acquifere sotterranee, quella per l’agricoltura invece viene immagazzinata in grandi serbatoi costruiti dopo la Seconda guerra mondiale. Entrambi i sistemi si basano su precipitazioni invernali che però sono sempre più scarse.
Per trent’anni si è trascurata la manutenzione essenziale della rete di irrigazione e la capacità dei bacini idrici dell’isola è diminuita, compresa quella dei bacini artificiali per il bestiame. I 48°C estivi hanno fatto precipitare la situazione e reso evidenti le conseguenze di decenni di cattiva gestione delle risorse idriche.
L’EMERGENZA SICCITÀ
A maggio, il Governo di Roma ha dichiarato lo stato di emergenza per la siccità in Sicilia e ha quindi stanziato 20 milioni di euro in aiuti, contro i 130 milioni richiesti dal governo regionale.
La siccità è una vera e propria calamità per l’agricoltura e l’allevamento: l’ISTAT ha certificato una diminuzione della produzione di vino del 17,4% e di quella di frutta dell’11,2%. Coldiretti stima che la carenza idrica sia già costata 33mila posti di lavoro nei campi in tutto il Mezzogiorno.
Gli eventi climatici disastrosi e la siccità rinviano ad una vera e propria crisi climatica, che impone oggi politiche pubbliche sul clima in Europa e in tutto il mondo. In altri termini, la siccità e la desertificazione della Sicilia è solo in parte un problema siciliano. Serve una pianificazione adeguata e capace di contrastare i fenomeni estremi, e di impostare per tempo soluzioni e alternative. I fenomeni estremi vanno prevenuti con politiche coraggiose e pragmatiche, come altrove è stato fatto. L’esempio deI desalinizzatori di Barcellona e di San Diego sono solo uno di questi. Certamente serve uno Stato che sappia essere innovatore e imprenditore allo stesso tempo. Paradossalmente la transizione green, con l’uso intelligente delle tecnologie disponibili per rendere efficienti gli impianti di distribuzione e ridurre i consumi, potrebbe essere la soluzione.
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