MINESTRA MARITATA IN 5 RACCONTI (SECONDA PARTE)

Esiste una certa “vulgata” intorno a un’origine spagnola della Minestra maritata che troverebbe nella Olla Potrida una matrice originaria, portata in Campania dai Viceré spagnoli. Andando alla “fonti”, non è francamente facile trovare questo legame.

Se consideriamo i manuali di cucina spagnoli che potrebbero avere influenzato la creazione della minestra maritata nel periodo del dominio spagnolo su Napoli, non troviamo traccia di importazione della Olla Potrida. Nel manuale di Ruperto da Nola, cuoco campano-catalano di Ferrante d’Aragona, non troviamo niente di simile né alla Minestra maritata né alla Olla Potrida, la cui letterale traduzione è “Pentola Marcia” ma il cui effettivo significato è quello di mescolanza, minestrone. La Olla Potrida la troviamo descritta nella sua sproporzionata opulenza nel ricettario “Arte de cozina” di Diego Granado, cuoco del Re di Spagna Filippo II, pubblicato nel 1599. La lettura della ricetta non può non impressionarci:

PER FARE UNA OLLA POTRIDA.

Prendi due libbre (920 grammi) di gola di maiale salata, 4 libbre (quasi 2 kg) di coscia dissalata, due musi, due orecchie e 4 zampe di maiale divise appena raccolte, 4 libbre (2 kg) di cinghiale con trippa fresca, 2 libbre (920 grammi) di buone salsicce, pulire il tutto, cuocere con acqua senza sale: in un altro paiolo di rame cuocere anche con acqua e sale 6 libbre (2 kg e 750 gr.) di montone e 6 libbre di rene di vitello e 6 libbre (2 kg e 750 gr.) di vacca grassa, 2 capponi, 2 galline, 4 piccioni grassi fatti in casa e tutte le cose dette che sono state cotte per prime tirarle prima fuori dal brodo, spezzettarle e conservarle in un vaso di terracotta. Con il brodo della suddetta carne e in un altro vaso di terracotta o di rame, cuocere due quarti di lepre tagliati a pezzi, tre pernici, due fagiani, due grosse gru selvatiche e fresche, venti tordi, venti quaglie e tre francolini, ed essendo tutto cotto, mescolare i suddetti brodi e filtrare col setaccio, avvertendo che non siano troppo salati. Aggiungere i ceci bianchi e neri che sono stati ammollati, le teste d’aglio intere, le cipolle tagliate, le castagne sbucciate, i fagioli e fagioli lessi, e fare cuocere il tutto insieme al brodo e quando questi legumi saranno quasi cotti, mettere la verza, il cavolo cappuccio e le rape e farcire con rigaglie e salsicce e quando il tutto sarà disfatto, amalgamare il tutto e incorporare, assaggiate spesso per via del sale e aggiungere un po’ di pepe e cannella aggiustate di sale e e poi tenete piatti e grandi ciotole e si pongano le diverse parti di tutta questa composizione nei piatti senza brodo e prendere da tutti gli uccelli già divisi in quattro quarti e le carni grasse e le salate, tagliate a fettine e mettete i piccoli uccelli interi, e distribuite in modo uniforme nei piatti sopra la composizione sopra di questa si ponga l’altra composizione, quella del ripieno tagliato e in questo modo ci saranno tre ripiani e si metta un cucchiaio del brodo più grasso e si metta sopra a coprire con un altro piatto, lasciate mezz’ora in un luogo caldo, e infine servite ben caldo con spezie dolci. Gli uccelli possono essere arrostiti dopo averli bolliti.

Abbiamo una spaventosa quantità di carni, un incredibile numero di capponi, galline e piccioni e poi cacciagione dalle lepri ai fagiani, dalle gru agli uccelletti. L’accompagnamento delle carni è affidato a ceci e fagioli di diverso colore (si tratta di fagioli del nuovo Mondo), unitamente alle castagne. A un certo punto della ricetta appaiono alcune verdure come verza, cavolo cappuccio e rape, che vengono disfatte nel brodo. Nella sua semplificazione, nel tempo, la Olla Potrida seicentesca si è trasformata in diversi tipi di minestrone caratterizzati dalla presenza di carni di maiale, o di altre carni come vitello e pollo, ma sempre dalla presenza dei fagioli, e talvolta dalla verza.

Nel suo eventuale trasferimento nel Regno di Napoli la Olla Potrida Spagnola, avrebbe subito un processo di semplificazione delle carni, la scomparsa dei legumi, e una riduzione del ruolo della carne in favore delle verdure. Tutto questo già in pochi anni, se alla fine del XVI secolo già la Minestra Maritata era un simbolo della cucina Napoletana. Nel 1628 Giulio Cesare Cortese pubblica il poemetto ”Il Cerriglio incantato”, ambientato nella famosa osteria napoletana del Cerriglio e descrive la schiumatura della minestra maritata. Nello stesso anno, Bartolomeo Zito, detto il Tardacino, cura le annotazioni alla pubblicazione di un altro poema del Cortese: La Vaiasseide. Qui troviamo una ricetta della Nnobbele Pignate Maritate.

Pegnato mmaretato se dice a Napole chillo che se mmarita co sta dote: se piglia nu pegnato granne e dinto se nce mette no buono piezzo de carne de jenco, grassa (bovina), capone ‘mpastato, gallina casereccia; saucecciune de la Costa; na fella de verrinia (vulva di scrofa); quattro cape de saucicce cervellate; no piezzo de caso nostrano; osso mastro (ossobuco), spezie e po cotte che songo tutte ste cose, se nce mette na bella torzata de foglia, le cimme cimme, e se lassano vollere soave soave: po lassale arreposare no poco, e bì che magne!”.

Subito dopo la ricetta l’autore fa una citazione per noi preziosa che segnala la sostanziale differenza tra Minestra Maritata e Olla Potrida. Parla di un attore comico che dichiarava, probabilmente in una scena teatrale, (di cui vi abbiamo proposto una ricostruzione all’inizio di quest’articolo) che ai nostri tempi Ercole non avrebbe portato le Colonne ai confini dell’Oceano, ma sarebbe andato in giro mostrando con la mano destra il Pignato Maritato Napoletano e con la sinistra la Olla Potrida Spagnola.

A conferma dell’originalità napoletana della Minestra Maritata, ci viene in soccorso Giovan Battista Del Tufo, nobile Napoletano, che, nel 1588, decide di comporre una descrizione delle bellezze di Napoli in versi. Tra giardini e castelli, monumenti e mercati, l’autore dedica parte della sua guida alle eccellenze culinarie della città e tra queste descrive le qualità della Minestra Maritata. Del Tufo racconta il piatto nella sua versione “nobiliare”, dove accanto ai “torzi”, non a caso primo ingrediente citato, aggiunge ossobuco e carne. così apre la ricetta in versi:

Deh, se provaste mai, Donne mie care

Certo altro buon mangiare

Che noi con studio assai lo solem fare

D’una dolce pignata

D’un pezzo riposata

Dopoi che è cucinata

Detta a Napol, tra noi, la maritata,

Fatta di torzi, d’ossa mastre e carne,

lascereste faggian, pernici e starne;

Si conferma che il piatto richiede attenzione (con studio lo solem fare), e riposo dopo essere stato cucinato. Ma proviamo a scoprire in questo filmato l’opera di Del Tufo e la più antica ricetta della Minestra Maritata.


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