FUTURO SOSTENIBILE: NO AL “NIMTO”

di Giorgio Fiorentini 

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Per bloccare un futuro sostenibile si sta attivando la sindrome “Nimto” (not in my terms of office) e cioè “nessuna regolazione ambientale durante il mio mandato politico” al fine di non perdere consenso.

Creare futuro vuol dire co-creare: con la dominante lessicale del “co” e cioè progettando, co-programmando e co-producendo la valorialità.

Essa ha nel suo DNA concettuale la sostenibilità, la relazione e la reciprocità.

Un tema focus per ritardare la sostenibilità è la transizione tardiva (che ricorda la canzone dei Pooh “Ci penserò domani”). Tutto questo a danno del futuro, della salute dei cittadini che spesso in modo masochistico evitano le azioni di tutela dell’ambiente per “vivere bene al presente” e “morire male in futuro”.

La decarbonizzazione al 2050 del mondo, dell’Europa e quindi dell’Italia e’ un obiettivo che fu assunto in modo molto scettico. Invece c’è stata una accelerazione ed alcuni paesi potrebbero anticipare gli obiettivi raggiunti al 2045. Ricordo che nel 2019 quando l’Europa disse che noi vogliamo essere decarbonizzati nel 2050, tutti si misero a ridere e poi invece tanti altri paesi sono andati nella stessa direzione ed hanno assunto l’impegno per il 2060.

Oggi alcune ultime stime parlano del 2045.

I 17 obiettivi dell’Agenda 2030 dovrebbero essere oggetto di una progressione costante, di programmi d’azione, per il benessere delle persone e la tutela della prosperità: oggi per domani. 

Invece, per esempio in Italia, sei su 17 obiettivi (nel 2023) si sono rilevati in una posizione peggiore rispetto al 2010. Se guardiamo ancor più il futuro notiamo che i dati di 22 dei 37 obiettivi specifici e target quantitativi, che l’Italia ha deciso di raggiungere anche sulla base degli impegni europei, non saranno raggiunti. 

Eppure, i dati, e non la narrativa esornativa, ci obbligherebbero ad una libertà condizionata per essere ancor più determinati verso la tutela dell’ambiente e la sostenibilità.  

Non ci potrà essere un futuro di valore senza un circuito virtuoso di integrazione fra valori come la partecipazione e la democrazia, l’equità di salute, l’uguaglianza sociale, la parità di genere, l’inclusione ed altri elementi che offrono un quadro produttorio di ruoli e azioni positive. 

Essi danno un risultato positivo nell’ambiente, nel sociale e nella partecipazione della governance. 

La sostenibilità e la misurazione/valutazione d’impatto dei prodotti e dei servizi offerti ai cittadini (siano essi “cittadini-clienti” dello Stato o consumatori) sono il “mainstream “operativo e danno sostanza al civismo “applicato”. 

Per costruire un futuro sostenibile ci vuole “civismo applicato” per il tramite anche di imprese sociali civiche private e pubbliche che sono “inclusive” e non “estrattive” secondo la concettualizzazione di D’Aron Agemoglu e James A. Robinson, premi Nobel dell’economia 2024. 

Essi assumono il concetto di “estrattivo”, nella sua accezione economica, come aggettivazione negativa e cifra contro uno sviluppo del mondo equo e sostenibile, non generativo; un “minus“ imprenditoriale che fa del management strategico e operativo senza preoccuparsi di sviluppare business sostenibile che integra l’economico, il sociale, e l’ambiente. Per semplificare il messaggio: ESG (Environmental, Social, Governace) oriented. 

L’approccio “estrattivo” è una gestione con “azione a somma 0 ” dal punto di vista della sostenibilità, e quindi sfruttamento dell’esistente con l’obiettivo di mantenere un vantaggio per pochi ed elitario. E’ management distruttivo. Senza partecipazione e inclusione. 

Attenzione: queste imprese possono anche essere apparentemente di successo riguardo alla loro capacità di efficienza, efficacia, economicità autoreferenziale senza investimento e con un assetto duraturo che si basa su un approccio opportunistico ed a favore di pochi. Fuori di metafora a favore dei pochi che mettono a disposizione risorse non come investimenti inclusivi, ma solo a vantaggio delle proprie esigenze utilitaristiche del presente. Senza futuro e con la massimizzazione assoluta del profitto senza relativizzarlo ad una visione utile per il futuro come bene comune e bene collettivo. Manca la continuità, la perdurabilità ed il futuro orientato al bene comune.

L’approccio manageriale deve trasformarsi da “estrattivo” a “inclusivo e generativo” ed il modello gestionale del civismo è “inclusivo e generativo”. 

Superamento della dicotomia tra produttori di bene comune e produttori di profitto, non limitandosi alla ridistribuzione del reddito, ma sviluppando la creazione di un welfare che dia un “futuro di valori”. Per esempio, il “valore ambientale” è uno dei presupposti per la sopravvivenza della società. 

Oggi purtroppo è sorta una levata di scudi, prevalentemente industriale, che, in nome della semplificazione (Decreto Omnibus 2025), rischia di compromettere il “futuro di valori”. 

Al di là dell’approccio, a volte limitativo della co-programmazione e co-progettazione se visto come “istituto giuridico” (art 55 del Codice del Terzo Settore) riconosciuto dalla Costituzione e da una sentenza della Corte Costituzionale (131/2020), è necessario sviluppare “processi” come insieme di fasi di produzione di beni e servizi prodromici per costruire non un futuro ideale e “metafisico, ma un futuro “ontologico” e fisico. Per sfuggire dall’effimero fascino dei soli “principi di base” senza mai tradurli in “applicati”, per trasformare l’”estrattivo” in “inclusivo”. Tutto questo tradendo l’opzione della sostenibilità del Rapporto Brundtland (“Our Common Future” -1987), ove si evidenziava la necessità di gestire il presente sostenibile per non compromettere la sostenibilità futura.  

Per esempio, la sostenibilità complessiva ed economica in sanità non vuol dire ridurla solo alle regole del mercato, ma sarebbe irresponsabile ignorare la sua sostenibilità economica per mantenerla efficiente ed efficace nel futuro. Collegare il concetto di valore economico (profitto) con i “valori di valorialità” (benessere collettivo, sostenibilità, impatto sociale) non come un ossimoro, ma come un dover essere.  

Però dobbiamo essere ottimisti e regolatori nell’applicazione del civismo. Infatti i dati, non le chiacchiere, ci dicono che le imprese italiane hanno scelto di investire sulla transizione ecologiche e digitale insieme. Questo concetto assolutamente indispensabile migliora le condizioni economiche, aumenta la produttività, la competitività e dunque anche i profitti. ll 73% delle imprese italiane ha investito sulla sostenibilità e continua a farlo. 

Ritorna nuovamente il richiamo della sostenibilità del Rapporto Brundtland, ove il mantra definitorio ed operativo era: “uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri”.  

Non ci potrà essere un futuro sostenibile senza un circuito virtuoso di integrazione fra valori come la partecipazione e la democrazia, l’equità di salute, l’uguaglianza sociale, la parità di genere, l’inclusione ed altri elementi che offrono un quadro produttorio di ruoli e azioni positive. 

Essi danno un risultato positivo nell’ambiente, nel sociale e nella partecipazione della governance.