CLIMATE CHANGE: ECCO PERCHÉ NON SALVEREMO IL NOSTRO DOMANI

GAIA BERTOTTI DEL COLLETTIVO MELAINSANA

New York nella nube arancione, alluvioni e frane, piogge incessanti e siccità, cicloni e tornado, esondazione di fiumi e incendi: queste sono le parole che sono giunte all’attenzione mediatica nell’ultimo mese. Il cambiamento climatico, o climate change, è l’irreversibile conseguenza del massiccio inquinamento provocato dall’essere umano nel corso degli anni. L’alluvione dell’Emilia-Romagna è un concreto esempio di risposta geologica alle nostre cattive azioni.

Scandita in due significativi momenti nel mese di maggio, l’alluvione che ha tragicamente colpito l’Emilia-Romagna e la parte settentrionale delle Marche conta 17 morti e (decine di) migliaia di sfollati. Fin da subito si è parlato di maltempo, ma la questione è ben più grave: il suo nome è climate change, e i rischi che ne conseguono vengono comunemente sottovalutati.

Nel giorno del suo diciottesimo compleanno Greta Thumberg, intervistata dal Sunday Times, si chiede: “Perché credete nella scienza quando si tratta di salute, e non quando si tratta di clima?”. Con questa domanda provocatoria Thumberg mira a mettere in luce la scarsa percezione del problema ecologico. A cosa è dovuta la disattenzione a tale tema? Perché fatichiamo a pensare in termini di futuro il climate change? Perché non agiamo oggi per salvare il domani?

La nostra idea del climate change deriva, molto spesso, da un bias cognitivo. Con questo termine si fa riferimento a una distorsione della realtà di cui il cervello umano si serve per favorire la rapidità decisionale. I bias sono processi di pensiero automatici, sviluppati nel corso dell’evoluzione, che però possono portare a risvolti negativi. Se da un lato le scorciatoie mentali risultano molto utili, dall’altro i quotidiani errori di valutazione che possono essere prodotti non vanno sottovalutati.

Detto altrimenti, i bias cognitivi facilitano opinioni preconcette, sono capaci di influenzare il modo in cui una persona inconsapevolmente interpreta eventi o informazioni, e derivano da fattori come l’educazione, l’esperienza personale, l’ambiente sociale, i pregiudizi culturali o i contenuti mediatici.

Siamo consapevoli dell’esistenza del cambiamento climatico causato dalle emissioni di gas serra e sappiamo che è urgente modificare il nostro stile di vita, eppure continuiamo a inquinare come se così non fosse. Il climate change è già in corso e porterà alla fine della specie umana, o perlomeno a significativi danni per i sistemi naturali e per le società umane, eppure viviamo ogni giorno con indifferenza e calma. Questa apatia è data dalla percezione distorta per cui il presente è più rilevante rispetto al futuro. In altre parole, a causa del cosiddetto bias del futuro prossimo la minaccia immediata spaventa, quella lontana meno.

Il “bias del futuro prossimo” comporta una particolare fatica nell’assunzione di responsabilità personali circa il futuro. Perché agire in un determinato modo oggi in funzione di un domani che non è garantito? Il futuro appare come qualcosa di lontano da noi, come qualcosa che non rientra sotto la nostra stretta responsabilità. Il fatto è che quel futuro non è così lontano: i disastri climatici sono già iniziati (l’alluvione in Emilia-Romagna lo testimonia).

Se i bias cognitivi sono nella nostra eredità genetica e se questi portano alla cecità di fronte al climate change, allora siamo programmati per estinguerci? Per ridurre il nostro nocivo impatto ambientale, occorre innanzitutto prendere coscienza del modo in cui il cervello ordina la realtà, così da elaborare strategie capaci di rendere la crisi ecologica una questione personale e attuale. Così facendo si possono arginare gli effetti del bias del futuro prossimo.

Minimizzare o sottovalutare i fatti non è la giusta soluzione al cambiamento climatico: è necessario intervenire a livello sia globale che individuale. Come scrive Telmo Pievani nel libro La terra dopo di noi, il cambiamento climatico è un evento probabilistico, una sfida cognitiva ed etica, ma soprattutto è una crisi d’immaginazione.


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