Diego Castagno
Nel quinto numero del magazine Il Mondo Nuovo, in edicola dal 15 marzo, parliamo di fragilità e disagio giovanile con don Virginio Colmegna, Mariapia Garavaglia e Luigi Mazzone.
Ascolta l’intervista a Mariapia Garavaglia a cura di Diego Castagno:
Segue articolo di Diego Castagno:
In Italia, tre milioni di persone hanno una patologia psichiatica da disturbo del comportamento alimentare. Di questi due milioni sono ragazzi con meno di 18 anni. In vent’anni quelli che hanno questa patologia sono cresciuti del 113%. Nell’ultimo anno 4000 persone sono morte per l’anoressia.
Su due milioni di ragazzi in età scolare e prescolare un quinto ha un disturbo psichiatrico. Nell’ultimo annoi sono aumentati del 27% i comportamenti suicidari e autolesivi.
Questo fenomeno, in costante aumento, ha trovato il servizio sanitario impreparato. Le strutture per la neuropsichiatria infantile hanno solo 403 posti letto su tutto il territorio nazionale e le strutture per i comportamenti dei disturbi alimentari sono 126. Di queste solo il 48% prende in cura i minori.
E l’Italia, sempre di più un paese per vecchi, sta scoprendo che anche i più giovani si stanno ammalando e hanno bisogno di cura. Scopre che questo bisogno aumenta a ritmo impressionante. E si mostra da un lato impreparato a gestire questa emergenza, e dall’atro privo delle risorse e degli strumenti che servirebbero a dare le risposte necessarie, con tutto quello che ne consegue a livello sociale. Mancano le strutture, i posti letto, gli insegnanti di sostegno, i supporti specialistici. A pagare il conto sono i pazienti e le famiglie, in particolare quelle che hanno meno risorse: l’accesso alle cure è sempre più una questione di classe sociale, nel senso letterale de termine.
Eppure non siamo mai stati, noi umani, cosi “forti” e “potenti”.
Abbiamo strumenti e tecnologie straordinarie, inimmaginabili fino al secolo scorso. Siamo riusciti ad allungare la nostra vita, curare malattie letali fino a pochi anni fa, ridurre l’ignoranza e limitare le conseguenze della povertà o della fame. E siamo anche stati capaci di orientare questo cambiamento al progresso e al bene comune.
Siccome però la storia non finisce oggi abbiamo per fortuna altre partite da giocare, che sono la diretta conseguenza di quanto abbiamo saputo costruire ed inventare, nel bene e nel male. E, come sempre è capitato nella storia dell’umanità, esistono dei punti di rottura e dei salti tra epoche differenti che implicano un passaggio tra un vecchio ed un nuovo che a sua volta comporta costi sociali importanti e ulteriori sfide da affrontare.
Siamo nel pieno di una fase di transizione grande e complessa, tecnologica, economica e demografica, spinta dal digitale e dalla “capacità combinatoria” della scienza, un cambiamento veloce e costante che ha effetti di grande portata sull’economia e sulla coesione sociale delle nostre comunità. Tra i differenti effetti più o meno collaterali del cambiamento uno dei più evidenti è il modificarsi dei bisogni delle persone. Il rapporto tra l’uomo e la macchina rinvia a quello tra il fine e lo strumento. Senza l’uomo, la sua fragilità e la sua capacità di produrre bisogni, le macchine non avrebbero motivo di esistere. La transizione che viviamo cambia il contesto e cambia il bisogno delle persone. Cambia il concetto di salute e quello di cura. Genera un nuovo modo di lavorare e di produrre valore e di fare comunità.
Una volta, quando ci si ammalava, o si guariva o si moriva. Oggi c’è una terza possibilità. Le cosiddette cronicità, uno dei problemi maggiori per la sostenibilità dei sistemi di welfare europei, sono un fenomeno ed una questione del contemporaneo.
La sfida della Silver economy riguarda tutti, non solo gli anziani, su cui si concentra oggi la maggior parte della spesa per la salute dei cittadini. L’aumento delle patologie neuropsichiatriche dei minori in questo senso è un fatto che destabilizza ulteriormente un sistema “lento” per sua natura, che fatica a tenere il passo di un cambiamento sempre più veloce e che sembra non avere gli strumenti per ripensarsi.
Quando si pensa all’innovazione, si pensa alla tecnologia e al digitale, eppure l’innovazione è anche e soprattutto una questione culturale. La storia, che non si ripete mai, insegna che spesso la soluzione dei problemi si trova cambiando la prospettiva.
La nostra è una società di anziani sempre più longevi. Ci stiamo preparando ad un contesto inedito, mai verificatosi nella storia dell’umanità, in cui aumenta l’aspettativa di vita e diminuisce la natalità, una dinamica che cambia le strutture della nostra società, il nostro modo di intendere il passato o di immaginare il futuro, o ancora di dare valore alle cose che si hanno e chi si fanno. Questo scenario non è peggiore o migliore dei precedenti, semplicemente è diverso, al di là delle differenti opinioni che se ne hanno e delle differenti narrazioni che se ne fanno.
Nel paese degli anziani forse si potrebbe ripartire dall’idea che proprio il welfare potrebbe essere il nostro nuovo “uomo sulla Luna”, oltre naturalmente a satelliti e intelligenze artificiali. Anzi proprio i satelliti e le intelligenze artificiali rendono possibile questa suggestione, che oltre a essere nuova potrebbe essere anche molto innovativa.