Alla signora Boccia, ancor meglio alla imprenditrice Boccia, si addice una citazione letteraria (ovviamente di Oscar Wilde) : “esiste solo una cosa peggiore di fare parlare di sé : non fare parlare di sé”.
Confesso di vergognarmi a spettegolare ancora di loro.
Ma alla fine di ogni “scandalo” sento sempre il bisogno di risarcire chi è uscito peggio.
E il bilancio -per ora-mi pare evidentissimo ed inequivocabile.
La coppia era già improbabile, male assortita fisicamente: lei statuaria, aiutata nel sorridere da una bocca a forte dentatura. Lui un elfo, impalato più che serioso, sommerso dalla invadenza di lei.
Certamente il programma del suo dicastero non era finanziare spettacoli boccacceschi, non organizzare cerimonie olimpiche alla francese ma essere l’orgoglio della ministra Roccella.
Come in tutti i casi analoghi, la gravità dei fatti -al momento- dipende da aspetti formali e speculazioni politiche.
La politica sempre approssimativa, relativista e perdonista con se stessa, e’ implacabile con le disgrazie altrui.
Tre le vere sfortune che hanno costretto Sangiuliano alle dimissioni : la prima è la imminente riunione dei ministri della cultura del G7 di cui abbiamo la presidenza semestrale.
Siccome le vicende di cui stiamo parlando hanno fatto il giro del mondo, c’è da immaginare la curiosità degli invitati, attenti a non scherzare per evitare di fare gaffe e di mettere in moto -involontariamente- doppi sensi.
La seconda sfortuna riguarda la sciagurata intervista al TG1. Non si è mai visto niente di più umiliante per il ministro e per la Rai. Una gogna in mondovisione, un interrogatorio da parte del direttore della testata che doveva produrre e ha prodotto la confessione “catartica” con tanto di lacrime in diretta.
In quel momento, sotto tortura, il ministro sarebbe stato pronto a confessare di avere rubato un Caravaggio.
L’ultima sfortuna è avere accettato il mandato di portare alla vittoria la “nuova egemonia culturale” in sostituzione di quella della sinistra o, come si dice adesso, quella della élite.
Come si fa’? Molto semplice, basta fare il contrario di quanto fatto dai predecessori.
Ma bisogna avere una nuova leva di divulgatori, artisti, critici che sappiano difendere e diffondere la cultura conservatrice e identitaria.
Non dovrebbe essere difficile in un Paese che vive di nostalgia e di passato, che conosce un preoccupante fenomeno di analfabetismo di ritorno, con un deficit spaventoso di cultura scientifica e tecnologica e che confonde l’identità con il folclore.
In realtà quella forma di cultura, quella degli intellettuali “organici” non esiste più da tempo, da quando è impossibile essere coerenti e funzionali a dei partiti senza progetto, senza un ideale, sempre più legati alla stretta attualità e sopravvivenza.
L’ultima versione di quella “casta” di tuttologi somigliò infatti molto ad una burocrazia di partito a caccia di un incarico o di una intervista televisiva.
Sarà meglio che tutti insieme ci mettiamo a studiare come evitare che l’egemonia culturale finisca nelle mani della intelligenza artificiale, dove quello che fa paura sembra essere non la parola artificiale ma la parola intelligenza.
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