Il povero Cesar Franck inizia in Belgio la sua carriera musicale come vittima del padre Nicholas. E’ bravissimo al pianoforte e al conservatorio di Liegi vince premi su premi. Papà, che ha da sempre l’intenzione di sfruttare il suo talento di bambino prodigio, quando compie 13 anni gli organizza una serie di concerti che vanno molto bene.
Lo stesso anno, la famiglia trasloca in Francia e Cesar entra al conservatorio di Parigi come allievo di Reicha. Di nuovo acchiappa il primo premio di pianoforte.
Sempre più coinvolto nel piano di impresario-sfruttatore, il padre lo ritira dal conservatorio, cosa che gli impedisce di partecipare al Prix de Rome, chimera di tutti gli studenti di musica dell’epoca.
E’ un periodo non molto felice per Franck: scarse soddisfazioni professionali e peggioramento progressivo del rapporto, già cattivo, con il padre. Il colpo definitivo alla situazione lo dà il suo matrimonio con una attrice per niente gradita in famiglia, che si celebra nella chiesa della Madonna di Loreto, in cui è organista.
Tutta questa pressione fornisce a Cesar l’occasione e forse la forza che non aveva trovato prima, per rompere definitivamente con il padre e liberarsi della sua asfissiante tutela. Ma non gli toglie l’energia per continuare, intensificandola, la sua attività di compositore.
Diventa organista di Santa Clotilde e Valeria, dove inaugura il 1º dicembre 1859 uno dei più begli strumenti di tutta la Francia; e per un solista che non può andare in giro con lo strumento personale sotto il braccio ma deve accontentarsi di quello che trova sul posto, suonare il migliore organo in circolazione dev’essere una bella soddisfazione.
Ne rimarrà titolare fino alla morte.
Nel 1871 è nominato professore al conservatorio di Parigi dove, insegnante di grande livello, forma un buon numero di allievi che poi diventeranno famosi. Per ottenere questo posto, deve rinunciare alla cittadinanza belga e diventare francese, cosa che, crediamo, non gli dispiace affatto, anzi gli consente di allungare un bello schiaffone simbolico alla memoria del padre oppressore.
Era famoso per le mani straordinariamente grandi che gli permettevano di coprire ben dodici tasti bianchi sulla tastiera, più di un’ottava e mezza. Di lui dicevano che “con la beata tendenza a dimenticare che non tutti i musicisti hanno mani enormi come le sue, riempie la parte del pianoforte di accordi di decima maggiore e gli esecutori normali devono smembrarli per poterli suonare.”
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