IL CODICE SALVINI

Può esistere una voce di “sinistra” che non reagisce in modo pavloviano ed ha una sua idea di responsabilità ed efficienza che si smarca dal coro anti Salvini sul codice appalti, senza dover andar dietro a gente che si impanca a difensore della legalità, magari in nome di Falcone e Borsellino ridotti a prezzemolo per tentare di insaporire le panzane di chi non ha mai nemmeno gestito il bilancio di una latteria ma pretende di aver “reso possibile la cattura di Matteo Messina Denaro portando la legalità nell’amministrazione“ ( Chiara Appendino dixit) ?

La risposta è sì. Basta essere sindaci o amministratori locali come Matteo Ricci o Antonio Decaro, che seppure un po’ a mezza bocca hanno detto la loro, o anche come Sala, Gori e le migliaia di altri amministratori locali che ogni mattina, come diciamo a Milano, “tiran su la cler” dove il voto dei loro cittadini li ha messi – e non la scelta di oligarchie partitiche che da anni non riescono a fare in politica una O col bicchiere – ma non hanno voglia, tempo o magari coraggio di smarcarsi da chi dirige il coro e il flusso di dichiarazioni che da troppo tempo ha sostituito il dibattito in organismi di partito ormai sfibrati o in aule parlamentari sempre più sorde e grigie, sempre più occupate da manipoli di Donzelli e Rampelli.

Chi ha avuto a che fare con l’assurdità delle leggi Madia o con il codice appalti Delrio ha vissuto e vive sulla propria pelle una frustrazione peggiore di quella di Pietro Nenni, quando dopo cinquanta anni di lotte entrò nella “stanza dei bottoni” senza trovarne alcuno : nei tempi dei rendering, gli amministratori si trovano davanti dei magnifici “cruscotti” virtuali, in grado di predisporre nei minimi dettagli pensieri, parole ed opere di amministratori integerrimi e imprese virtuosissime, che probabilmente operano in un Metaverso sconosciuto a chi deve affrontare una realtà ordinaria che dice che in qualsiasi contesto pubblico un euro stanziato oggi genera il primo colpo di piccone o fornitura di primo servizio come minimo 36 mesi dopo, che tu sia SuperMario Draghi o Underdog Giorgia.

La verità è che per quel che si sa oggi, senza avere ancora il testo definito, il “codice Salvini”- a parte la denominazione ridicola e l’inguardabile moltiplicazione dei subappalti – è tutt’altro che privo di logica e ci avvicina e non ci allontana dalla prassi europea: la retorica del fatto che noi siamo più bravi nell’antimafia e nell’anticorruzione perchè abbiamo la Mafia e Tangentopoli è una delle cause del nostro declino come Amministrazione pubblica.

La logica sbilanciata su controlli preventivi stile Minority Report è il contrario di quella basata sulla responsabilità civile e democratica : se la magistratura tornasse prioritariamente ai compiti di repressione e non a quelli di prevenzione e si levasse di torno dal legislativo stando nel suo giudiziario, come quando invoca giustamente l’indipendenza dei giudici, il sistema democratico avrebbe una chance di uscire dal pantano nel quale si è infilato con la cosiddetta Seconda Repubblica .

Vero è che è proprio il sistema legislativo che non è più in grado di funzionare, schiacciato fra l’invadenza dell’esecutivo, che di fatto con il sistema dei decreti ha sostituito il dibattito parlamentare, e del giudiziario, con i presidenti delle varie magistrature ed autorità che commentano le intenzioni politiche del Governo di turno invece di dare il proprio contributo al Parlamento durante l’iter di formazione di una legge in audizioni pubbliche ( anche perché sempre più raramente chiamati a questo fondamentale compito) e soprattutto con la preoccupazione prioritaria di presidiare tutte le funzioni chiave con capi di gabinetto, direttori di funzione e autorithy con magistrati “fuori ruolo” ed in pensione.

Dimentichi dell’aforisma di Cicerone “Summum Ius, summa iniuria”, lo slancio pangiudiziario ha portato a oltre tre miliardi di norme (record mondiale assoluto) per di più scritte in un “latinorum” crittografato fra rimandi ad art x bis comma y modificato il giorno del poi ed il mese del mai, che ha messo una classe politica sempre meno preparata perché scelta accuratamente sulla base di curriculum dove “esperienza politica? orrore”, nelle mani dei segretari generali e degli “uomini chiamati cavilli” benedetti dal magistrato in pensione acquartierato in uno dei mille comitati antiqualsiasicosa che ormai pullulano in tutte le amministrazioni pubbliche e parapubbliche.

Non pretendo che la sinistra ritorni alle valutazioni del tempo degli avvocati riformisti Gonzales e Greppi sulla apolicità della magistratura che si traduceva regolarmente con la contiguità con il potere di qualsiasi colore, ma almeno che si seguisse il consiglio di Bernard de Maudeville nel suo bellissimo “La favola delle api” : “I ministri competenti, virtuosi,disinteressati sono i migliori. Nell’attesa, ci vorrebbero dei ministri”..


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