Giorgio Fiorentini
Il “panteismo sociale” ha coinvolto anche le armi ed il “socialwashing” fa capolino.
Le grandi banche e società finanziarie europee continuano a investire in aziende che forniscono armi a Israele, all’Ucraina ed agli altri Paesi belligeranti (56 conflitti armati e 156.000 morti senza contare i migliaia a Gaza, in Libano ed in Ucraina). Tutto questo nonostante l’evidenza di come queste armi siano usate “per offesa” e nonostante i dubbi sul rispetto di convenzioni internazionali e le accuse di genocidio continuativo. E malgrado il fatto che la vendita di armi venga effettuata a vantaggio di un esercito occupante, cosa esplicitamente proibita da ben due accordi internazionali: The Arms Trade Treaty (ATT) delle Nazioni Unite del 2014 e The Eu Common Position on Arms Export Control del 2008.
Tra le banche che investono “ad libitum”, (sembra anche Unicredit e Intesa Sanpaolo) si sgomita per essere in prima fila a fornire finanziamenti, come aiuti di Stato a governi di ogni colore, che, in seguito, si traducono in armi. E tra le aziende produttrici di armi anche l’italianissima Leonardo Spa. Tutto questo sembra scandaloso, ma rientra nel clima del “The business of business is business” (Milton Friedman-2008) e del “pecunia non olet” (Vespasiano-9-79)
I fondi hanno acquistato azioni di grandi produttori di armi come Northrop Grumman, Raytheon, Lockheed Martin ed altri che hanno sfruttato l’Intelligenza artificiale per inventare e produrre nuove armi.
Hanno acquistato anche titoli di imprese specializzate in intelligenza artificiale che l’hanno applicata alle armi come UiPath, Palo Alto Networks ecc.
Queste imprese sono partecipate dai tre più grandi fondi mondiali: Vanguard, BlackRock e State Street.
E fin qui “nulla questio” se non la responsabilità etico morale di chi acquista fondi pur sapendo che sono investimenti di morte.
Ma invece il paradosso è che negli ultimi anni, i fondi, che investono nel settore delle armi oltre ad aver registrato performance significative, influenzate da vari fattori si sono ammantate di “responsabilità sociale “vendendo fondi ESG dove nell’S ci stavano le armi (di difesa?) e armi di cybersecurity bellica.
Ricordo che l’acronimo ESG (Environmental, Social, and Governance) riveste un ruolo fondamentale nel mondo degli investimenti e delle attività aziendali: rappresenta un approccio integrato che mira a valutare la performance di un’organizzazione non solo in termini di redditività finanziaria equilibrata e integrata con le azioni e politiche in materia di ambiente, società e gestione interna.
Un’analisi di Morningstar Direct per il Financial Times ha evidenziato che, nel primo trimestre del 2022, i principali fondi ESG in Europa e nel Regno Unito avevano un’esposizione di 3,2 miliardi di euro verso aziende produttrici di armi. A distanza di due anni e mezzo, questo valore è più che raddoppiato, raggiungendo i 7,7 miliardi di euro.
Rendimenti degli ETF nel settore della difesa: Il VanEck Defense UCITS ETF, che replica l’indice MarketVector Global Defense Industry, offre esposizione a società internazionali operanti nell’industria militare o della difesa. Questo fondo ETF ha attirato l’attenzione degli investitori interessati al settore.
Sembra che tutto è “andato sugli scudi” della finanza con la guerra in Ucraina e, di conseguenza, con l’incremento della produzione di armi aerospaziali e di armamenti in generale. Un caso esemplare è l’azienda tedesca Rheinmetall che è stata destinataria di ingenti investimenti ESG con azioni che sono schizzate alle stelle. In sintesi andiamo dove c’è il massimo profitto indipendentemente dai risvolti sociali e ambientali.
Infatti una notizia che fino ad ora è sempre stata sottotraccia è la crescita di investimenti in titoli sostenibili ESG che pur valutando l’impatto dei loro investimenti su ambiente (environment), settore sociale (social) e gestione aziendale (governance) hanno considerato le armi come valore sociale e quindi “omnia munda mundis”.
Penso che Gino Strada con Emergency si rivolti nella tomba ripensando alle campagne contro le mine antiuomo della Valsella del 1994.Questa campagna portò l’Italia a mettere al bando le mine antiuomo.
Ormai i boicottaggi e le proteste studentesche contro le fabbriche d’armi sono un ricordo o quantomeno, in un clima di informazione manipolata, si è sviluppata la tesi che le armi hanno un valore sociale positivo .
I fondi non investono in aziende che producono armi definite “controverse” come bombe a grappolo o mine. Gli stessi governi hanno chiesto di finanziare il settore della difesa considerando l’attacco della Russia ed il cambiamento di scenario.
Il panorama degli investitori non è compatto e per la verità la finanza sostenibile ed ESG di finanza responsabile sono contro. In Italia, per esempio, il Gruppo Banca Etica, sgr,Il Forum per la Finanza Sostenibile. Delle altre banche ed sgr non si sa.
Si direbbe, in gergo nazional popolare, “non c’è più religione” se anche le armi sono sociali.
Ma anche questo è un tema variegato.
Nella Chiesa il dibattito è aperto e l’inquinamento delle “fake news” non aiuta.
Papa Francesco “ritiene che il conflitto faccia parte della nostra vita e non possa essere ignorato” (cfr. Fratelli Tutti, FT 237-240), ma certamente la pace non può essere costruita sulla base di un equilibrio di forze e di minacce.
La questione delle armi e della legittima difesa si concretizza nel diritto e dovere di avere le armi necessarie a garantire la propria autodifesa e Benedetto XVI parla del “principio della sufficienza” cioè dobbiamo avere solo le armi necessarie per garantire la nostra sicurezza. Anche nella Chiesa le sfumature si nebulizzano.
Una cosa è certa: la S-Social dell’ESG (fino ad ora garante della sostenibilità) si potrebbe trasformare in un “effetto leva” per i profitti derivanti dalle armi e per la finanza opportunistica. Con buona pace dei principi ESG e del “socialwashing”.