CAPITALISMO E TECNICA

Il capitalismo nasce dalla contrapposizione tra economia, dal greco οἰκονομία, composto di οἶκος «dimora» e eνομία «-nomia» ovvero «amministrazione della casa», e crematistica, dal greco κρηματιστικός «relativo alla ricchezza». Ovvero dalla sostituzione del concetto di valore inteso come gestione delle cose comuni con una “generazione” e “riproduzione” del capitale, ovvero del valore stesso, il cui obiettivo di moltiplicazione/accelerazione delle ricchezze è finalizzata a un incrementale immagazzinamento di denaro (ricchezza).1

Quindi nasce implicato dall’aumento/accelerazione del valore e si presenta come sistema aperto fondato sulla passione per il denaro che enfatizza, con le sue prassi, la razionalità e il pragmatico. È per lo più fatto di individui razionali le cui relazioni si fondano sul valore posseduto e generato. Diventa nella modernità una filosofia con Marx e Weber. Ed è visto come un sottosistema del sistema della tecnica.

Già il nome rivela una volontà di organizzare, esso rappresenta il “capo”, da “caput-capitis” che sta a significare ciò da cui le altre cose discendono,  ovvero l’azione iniziale dalla quale si producono interessi e guadagni. 

Seppure è chiara la tesi che il capitalismo non si sia mai imposto definitivamente sul piano etico, né in Occidente né tanto meno altrove, e che continua a sollevare obiezioni e reazioni perfino dove è dominante, definiamo reale quello che è il prodotto di decisioni politiche e questo vuol significare che il capitalismo è un prodotto di una decisione politica.
Quindi non è una cosa ovvia e naturale, non è lo stato delle cose, al contrario è un sistema che si autoalimenta. Ovvero il capitalismo è un’ideologia, essendo quasi un indottrinamento molte persone pensano che non si possa cambiare e che sia il sistema migliore del mondo e che non hanno importanza le conseguenze.[2]

Questo caput-capitis viene portato alle sue estreme conseguenze dalla rivoluzione industriale del diciottesimo secolo, con la recinzione delle terre, l’espropriazione dei contadini, la creazione di un mercato del lavoro, la nascita delle manifatture e una produzione capace di utilizzare il cambiamento tecnologico, di accelerare drasticamente la produzione, creare un consumo di beni superflui e un immaginario fondato sul consumismo.

Quindi l’avvento di Google Adwords nel 2002 ha portato ad attribuire un valore economico ad ogni singola parola nel web, così il capitalismo ha toccato il fondo dell’essere-nel-mondo. Ogni parola e ogni personaggio famoso hanno un costo-valore nel web, questo valore è enfatizzato sulla loro notorietà. Questa enfasi è un effetto dell’affermarsi della tecnica in una prassi puramente funzionale. È una narrativa che quota anche se stessa, a tutti gli effetti l’ultima narrativa per dare senso alle cose del mondo, in nome di un realismo “più realista del re”.

Con la caduta del muro di Berlino nel 1989, con le cadute delle ideologie nel postmoderno, è restata l’unica opzione ed è calata anche una rassegnazione tale per cui il “non ci sono alternative” pronunciato dal primo ministro inglese Margaret Thatcher, è stato introiettato così profondamente nell’intelletto comune da diventare l’illusione di un “fatto naturale”.[3] 

There Is Not Alternative” diventa T.I.N.A., (la Thatcher viene soprannominata TINA), che nella sua enfasi rappresenta la continuità con la proposta culturale di Herbert Spencer, intellettuale del XIX secolo, teorico colonialista della falsa scienza del darwinismo evolutivo e appartenente al liberismo classico.
Con TINA, oggi si indica quel pensiero che considera il neoliberismo come l’unica ideologia possibile. Anche il primo ministro tedesco Gerhard Schröder, pronuncia il suo “Es gibt keine Alternative…“.

Così In Italia le decisioni sulle politiche economiche degli ultimi 40 anni sono state presentate come “decisioni tecniche” e presentate al Parlamento come provvedimenti tecnici da ratificare. In alcuni casi le decisioni sono state prese senza neanche passare per il Parlamento o sono state prese da “governi tecnici”:
1979 Ingresso nello SME (Sistema Monetario Europeo): tasso di cambio quasi fisso fra le valute europee;
1981 Divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia: perdita del controllo sul debito pubblico; 1992 Trattato di Maastricht: limite del 3% al deficit di bilancio e riduzione del debito pubblico al 60% del PIL;
introduzione del principio di “concorrenza competitiva” fra gli obiettivi dell’Unione Europea;
1993 Riforma del TUB (Testo Unico Bancario): possibilità per le banche commerciali di occuparsi anche di finanza speculativa;
1995 Riforma Dini del sistema pensionistico;
1999 Ingresso nell’euro: tasso di cambio fisso con le altre valute europee e creazione della BCE; 2009 Trattato di Lisbona;
2011 Ingresso nel MES (Meccanismo Europeo di Stabilità);
2012 Inserimento in Costituzione (art. 81) del principio del pareggio di bilancio;
2012 Ingresso nel fiscal Compact.

Si tratta di decisioni che, tutte, hanno portato enormi vantaggi economici al mondo della finanza speculativa, a scapito del mondo del lavoro (lavoratori e imprese) e della popolazione.

L’assordante mancanza di alternativa non è altro che l’attuazione delle prescrizioni di scienziati dell’economia quali Ludwig Von Mises, Friedrich Von Hayek e Milton Friedmann. Essi proponevano delle “disposizioni tecniche” in quanto esperti e competenti. Il capitalismo nel XX secolo occupa tutto l’orizzonte del pensabile perché in sostanza c’è stato un vero e proprio esaurimento del futuro[4], in quanto la storia dell’uomo sembra aver raggiunto il suo apice, il suo climax[5] e da qui in poi ci può essere soltanto una sorta di ottimizzazione narrativa, come se vivessimo in un presente continuo[6].


[1]G. Agamben, Il regno e la gloria. Per una genealogia teologica dell’economia e del governo, Homo sacer, Bollati Boringhieri, 2009.

[2]M. Fisher, (2009), Realismo Capitalista, Nero edizioni, 2018.

[3]M. Fisher, 2018.

[4]M. Fisher, 2018.

[5]F. Jameson, (1991), Il postmoderno, o la logica culturale del tardo capitalismo, trad. S. Velotti, Garzanti, Milano 1989.

[6]D. Rushkoff, (2013), Presente continuoTraduzione di G. Giri e S. Orrao, Codice edizioni, 2014.

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