FESTIVAL PER IL DIRITTO A RESTARE

Un’iniziativa che ha fortunatamente superato il suo nome

GIUSEPPE SCALETTA

Giuseppe Tomasi di Lampedusa scriveva tra il 1954 e il 1957:

Non nego che alcuni Siciliani trasportati fuori dall’isola possano riuscire a smagarsi: bisogna però farli partire quando sono molto, molto giovani: a vent’anni è già tardi; la crosta è già fatta, dopo: rimarranno convinti che il loro è un paese come tutti gli altri, scelleratamente calunniato; che la normalità civilizzata è qui, la stramberia fuori.

Da studente che ha lasciato la sua Sicilia per “il nord” (anche se è tutto da capire se Bologna sia una città del nord come anche del centro Italia) mi sono sempre rivisto nelle parole dell’autore de Il Gattopardo. In effetti ancora oggi credo siano parole attuali e in parte per questo motivo ho accolto con una buona dose di pregiudizio l’invito a partecipare al Festival del diritto a restare che si è tenuto il 23 e il 24 agosto a Campobello di Licata. Quando ero un giovane maturando di un piccolo paesino nell’entroterra, 5 anni fa quindi, ogni volta che qualcuno mi chiedeva cosa avrei dovuto fare nel fantomatico e ansiogeno ‘dopo’ rispondevo “filosofia a Bologna”. Il primo commento, quasi sempre, era: “Ah, e come mai? Non c’è a Catania o a Palermo?”.

A onor del vero dico anche che una piccola parte dei miei interlocutori si rivelava entusiasta e mi diceva che aveva parenti o che era stata a Bologna e aveva un bellissimo ricordo. Tornando ai primi, di gran lunga maggiori dei secondi, chi volutamente chi per idem sentire, erano promotori di quella che potrei chiamare la retorica della ‘nave che affonda’: la Sicilia ha bisogno di essere salvata e ha bisogno di tutti i suoi figli e figlie.
Chi ‘abbandona la nave’ è un traditore della patria, che preferisce creare valore e ricchezza fuori e lasciare con l’acqua alla gola i propri. Gli unici a essere perdonati sono coloro che sono costretti ad abbandonare casa per causa di forza maggiore.
Chi, invece, se ne va per curiosità, per sfizio, per spirito d’avventura o per cercare prospettive più ricche, offende il sacrificio di chi lascia mal volentieri i propri cari e la propria terra. In questo modo il diritto a restare diventa un dovere; da qui il mio pregiudizio di fronte al festival.

Malgrado il nome, che ancora non mi piace, sono felice di essermi ricreduto. Assieme ad una coppia di docenti gelesi che lavorano da anni a Como, a un coetaneo che studia informatica umanistica a Pisa e desidera trasferirsi con la fidanzata in Olanda, ad una professoressa di alimentazione di Campobello in pensione, a due trentenni di due associazioni che si occupano di lavoro e territorio, ad un informatico che ha impiantato in Sicilia un algoritmo canadese e ad una signora che si occupa di agricoltura nel granaio dell’impero romano abbiamo ragionato su queste tre domande in vista della creazione di un centro che indaghi il fenomeno dell’esodo siciliano:

  • Quali opportunità della nostra terra non stiamo cogliendo?
  • Come e in cosa trasformare queste opportunità?
  • Quali sono le prime azioni concrete che dovrebbe attuare il centro studi Giuseppe Gatì?

Queste persone tanto diverse tra loro per paesi di nascita (la Sicilia è grande e nascere a Gela non è la stessa cosa che nascere a Pietraperzia) età, professioni, luoghi di emigrazione e prospettive hanno concordato sull’importanza del viaggio, dell’educazione e della comunità.

Ritornando al Gattopardo, mi sono convinto che:

  1. Se resti nel posto in cui nasci non solo non vedrai nulla di diverso, ma non vedrai neanche ciò che hai sotto agli occhi. Ho studiato e conosciuto la mia terra infinitamente di più in questi 5 anni in cui l’ho lasciata rispetto ai 19 in cui ci ho vissuto. Con l’occasione di farla conoscere alla mia ragazza di Padova ho approfondito una cultura che, se non per nomea, non mi ero mai curato di conoscere.
  2. Se te ne vai per poco tempo e poi torni vedrai solo le cose positive dei luoghi che visiti o solo le cose negative, trasformando la tua terra in un paradiso o in un inverno. In questo senso fare il turista non significa necessariamente viaggiare.
  3. Se viaggi e vivi pienamente più realtà diverse tra loro, il luogo in cui decidi di stare diventa una scelta consapevole. Un’opzione è tale solo se non è l’unica, una scelta è tale solo se si hanno alternative. Ecco perché mi piace di più il diritto a scegliere dove restare che il diritto di restare in Sicilia e basta.

Sull’educazione in realtà non mi dilungo troppo, non penso sia una peculiarità della questione siciliana l’esigenza di agire sull’educazione. Tutti i problemi sistemici non possono che essere affrontati a partire dall’educazione (cosa diversa dall’istruzione) a cui la scuola dovrebbe assolvere, e quelli siciliani non fanno eccezione.

Osserverò con curiosità e fiducia il nascente centro studi Giuseppe Gatì, come pezzo di Sicilia in giro per l’Italia.


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