di Dalisca
Si dice che l’arte e la bellezza salveranno il mondo.
Ma sarà così?
Non sempre l’arte è sinonimo di bellezza infatti molte opere non risultano belle da un punto di vista puramente estetico, ma assumono importanza e notorietà per il loro contenuto etico e morale.
Ad esempio, “L’urlo” di Munch come si fa a definirlo bello?
Un ominide con la bocca spalancata in atto di gridare per aver percepito la catastrofe in fieri che stava per interessare il mondo intero; la sua disperazione era profonda ed inconscia perché, non essendo lui stesso un aruspice e non sapendo decodificare gli indizi per l’interpretazione dei prodigi, non riusciva a trovare il modo per salvaguardare i suoi simili.
Non mancano altri esempi nelle opere dei grandi maestri della pittura quali Turner, Francesco Salviati, Johann Heinrich Füssli, Pieter Bruegel questi solo per citarne alcuni. Il grande Umberto Eco si era particolarmente interessato a questo argomento tanto da dedicargli un volume in antitesi a quello dedicato alla bellezza e cioè “Storia della bruttezza” con illustrazioni spesso nauseabonde terribili e terrificanti ma tanto belle che un editore nel consultare il libro esclamò: ‘Com’è bella la bruttezza!’ Forse non è il caso di demonizzare tutto ciò che a noi sembra brutto anche perché non dimentichiamo che un’opera d’arte, che sia realmente tale, deve necessariamente precorrere i tempi nella buona e nella cattiva sorte, senza menzogne né compromessi da parte di coloro, al di là del sesso, che si accingono a lasciarsi andare al proprio istinto per tirar fuori (Arte della maieutica) quella parte di inconscio chi si rivela e si tramuta in immagini nel momento in cui la realtà si sposa con l’imminente futuro in un corto circuito di sensazioni che poi si riveleranno veritiere.
Dobbiamo convenire che tutto è estremamente personale; infatti, si dice spesso: non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace. Quindi, come potremmo definire il brutto o il bello senza conoscere il livello culturale e soprattutto la realtà di vita di un popolo? Le tribù dell’Amazzonia definiscono bello quello che ha la bocca larga i capelli neri e stizzati e le pupille dilatate forse a causa delle droghe presenti nelle loro piante, così come un etiope trova più avvenente il più nero di tutto il villaggio. Per noi occidentali ed in particolare per noi italiani, il paragone non regge perché abbiamo assimilato altri indizi per giudicare il bello e il brutto.
Il nostro gusto, nel campo artistico, si è affinato grazie ad immagini di bellezza straordinaria; citiamo ad esempio il Botticelli con le sue “Grazie” con la sua “Venere” che nasce dalle acque, bellezze queste estreme oserei definirle mentali come mentali o quantomeno letterarie erano le rappresentazioni quattrocentesche.
Come non restare scioccati ed inebriati di fronte a simili opere?
Il discorso è molto ampio. Nietzsche affermava nel “Crepuscolo degli idoli”: nel bello l’uomo pone se stesso come norma della percezione e si adora in esso… Infatti, l’uomo si rivede nelle cose e ritiene bello tutto ciò che rimanda alla sua immagine.
In fondo tutto viene filtrato secondo propria coscienza ed esperienza per cui il bello può divenire brutto, se la sensazione che si riceve al cospetto di un’opera risveglia un inconscio relativo ad esperienze negative, cosicché anche un’opera come “Guernica” di Picasso ritenuta da tutti importante e bella, vista con lo sguardo di colui che ha vissuto sulla propria pelle una guerra, diventa brutta.
Così come il brutto – se filtrato attraverso la coscienza di una persona atea o di altra religione, la quale pertanto non resta toccata da immagini terribili e terrificanti riferite all’inferno che si possono osservare sulle chiese medievali, grazie al suo giudizio che si ferma alla parte puramente estetica – diventa bello.
Navigare tra bello e brutto richiede prudenza. Le nostre esperienze più profonde, trasmesse geneticamente dai nostri antenati, influenzano il nostro giudizio estetico. Ci appartengono, anche se non ne siamo pienamente consapevoli.
A chiusura, mi piace citare il grande Bardo che, nel primo atto del “Macbeth”, fa gridare alle streghe: “Fair is foul, and foul is fair” – il bello è brutto e il brutto è bello!












