Il diritto alla vita indipendente non è negoziabile. Facciamolo diventare un’urgenza collettiva. Oggi, non domani.
La vita non si parcheggia.
Si vive. Ora.
Libertà, lavoro, dignità. Tre parole che non possono restare sulla carta. Tre parole che per alcune persone sono automatiche, quasi banali. Per altre, per troppe, sono montagne da scalare ogni giorno a mani nude.
Il Durante Noi: perché la libertà non può aspettare, il 5 maggio è la Giornata Internazionale della Vita Indipendente.
Una data che dovrebbe farci alzare lo sguardo oltre la superficie delle parole, oltre le celebrazioni di circostanza, oltre le panchine colorate e i convegni ben pettinati.
Parliamo di libertà, autodeterminazione, di scelte di vita. O almeno, dovremmo. Perché la verità, quella nuda e cruda che nessuno vuole vedere davvero, è che per moltissime persone con disabilità la vita indipendente è ancora un miraggio. E non uno di quelli poetici che ispirano canzoni e romanzi, ma un miraggio crudele che tiene le persone sospese tra diritti sulla carta e una realtà che ti ingabbia, ti sottrae ogni margine di scelta, ogni orizzonte di futuro.
Il lavoro, il reddito, l’accessibilità, i servizi: tutte cose che per molti sono solo coordinate logiche del vivere civile. Per chi convive con una disabilità, invece, diventano muri, cancelli chiusi, strade sbarrate, vicoli ciechi. Ogni scelta diventa un campo minato. Dove posso vivere? Con chi? Posso dire “no” a contesti che mortificano la mia dignità? Posso scegliere di costruire il mio futuro senza dovermi aggrappare alla buona volontà di qualcun altro? Posso smettere di essere considerata un peso? Posso dire basta a una società che mi guarda solo come destinataria di servizi e mai come protagonista di scelte?
È qui che entra in scena lo Stato, con le sue leggi, le sue buone intenzioni, i suoi pacchetti normativi dai titoli evocativi. “Dopo di Noi”, ad esempio. Una legge importante, sia chiaro. Una legge che ha tentato di rispondere a un bisogno reale, umano, drammatico: quello di garantire alle persone con disabilità un futuro quando le famiglie non ci saranno più. Ma se la guardiamo da vicino, questa legge ci lascia addosso un sapore amaro, stantio. Perché si concentra sul “dopo”, su quel momento in cui tutto è già fragile, instabile, doloroso. E il durante? Chi si preoccupa del durante? Chi si prende carico di ciò che accade oggi, mentre le famiglie arrancano, le persone vivono, sopravvivono, combattono?
Questa è la vera ferita aperta. La grande ipocrisia sociale che nessuno vuole nominare. Perché vivere non è sopravvivere nell’attesa di un futuro assistito. Vivere è qui, ora. È avere la possibilità di fare scelte libere, sostenibili, autonome. È costruire un presente dignitoso, concreto, reale. È smettere di trattare la vita indipendente come un lusso da erogare a pacchetto, e iniziare a considerarla per quello che è: un diritto fondamentale. Ogni giorno.
E poi c’è il grande convitato di pietra: il lavoro. Perché diciamocelo senza ipocrisie: in Italia lavorare è ancora, troppo spesso, un privilegio riservato a chi parte già da posizioni di vantaggio. Per le persone con disabilità il lavoro resta una corsa a ostacoli, una caccia al tesoro in cui spesso il premio è una posizione precaria, mal pagata, senza reali prospettive di crescita. Quando invece dovrebbe essere una leva di libertà, uno strumento di emancipazione, la chiave per costruire progetti di vita autonomi, sostenibili, dignitosi.
E invece troppo spesso il lavoro è un altro ostacolo in più. Un muro che si aggiunge a quelli già presenti. Un lavoro che non tiene conto delle competenze reali, che si ferma alle etichette, che offre salari irrisori, che non prevede percorsi di crescita né welfare integrato. Un lavoro che non si interroga mai su cosa significa davvero essere inclusivi.
Il lavoro dovrebbe garantire una RAL (Retribuzione Annua Lorda) adeguata alle competenze, dovrebbe prevedere percorsi di carriera, welfare integrato, sostegni personalizzati. Dovrebbe essere uno degli assi portanti di quel grande patto sociale che oggi ancora manca all’appello. E invece? È ancora un lusso per pochi. È ancora un privilegio concesso a chi già ha il piede nella porta.
Perché è ora di cambiare prospettiva. Non basta più parlare di Dopo di Noi. Serve una rivoluzione culturale, sociale, politica, economica. Serve un patto per il Durante Noi. Un patto che metta al centro lavoro dignitoso, servizi accessibili, tutele vere. Un patto che smetta di trattare la disabilità come un’eccezione da gestire e inizi a considerarla una delle tante sfumature dell’umano.
Perché la vera sfida non è immaginare un futuro ipotetico, ma rendere vivibile il presente. Costruire un presente dove ogni persona possa scegliere la propria vita. Ogni giorno. Senza dover chiedere permesso, senza doversi accontentare, senza elemosinare dignità.
La vita indipendente non è un favore il 5 maggio non l’ho mai festeggiato.
Per me ogni giorno è una vittoria.
Non è una gentile concessione dello Stato.
Non è una scelta di carità.
È un diritto.E come tutti i diritti, o è per tutti, o non è.
Perché la vita non si parcheggia.
Si vive. Ora.
Qui.
Insieme.