di Andrea Attilio Grilli
Il 9 maggio 2025 a Kiev si è consumata la disastrosa politica estera del governo Meloni. Eppure, era proprio in politica estera che il governo di centro destra si stava salvando, dopo due anni di gestione della politica interna insapore e incolore.
Nel 2022 quando la Russia aveva invaso l’Ucraina il governo Draghi a trazione centro sinistra aveva cambiato la geometria strategica italiana, da una parte cambiando il mix di fornitori delle fonti energetiche, dall’altra aderendo a un fronte unito UE e USA per contrastare l’invasione russa. All’epoca l’Italia aveva giocato di squadra come membro dell’Unione Europea, ma anche come membro della NATO e nello stesso tempo aveva determinato una propria autonomia operativa grazie al canale privilegiato che fin dalla prima repubblica era stato costruito con i sovietici (ora russi).
La determinazione della posizione italiana si era combinata con quella europea e statunitense riuscendo a sorprendere anche i russi che invece erano discretamente convinti che la dipendenza dalle fonti energetiche russe e la solita “debolezza delle democrazie occidentali[1]” avrebbe favorito la loro espansione. L’Italia inoltre aveva cercato di mettere in gioco le sue storiche relazioni con la Russia nella sua veste di URSS per cercare di fermare l’invasione. Il piano di Draghi, come molti sanno, fu fermato proprio dai russi il 22 febbraio 2022 quando hanno attaccato l’Ucraina. Il piano è ancora nel cassetto della Farnesina e dell’ONU.
Cambio di governo
La vittoria elettorale del governo del centro destra aveva fatto ipotizzare un cambio radicale della politica estera con un avvicinamento alla Russia viste le antiche simpatie berlusconiane e lo schieramento putiniano della Lega. Senza dimenticare l’antieuropeismo storico di Fratelli d’Italia che poteva spostare l’orbita dell’Italia verso posizioni “exit” o simili.
In realtà il governo italiano guidato dal presidente del consiglio Meloni ha preferito aprire un dialogo con l’Europa, sostenere la von der Leyen e confermare l’appoggio all’Ucraina. Verso gli Stati Uniti ha cercato di mantenere un rapporto costruttivo, filostatunitense quindi connesso fortemente alla NATO. Anche se fin dall’inizio l’Italia ha cercato di non associare la propria postura estera con altre posizioni, più intransigenti e molto distanti dalla Russia, come la Francia, avversario tradizionale delle posizioni della destra italiana. Anche la Gran Bretagna non ha riscosso gli entusiasmi italici, dopo la vittoria dei laburisti, ma soprattutto la coerente e intransigente posizione contro la Russia di Putin.
Eppure, in generale la politica estera del governo Meloni è stato decisamente migliore della gestione della politica interna. Una delle ipotesi è l’aver rispettato nei principi generali l’approccio Draghi. Il governo ha proseguito a costruire rapporti con gli stati del Mediterraneo per avere forniture diversificate sull’energia; ha confermato il nostro supporto ai curdi e al governo iracheno. Ha lanciato o brandizzato le attività italiane in Africa sotto il cappello del Piano Mattei. Piano dove è espressamente menzionata l’Unione Europea come partner strategico per lo sviluppo delle varie azioni di sviluppo.
Cambio dell’Imperatore
Ma con la vittoria elettorale di Donald Trump, il governo Meloni non riesce più a trovare una posizione di sintesi tra gli USA e l’Europa.
Gli elementi disturbanti come la Lega impediscono di fare scelte più realistiche e utili per il Paese. Senza dimenticare lo stesso problema presente nelle opposizioni con il Movimento 5 Stelle. Di fronte allo smarcamento statunitense verso l’Europa e la generale disattenzione verso l’Ucraina, vista più come oggetto di scambio per rompere l’alleanza tra Cine e Russia, il governo italiano decide di coltivare una falsa strada, quella di un rapporto speciale con il presidente statunitense. Illusione che maturerà con la visita del presidente del consiglio nel mese di aprile.
Nel frattempo, si crea la coalizione dei volenterosi, un gruppo di stati disposti a sostenere l’Ucraina, anche se gli USA dovessero abbandonarla. Promossa dal primo ministro Starmer e dalla Francia, ha visto unirsi anche la Germania, la Polonia e altre istituzioni come la UE, la NATO, sempre più europeizzata. L’Italia interpreta questa alleanza come antiamericana e nel rischio di rompere il rapporto considerato storico, non ne entra, ma anzi sottolinea come abbiamo visto un presunto rapporto speciale con il presidente Trump.
Dopo due anni di una gestione della politica estera che in qualche modo aveva tenuto la rotta, anzi una rotta decisamente positiva, il governo ha perso una occasione fondamentale per affermarsi come leader europeo. Il tavolo condiviso con Francia, Germania e Gran Bretagna avrebbe permesso di portare sul tavolo temi cari all’Italia, negoziare eventuali vantaggi per la penisola e affermare una leadership europea condivisa con pochi.
In sintesi, costruire un governo speciale dell’Europa. L’Italia, come nel governo Draghi, sarebbe stata leader. Anzi forse più di Draghi.
Il 9 maggio però la Polonia si è potuta unire al tavolo dei tre leader europei e segnare un punto a favore, mentre l’Italia rimaneva e rimane senza una posizione. È dentro o fuori la strategia europea?
La ricerca scientifica
Dopo aver perso il treno dei volenterosi, e nel senso vero della parola, vista la foto dei leader in un vagone di un treno in stile inizio Novecento, l’Italia si oppone anche al piano per catturare i ricercatori americani che, ormai abbandonati dal governo federale, probabilmente sono in cerca di nuovi finanziatori.
Prima la Francia con un evento presso una sede iconica della ricerca, come la Sorbona, poi la stessa Unione Europea, lanciano un piano di per intercettare la ricerca scientifica statunitense.
Il piano europeo prevede per il periodo 2025-2027 un investimento di 500 milioni di euro.
Gli investimenti in Europea in ricerca scientifica sono molto vari, l’Italia ha un mediocre 1,3%, mentre la Francia il 2,3% e la Germania il 3,1%. Mediamente l’Europa spende il 2,2%. Sono dati del 2022 dell’OCSE, ma sono significativi di un forte ritardo prima ancora che economico, culturale.
Anche in questo progetto preferiamo isolarci e perdere il treno. L’Italia anzi si lamenta di essere stata esclusa. Ma in realtà siamo noi a perdere occasioni e posizioni. Forse non siamo isolati, ma non siamo neanche dove dovremmo essere.
L’Italia è scesa al 30° posto nel Global Innosystem Index 2025[2]. Anche se forti nell’export e in alcuni settori siamo eccellenza, di fatto è la mancanza di una cultura della ricerca e un ecosistema innovativo che rende il paese Italia in ritardo. Se investissimo in R&S potremmo in 20 anni far salire il PIL del 15%.
Conclusioni
L’Italia paga forti ritardi e occasioni perse a causa di alcuni fattori politici interni e culturali che non consentono di costruire una dimensione geopolitica proporzionata e adeguata al proprio peso internazionale, soprattutto per quanto riguarda quello economico.
Entrambi gli schieramenti, governo e opposizione, pagano la presenza di partiti compromessi con autoritarismi come la Russia; in altri casi soffrono di eccesso di incoerenza tra i programmi elettorali e le posizioni assunte quando cambiano ruolo (opposizione che diventa governo e viceversa).
Inoltre, una certa tradizione culturale del non “inimicarsi” i vicini tende a rallentare se non a escludere posizioni aggressive o risolute anche nello schieramento “sovranista” dove invece ci si sarebbe aspettato proprio un atteggiamento simile.
In sintesi, paghiamo una generale incapacità di accettare il ruolo e i sacrifici connessi al ruolo. In questo contesto però proprio la posizione assunta da Draghi aveva garantito di avere una propria autonomia, anche se populisti e sovranisti non lo avevano capito, mentre oggi sembriamo più i portaborse degli USA.
Intanto la Polonia entra nel club dei leader europei.
[1] Dai primi anni duemila con l’attacco alle torri gemelle, le organizzazioni terroristiche e alcuni stati autoritari hanno sempre interpretato lo stile di vita occidentale come segno di debolezza. Il tema viene ripetuto anche in diversi discorsi di Putin e degli analisti russi.
[2] https://www.innovationpost.it/attualita/ricerca-e-innovazione/litalia-scende-in-classifica-solo-30ma-per-capacita-di-innovazione/
Commenti
2 risposte a “DOVE STA ANDANDO L’ITALIA?”
Chiarissimo, sono d’accordo su tutto,bravissimo!!!!!!
Molto chiaro e molto convincente. Bravo