DIAMANTI

di Dalisca

Un diamante è per sempre”.

Così declama una pubblicità di tal gioielli, quelli belli che si usano per siglare un amore che si ritiene poter essere eterno.

Il film “Diamanti” di Ferzan Ozpetek, uscito nelle sale cinematografiche da qualche tempo, non si riferisce proprio a questo tipo di diamanti, ma l’accostamento, del tutto voluto, fa comprendere la preziosità di valori che ogni donna custodisce in sé che va al di là del valore materiale di qualsiasi gioiello.

Il contenuto del film travalica il solito racconto perché, questa volta, il regista cerca di trasmetterci non i fatti bensì i sentimenti che hanno ispirato il suo desiderio di gettare un ponte tra le sue sensazioni e lo spettatore toccando le note più significative del suo cuore. Bisogna essere convinti di quel che si sente, fare proprie le idee e crederci profondamente per poter trasmigrare l’immateriale nel materiale e cioè rendere umano e percepibile, ma soprattutto visibile, ciò che visibile non è.

In un mondo fatto di immagini voluttuarie e ingannevoli quale quello del cinema, non sempre assistiamo a pellicole che ci toccano nel profondo facendoci riflettere su quel che siamo e forse potremmo essere.

Il film si svolge in massima parte in una sartoria per abiti di scena realizzati con cura sotto l’occhio vigile di una direttrice  intransigente interpretata dalla brava Luisa Ranieri che, dietro un’apparenza severa, nasconde un animo gentile e generoso. Le sarte che vi fanno parte sono donne interessate al loro lavoro ed ognuna convive con i suoi problemi che condivide con le sue colleghe amiche. Ciò  fa sì che si crea tra di loro una solidarietà femminile e umana tanto che il problema  di una diventa il problema di tutte.

Questo in breve il racconto; ma  il fine è evidenziare la grande forza che si genera tra le donne, le quali, se unite in un intento comune, riescono a superare gli ostacoli e a prendere atto delle loro capacità. A questo proposito una di loro (Lunetta Savino) dirà: noi siamo niente, ma insieme siamo  tutto. Così di volta in volta si sciorinano le varie fasi del racconto mostrando quanto le donne, oggi così maltrattate, siano in grado di portare sulle loro spalle il peso del mondo, il loro tentativo di risolvere i problemi non sempre le vede vincitrici, ma l’importante  è essere sempre presenti a se stesse per meglio comprendere e aiutare le altre. Le attrici che vengono chiamate a recitare o, meglio, in questo caso, a spogliarsi del ruolo per mostrarsi per quel che sono con le loro debolezze e umane passioni sorprendono lo spettatore che riesce ad apprezzarle non come attrici bensì come persone senza il filtro della macchina da presa.

Tutte brave. Ma soprattutto bravo il regista che ha saputo, con il suo fare dolce e suadente, trarre da ognuna la persona che si nasconde dietro ogni personaggio interpretato. Brava, come più volte sottolineato Luisa Ranieri con la sua indole ferma e coerente, insieme a Mara Venier che siamo abituati a vedere generalmente come “la zia degli italiani” che si è spogliata completamente  del ruolo di conduttrice per essere semplicemente colei che si è assunto il compito di nutrire con amorevolezza le sue compagne di viaggio.

Non me ne vogliano le altre alle quali  va  il giusto riconoscimento e gratitudine per il loro impegno in un compito certamente non facile e cioè mostrare se stesse. Alla fine una nota molto personale ed assolutamente condivisibile rende omaggio alla madre. A quella di tutte, ma in particolare, a quella del regista che con dolcezza e devozione la fa apparire  nella sua  beltà di donna interpretata senza forzatura e con grande sentimento dalla nota attrice Elena Sofia Ricci. Essa si rivolge al figlio riconoscendogli i suoi meriti i suoi suggerimenti con frasi toccanti con le quali ci svela quali siano davvero i diamanti: quel che resta alla fine quando tutto intorno finisce.

Il film è dedicato a tre attrici importanti: Virna Lisi, Mariangela Melato e Monica Vitti. Tre attrici con cui il regista avrebbe volentieri lavorato!