di Mirko Bettozzi
Nel XXI secolo la parola guerra dovrebbe essere utilizzata unicamente per riferirsi ai tragici accadimenti del passato. Pensare che, ancora oggi, leader mondiali guardino alla guerra come strumento utile per la risoluzione di questioni internazionali è semplicemente inspiegabile, anacronistico, assurdo.
Bandire la guerra dovrebbe essere ancor più logico e scontato dopo che gli americani hanno sganciato in maniera del tutto sconsiderata le due bombe atomiche, Little Boy e Fat Man, sulle città di Hiroshima e Nagasaki facendo così conoscere al mondo intero le atroci conseguenze dell’utilizzo del nucleare come arma di distruzione di massa. Da quei drammatici giorni di agosto del 1945 sono passati più di ottant’anni, ma invece di voltare pagina e progredire verso un mondo nuovo, più consapevole e quindi predisposto a rendere costruttivo il suo passaggio su questa Terra, l’essere umano sembra aver scelto la strada del buio, dell’odio, della distruzione. Questo perché lacerato dalla ricerca del potere e del denaro a ogni costo, dal desiderio di conquista e di sopraffazione. La corsa agli armamenti ha fatto da preambolo a un ottantennio fatto di conflitti (sparsi un po’ in tutto il mondo), tensioni e crisi internazionali che più volte hanno rischiato di precipitare nel baratro l’intera umanità.
Il primo strappo ai raggiunti accordi diplomatici tra le grandi potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale si verificò nel biennio 1948-1949 con quello che passò alla storia come Blocco di Berlino. Nel 1956 la rivoluzione ungherese divise il mondo tra chi si schierò dalla parte dell’invio dei carri armati sovietici per sedare la rivolta popolare scoppiata a Budapest e chi vi si oppose. Dello stesso anno è la crisi del canale di Suez, che vide Stati Uniti e Unione Sovietica allearsi contro Francia, Gran Bretagna e Israele, mentre il 1961 è passato alla storia per la seconda, drammatica, crisi di Berlino, successiva alla richiesta da parte dell’Unione sovietica a Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti di smilitarizzare la città.
Il 1962, con la vicenda dei missili sovietici a Cuba, è unanimemente riconosciuto come l’anno in cui la tensione tra Stati Uniti e Unione Sovietica raggiunse il suo picco massimo.
Accanto a questi episodi anche gran parte del restante secondo Novecento è costellato da conflitti che hanno disseminato morte e distruzione in ogni parte del mondo, l’unica eccezione furono forse gli anni Ottanta segnati dal riavvicinamento tra il blocco Occidentale e quello Orientale e dalle conseguenti politiche incentrate sul dialogo e sul disarmo.
Purtroppo, i tragici avvenimenti dell’11 settembre 2001 riportarono la tensione internazionale alle stelle. Da quel giorno Oriente e Occidente, tornarono a essere divisi e distanti e il mondo intero precipitò nuovamente nella diffidenza e nel rancore. Le ondate migratorie che interessarono e continuano a interessare l’Europa invece di cementare rapporti di fratellanza tra popoli hanno innescato un clima di intolleranza dovuto anche al fatto che tali ondate, repentine e incontrollate, hanno contribuito a introdurre elementi criminali utili solo a fare generalizzazioni negative certamente non di supporto per una sana integrazione. Dal 2014, con la strage di Odessa e la conseguente occupazione dei territori del Donbass da parte russa, la situazione è in continuo divenire. Zelensky, Presidente dell’Ucraina, chiede continuamente armi ai paesi della Nato per fronteggiare l’offensiva russa e quest’ultima, da parte sua, non vuole mollare la presa su territori che considera suoi, pena la perdita di status di superpotenza. Ma la questione qui più che politica è economica e non passa giorno che minacce dall’una e dall’altra parte non facciano riferimento anche a un eventuale ricorso alla potenza nucleare.
Nel frattempo, a poche migliaia di chilometri di distanza, tra Palestina e Israele si combatte una guerra impari che sta decimando il popolo palestinese; mesi fa anche tra Pakistan e India è scoppiato un conflitto fortunatamente subito sedato; la Cina continua a non fare mistero delle sue mire su Taiwan, mentre l’Iran potrebbe in qualsiasi momento tornare a creare nuove tensioni per via della sua volontà di dotarsi di energia nucleare. Probabilmente ciò che deve preoccupare di più è la reale perdita di valore del dollaro americano e la conseguente avanzata dei Brics sullo scacchiere della politica internazionale. Gli americani difficilmente cederanno il posto di comando che tengono saldo in pugno da più di un secolo e che mai come ora rischia di essergli tolto per sempre da paesi che economicamente stanno crescendo a ritmi che presto supereranno quelli degli Stati Uniti.
Charlie Chaplin diceva “serve il potere solo quando si vuole fare qualcosa di dannoso, altrimenti l’amore è sufficiente per fare tutto il resto”, ma potere e comando vanno di pari passo e con l’amore difficilmente si riesce a imporre ad altri la propria volontà. Anche se una guerra nucleare non gioverebbe a nessuno, tantomeno a chi vuole continuare a comandare, c’è da sperare che le persone che si troveranno in futuro a governare stati dotati di arsenali nucleari riescano a gestire il proprio potere guidate dal buon senso e dalla razionalità. Purtroppo, a mettersi in evidenza per risolvere crisi internazionali sono sempre meno persone disposte al dialogo, mentre, anche sentendo parlare i leader di alcuni paesi europei, sembrerebbe che il modello di riferimento sia sempre più vicino a quello rappresentato da Curtis Le May.
In questo clima di incertezza l’unica cosa che le popolazioni possono fare è manifestare il più possibile e adoperarsi affinché si moltiplichino gli appelli in tutto il mondo per la distruzione degli armamenti nucleari.
“Chi, come me, lotta per l’interdizione dello armamento atomico non lotta contro la scienza, ma per la scienza, per ottenere che la scienza moderna e quella futura diventino la base di evoluzione, di sviluppo di tutta la vita moderna sul nostro pianeta” (Robert Jungk).












