Gaza e Israele

un’analisi storica e geopolitica (1948-2025)
Di Andrea Attilio Grilli

Introduzione
La Striscia di Gaza rappresenta uno dei nodi centrali del conflitto israelo-palestinese, sia per la sua posizione strategica che per il suo valore simbolico. La sua storia, segnata da guerre, occupazioni e tentativi di pace, riflette le dinamiche più ampie del Medio Oriente e le complesse relazioni tra Israele, i palestinesi e i paesi arabi.
Comprendere il suo significato e il ruolo nelle dinamiche locali e internazionali potrebbe aiutare a trovare nuove soluzioni di dialogo e di risoluzione del conflitto, sia per necessità geopolitiche quanto per imperativi umanitari per tutti i civili.
Le origini del problema “Gaza” sono antiche e risalgono, senza riavvolgere la bobina della Storia, alla risoluzione 181 dell’ONU sulla ripartizione della Palestina in due stati distinti.
È bene ricordare che erano due le ipotesi su cui l’assemblea della Nazioni Unite lavorò:
La creazione di due stati e Gerusalemme sotto controllo ONU;
Uno stato federale con entrambe le “fazioni” principali;
Oltre agli ebrei e ai palestinesi (sia di religione mussulmana quanto cristiana), nella stessa regione coesistevano e coesistono altri gruppi culturali/etnici come i drusi e i beduini.
Altre opzioni rimasero sul tavolo, ma soprattutto va ricordato quanto scrisse la commissione incaricata di presentare un piano all’assemblea UN:
«But the Committee also realized that the crux of the Palestine problem is to be found in the fact that two sizeable groups, an Arab population of over 1,200,000 and a Jewish population of over 600,000, with intense nationalist aspirations, are diffused throughout a country that is arid, limited in area, and poor in all essential resources. It was relatively easy to conclude, therefore, that since both groups steadfastly maintain their claims, it is manifestly impossible, in the circumstances, to satisfy fully the claims of both groups, while it is indefensible to accept the full claims of one at the expense of the other.»
((United Nations Special Committee on Palestine, Recommendations to the General Assembly, A/364, 3 September 1947)
In sintesi, non è possibile risolvere la crisi senza un dialogo tra le parti.
Questo dialogo sarà tentato più volte, non ultimo anche unilateralmente da Ariel Sharon, senza ottenere dalla dirigenza palestinese un minimo di attenzione al tema, tesa inequivocabilmente alla distruzione di Israele.
La nascita dello Stato di Israele e la prima guerra arabo-israeliana (1948)
Nel 1948, con la fine del mandato britannico sulla Palestina e la proclamazione dello Stato di Israele, scoppia la prima guerra arabo-israeliana. La questione è dovuta principalmente al fatto che, mentre la comunità ebraica accetta la risoluzione pur con diverse perplessità, ma almeno avendo un punto di partenza; gli stati arabi confinanti con quello che doveva essere il futuro stato palestinese, preferiscono impedirne la formazione e cercare di fare un “all-in” geopolitico, contando sulla impossibilità in caso di vittoria da parte dell’ONU di tentare una nuova ricostituzione dello stato ebraico.
Chi vince, prende tutto. Insegnamento che David Ben Gurion e i successivi primi ministri israeliani avranno sempre ben chiaro.
Le conseguenze della disastrosa campagna degli stati arabi vede però l’Egitto occupare la Striscia di Gaza, mentre Israele si consolida come Stato. Già dal 1948 sono evidenti alcuni elementi geografici e strategici perseguiti dalle varie nazioni coinvolte nel conflitto.
In particolare, è evidente come l’Egitto possa sferrare attacchi con maggiore facilità sfruttando proprio la striscia di Gaza. Propri questi attacchi, spesso organizzati da gruppi terroristici orchestrati dai servizi segreti del Cairo e ulteriori azioni che mettono a rischio la sicurezza di Israele, spingono Ben Gurion a lanciare un coraggioso attacco contro l’esercito egiziano nel 1956 ottenendo un’altra incredibile vittoria.
Gli USA non sono ancora schierati con Israele e l’offensiva del Sinai, orchestrata con francesi e inglesi, risulta essere un problema politico per il governo israeliano.
Lo scambio epistolare tra Ben Gurion e il presidente statunitense Eisenhower sono significativi delle distanze che ancora separavano le due nazioni.
Comunque, Israele si ritirerà da una parte sottolineando la maggiore capacità militare di difendere i propri confini, ma avendo ben chiaro che alcuni limiti geografici rendono la nazione attaccabile da più fronti, oltre a un potenziale isolamento dalle grandi rotte commerciali del Golfo.
Con la Guerra dei Sei Giorni (1967) Israele cambia strategia, sono diciannove anni di attacchi costanti degli stati arabi e dei fedayn palestinesi. Un’altra vittoria, come quella dei sei giorni, non è detto che garantisca la sicurezza auspicata. D’altra parte, proprio Gaza è una base operativa fondamentale per lanciare gli attacchi e una immensa porta sul mare per terroristi e nazioni nemiche.
Al termine della guerra Israele occupa la Striscia di Gaza, insieme alla Cisgiordania, Gerusalemme Est, le Alture del Golan e la penisola del Sinai, che sarà poi restituita all’Egitto a seguito di uno storico accordo, ancora oggi alla base di una collaborazione strategica tra i due paesi.
Negli anni gli stati arabi abbandonano o cambiano approccio verso Israele, lasciando di fatto i palestinesi, dopo averli usati contro lo stato sionista, nei campi profughi.
Una serie di accordi farà nascere l’Autorità Palestinese, di fatto governo ufficiale del possibile nuovo stato palestinese, che di fronte alla possibilità di farlo nascere grazie al vertice di pace in Medio Oriente a Camp David, preferisce rinunciare alla firma e proseguire la lotta contro lo stato israeliano.
Si creerà così una Cisgiordania in parte gestita da Israele con le colonie, in parte gestita dalla Autorità Palestinese; mentre Gaza rimane sotto rigoroso controllo militare con l’obiettivo di ridurre o neutralizzare il terrorismo palestinese.
L’ultimo tentativo
Nel 2005, Israele si ritira unilateralmente da Gaza, smantellando gli insediamenti ebraici e consegnando il territorio all’Autorità Nazionale Palestinese. Tuttavia, nel 2006 Hamas vince le elezioni legislative palestinesi e, dopo uno scontro armato con Fatah nel 2007, prende il controllo della Striscia. L’organizzazione terroristica palestinese, invece di partecipare alla costruzione di uno stato palestinese, avvia una guerra per la distruzione di Israele. Si avvicina all’Iran, nuovo soggetto geopolitico interessato a entrare nel Mediterraneo e conquistare la leadership nel Medio Oriente. Operazione complessa perché condivisa con Israele e con la Turchia, ma mentre le ultime due sono alleate degli USA, anche se tra di loro non dialogano, lo stato persiano opera da solo o in concerto con Russia e Cina, legame che dal 2022 diventerà inscindibile, pena la sconfitta del fronte BRICS antioccidentale.
I costanti attacchi di Hamas, organizzazione non debole e non impreparata, riporta in superficie il problema storico dello stato israeliano, cioè la insicurezza del confine di Gaza. Che siano egiziani o terroristi di Hamas il problema è sempre lì, caldo e sanguinoso.
La Striscia di Gaza diventa quindi una base per il lancio di razzi contro Israele e la costruzione di tunnel sotterranei, utilizzati sia per il contrabbando di armi che per attacchi. Israele risponde con operazioni militari (come “Piombo fuso” nel 2008-2009 e “Margine protettivo” nel 2014) ridotte per la loro ampiezza ed efficacia a causa di una Europa poco intenzionata a risolvere il problema medio orientale.
La decisione di lasciare Gaza ai palestinesi per costruirsi un futuro è presa da Ariel Sharon, contro anche parti consistenti del suo partito. Lo incontrerà Bernard-Henri Lévy proprio nel 2005, in quella occasione il primo ministro israeliano esprime speranza che i palestinesi e il mondo intero colgano l’occasione che unilateralmente Israele sta donando al nemico di sempre.
Ma nello statuto delle organizzazioni palestinesi c’è come obiettivo primario la distruzione di Israele.
La risoluzione 181 ormai è lettera morta per i nemici di Israele, così come le risoluzioni che seguiranno e i punti programmatici firmati nel 2000.
I costanti fallimenti nei dialoghi e nelle trattative rinforzano anche le aree politiche più estreme, tra le quali la destra israeliana, fin dall’origine speranzosa di governare tutti i luoghi santi dell’ebraismo. Incredibilmente è proprio Sharon a tentare di smorzare questi tentativi, come sappiamo inutilmente.
L’importanza geopolitica e regionale
Gaza non è solo un problema di sicurezza per Israele, ma anche un elemento chiave negli equilibri regionali. La sua posizione lungo il Mediterraneo e al confine con l’Egitto la rende strategica per il controllo dei traffici e delle influenze nella regione. Importanza di cui anche i faraoni erano ben consapevoli. Inoltre, la presenza di Hamas, sostenuta da Iran e altri attori regionali, fa di Gaza un fronte aperto nel conflitto tra Israele e le potenze antioccidentali del Medio Oriente.
Ma anche fondamentale per il futuro impero turco che Erdogan vuole rifondare, così come una porta verso il Mediterraneo per l’Iran.
Il nodo critico è legato al fatto che il conflitto non è più arabo-israeliano, come ancora molti descrivono. L’ingresso negli anni di attori decisi a diventare potenze regionali rendono Gaza strategica, ma anche ormai avulsa da ogni questione legata alla creazione di uno stato palestinese.

Israele, per motivi di sicurezza, come dal 1948 deve controllare quel territorio direttamente o indirettamente, salvo che gli stati arabi firmatari degli Accordi di Abramo, l’Europa e gli USA non riescano a disinnescare il pericolo iraniano e costringere i palestinesi a fondare uno stato indipendente dal controllo persiano.
Il controllo della striscia può essere paragonato al conflitto afgano degli statunitensi. Meglio portare la guerra in casa del nemico e tenerlo sulle spine, piuttosto che subire attacchi. Mettendosi nei panni dei cittadini israeliani, di qualsiasi religione e cultura, il pericolo costante di attentati necessita di una politica difensiva.
Anche se la guerra in Afghanistan viene letta come una sconfitta, va riconosciuto all’esercito statunitense e alla coalizione di aver costretto il terrorismo islamico a difendersi e ridurre la capacità offensiva in Europa e Stati Uniti.
D’altra parte, Gaza potrebbe diventare come le alture del Golan, un territorio di nessuno, un grande cuscinetto per garantire la sicurezza. Il recente cambio di governo in Siria ha dimostrato che grazie a quel territorio Israele ha potuto garantirsi sicurezza, ma anche capacità negoziale proprio con il vecchio nemico siriano.
Il fatto che non si riconosca il diritto alla sicurezza per Israele e si vittimizzi i palestinesi impedisce qualsiasi accordo. Indipendentemente dal governo che a Tel-Aviv è insediato. La sicurezza di una nazione non è un tema politico, ma geopolitico, cioè avulso da pensieri ideologici, ma strettamente connesso al contesto in cui opera una nazione.
Però Gaza è fondamentale per l’istituzione dello stato palestinese, come nascerà e con quali condizioni detterà le scelte geopolitiche degli stati che compongono il Medio Oriente e soprattutto il destino dei civili di ogni origine, vittime del conflitto.


Commenti

Una risposta a “Gaza e Israele”

  1. Avatar Milena
    Milena

    Ottimo articolo scritto in ottimo italiano e accurato nella ricostruzione storica.sicuramente fuori dal coro .