POVERO RE, E POVERO ANCHE IL CAVALLO

Come cambia il mercato del lavoro

Poveri lavoratori e poveri responsabili delle risorse umane

I Lavoratori diventano sempre meno ricchi e i “poveri” responsabili delle risorse umane delle aziende sono sempre più disperati perchè non trovano lavoratori, e quelli che hanno se ne vogliono andare a cercare ingaggi e contatti migliori.

Al povero re imprenditore non resta che prendere atto che il povero cavallo si è stufato, del born out, dell’inflazione, del mutuo e dello stress da performance e obiettivi. Per non parlare dei giovani, che chiedono lo smart working e il welfare aziendale, servizi che solo le grandi aziende possono offrire.

E non basta, sul nostro sistema economico e sociale si sta abbattendo con la puntualità svizzera della profezia che si auto avvera la più insidiosa di tutte le transizioni, quella demografica, quasi a comporre una tempesta quasi perfetta, a meno che arrivino gli immigrati a salvarci con l’opportuna iniezione di risorse fresche, i giovani che da noi sono merce sempre più rara.

Che siano tempi difficili lo sapevamo: speravamo in un mondo migliore post pandemico, invece siamo sempre alle prese con i soliti e ben noti problemi, che nel frattempo sono diventati più pressanti e più complessi. La novità è che però nel frattempo i rapporti di forza, almeno per come vengono rappresentati, stiano cambiando. Del resto lo stipendio mediano in Italia è di 1250 euro e non sale da trent’anni, l’affitto medio aumenta e l’inflazione si abbatte sul potere di acquisto dei lavoratori come una mannaia. Il problema non è più solo la povertà ma anche la disuguaglianza, annoso problema del mondo globalizzato in cui si pensava che il mercato avrebbe risolto ogni problema sociale e lo stato avrebbe dovuto solo disturbare il meno possibile. Oggi il bisogno ha molte forme e il merito è un fatto per pochi eletti. Per il resto le sorti del sistema neoliberista sono sempre meno magnifiche e progressive. In questo il mercato del lavoro è un termometro straordinario della disillusione e dello scarso gradimento da parte delle persone verso un sistema di valori per cui “se uno è povero è colpa sua”. (cit, papa Francesco).

Il Rapporto Censis

Ad inizio del mese di marzo è uscito un rapporto del Censis sullo stato di salute del welfare aziendale in Italia, che traccia uno scenario per larga parte negativo, con numeri e proiezioni tutt’altro rassicuranti. Sempre a marzo è stato presentato un secondo lavoro sul mercato del lavoro e la formazione continua, redatto da INAPP, che conferma le conclusioni cui giunge CENSIS. I nodi piu delicato sono tre. I lavoratori giovani in Italia sono diventati una rarità e siccome la popolazione invecchia in futuro ce ne saranno sempre meno. Seconda questione, il lavoro disponibile è sempre più precario e la precarieta è sempre più delle donne e dei giovani. Terzo ed ultimo punto, il più insidioso e spiazzante, la gente non vede l’ora di cambiare impiego, azienda o mansione, stretta tra lo stipendio basso, che non cresce in Italia da trent’anni e l’assenza di prospettive di carriera.

E il reddito di cittadinanza non c’entra nulla in questo caso

La transizione demografica ed il mercato del lavoro

Negli ultimi 10 anni gli occupati under 35 sono diminuiti del 7,6% e gli under 50 anni quasi del 15%, i 50-64enni sono aumentati del 40,8% e quelli con 65 anni e oltre del 68,9%.

Avanti così, secondo gli esperti, nel 2040 la forza lavoro diminuirà nel complesso dell’1,6% a causa del mancato ricambio generazionale, un pò come avviene nelle scuole di ordine e grado,

Questo mercato del lavoro che invecchia diventa anche più dinamico: nei primi nove mesi del 2022 ogni giorno in media 8.500 italiani si sono dimessi dal lavoro: un aumento del 30,1% in più rispetto allo stesso periodo del 2019, e 49.500 italiani hanno iniziato un nuovo lavoro, il 6,2% in più rispetto al 2019.

La precarietà, sempre più dei giovani e delle donne che sono gli outsider da sempre del mercato, e alimenta una parte significativa della mobilità del lavoro.

La motivazione principale del turnover infatti è la ricerca di una occupazione migliore, meglio retribuita e in particolare per i giovani meno precaria, condizione che riguarda oggi il 21,3% dei lavoratori (27,9% delle lavoratrici donne e 16,5% degli uomini, il 39,3% dei lavoratori con meno di 35 anni). Lo stesso discorso vale per il part-time involontario, che coinvolge il 10,3% dei lavoratori italiani (16,7% delle donne e 5,7% degli uomini)

Sempre più insoddisfatti

Il mercato del lavoro è diventato dinamico, per non dire irrequieto: il 46,7% degli lavoratori italiani inoltre lascerebbe l’attuale lavoro e il 64,4% degli occupati dichiara di lavorare solo per guadagnare i soldi necessari per vivere o fare le cose che piacciono, senza altre motivazioni esistenziali. Questo vale in particolare per il 69,7% dei giovani e per il 75,6% degli operai.

I principali motivi di insoddisfazione sono le scarse o nulle prospettive di carriera: il 65,0% dei lavoratori crede di non avere opportunità di avanzamento professionale o personale. In secondo luogo le retribuzioni, che vengono ritenute insufficienti: il 44,2% degli occupati considera lo stipendio percepito non adeguato alle proprie esigenze, (il 53,0% dei giovani). C’è poi infine un senso di insicurezza diffuso ed interiorizzato: il 42,6% dei lavoratori teme di perdere il posto di lavoro, e il dato aumenta al 51,6% tra gli addetti delle piccole imprese.

Secondo il CENSIS “La precarietà lamentata dai lavoratori nel periodo post pandemico è più attuale, concreta e tangibile di quella preconizzata dagli annunciati rivolgimenti legati all’innovazione tecnologica.” Insomma la precarietà è giovane ed è donna, ed è tutt’altro che solo percepita. E la transizione che preoccupa, e che ha effetti collaterali importanti, non è solo quella green e digitale, ma anche quella demografica.

I paradossi del Welfare aziendale

A contorno di tutto questo c’è il sintomatico “gradimento” per il coworking, simbolo del “work life balance” ed una lista della spesa delle cose che si vorrebbero all’interno dei pacchetti di welfare aziendale, richieste che rivelano molto dello stato dell’arte e del “sentiment” diffuso nel mondo del lavoro.

Sul welfare aziendale si ripone spesso molta fiducia, nonostante lo strumento abbia limiti oggettivi. Da un lato è vero che il sistema integrativo offre servizi e benefit molto apprezzati dai lavoratori, dall’alto riguarda solo i lavoratori delle aziende grandi, che in Italia non sono certamente la maggioranza. Questo stesso sistema previdenziale, paradossalmente, polarizza ulteriormente il mercato del lavoro e aumenta la distanza tra lavoratori insider garantiti ed outsider “precarizzati”. In Italia infatti, sempre secondo Censis, gli strumenti di welfare aziendale sono conosciuti oggi dal 64,9% dei lavoratori e solo il 19,8% sa di cosa si tratta esattamente.

Tra le soluzioni offerte dal welfare aziendale i servizi e le prestazioni più apprezzate sono quelle personalizzate, tagliati su misura rispetto alle proprie esigenze (79,4% dei lavoratori). A seguire le opportunità di conciliazione tra vita familiare e lavoro e l’integrazione del reddito, e la consulenza psicologica per affrontare le difficoltà quotidiane.

Il welfare aziendale si rivela uno strumento per attrarre e trattenere le risorse umane a disposizione delle aziende, alle prese con problemi di reclutamento e turn-over la cui incidenza non si era mai osservata prima in Italia.

In attesa che il mercato si riequilibrio da se l’idea potrebbe essere quella di estendere le tutele universalmente proprio a partire dalla formazione continua a, oggi una leva strategica sempre più importante per la produttività delle aziende e la sicurezza dei lavoratori. E partendo da qui ripensare un welfare legato alla persona, non al suo contratto di lavoro. Nella logica che una persona libera partecipa e alla vita della sua comunità. E la rende forte.


SEGNALIAMO