D’OSSIMORO SI MUORE

di Beppe Attene

La chiamiamo, con orgoglio e riconoscenza, “democrazia rappresentativa” quasi sempre senza mettere a fuoco la contraddizione che l’espressione contiene in sé.

E quando, come talvolta pure capita, sembra che qualcuno se ne renda conto… le cose ancora peggiorano.

“Democrazia”. L’etimologia è impietosa e si chiude su due assoluti concetti: Comando e Popolo.

Qualunque decisione di ordine generale dovrebbe essere assunta collettivamente da una entità che viene definita (e si riconosce) come Popolo.

L’esercizio del Potere viene di conseguenza affidato a una collettività chiamata Popolo, che si determina sulla base della collocazione nei territori, della lingua, della cultura e della storia.

Tutto molto semplice e chiaro. Si pensa e si sogna una democrazia ateniese in cui il concetto di demos era molto chiaro e non doveva essere una realtà molto allargata.

“Rappresentanza”. Implica il concetto opposto. Significa che qualcuno esercita un ruolo o un potere a nome e in nome di un altro.

La parola non dice nulla sulle modalità del trasferimento. Putin ritiene sicuramente di essere il rappresentante delle aspirazioni e delle volontà del popolo russo.

E, nella pratica, ciò è vero, che ci piaccia o no.

Se poi esse si scontrano con quelle del popolo ucraino, la guerra sembra il metodo non per determinare chi ha ragione ma chi è più forte.

La contraddizione non è tuttavia insanabile.

È stato correttamente scritto che “La democrazia consiste nel lasciar definire diverse versioni dell’interesse generale, che la sovranità popolare fa accedere alternativamente alla rappresentanza”.

Quindi la chiave per uscire dalla strettoia linguistica è che il sistema politico è chiamato nel suo insieme a elaborare diverse letture delle cose da fare nell’interesse generale e quando una di queste versioni vince le elezioni e inizia a governare, lo fa rappresentando la volontà popolare.

Sin qui la questione teorica e terminologica.

Ma cosa succede quando, poniamo, le opzioni presentate al popolo per la valutazione elettorale non sono più di carattere generale ma sono relative a bisogni di carattere individuale o. al massimo, di piccoli gruppi in piccole situazioni?

E quando, sempre per esempio sia chiaro, quelle opzioni particolari vengono usate per la auto definizione delle forze politiche e per la contrapposizione con gli avversari?

Il problema è sempre esistito, ma veniva generalmente riassorbito nella dinamica sinistra vs destra.

Due opzioni generali, decisamente contrapposte, costruivano attraverso approfondimenti congressuali e non, due versioni dell’interesse generale.

Quella di sinistra improntata a sostenere prioritariamente, nell’interesse generale, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle cosiddette classi subalterne o fasce deboli della società italiana.

Quella di destra dedita a rappresentare, sempre in vista dell’interesse generale, un’altra parte della nostra società, legittimamente più legata a valori tradizionali e fortemente dubbiosa su cambiamenti economico sociali considerati pericolosi e devianti.

Tra le due opzioni si configurava, quasi automaticamente, una opzione di centro che non per caso ha governato l’Italia per lunghi anni alleandosi ora con l’una o con l’altra parte.

Le questioni più particolari, quelle non  rientranti nel concetto di bisogni generali, venivano accuratamente sciolte nel più generale quadro che le parti componevano.

Spesso con dubbi e sofferenze. Si pensi alla difficoltà del PCI di fronte al referendum sul divorzio. Sapevano benissimo quei dirigenti che la loro base elettorale era contraria o perlomeno indifferente a quello che significava l’approvazione del divorzio in Italia.

Li aiutò a schierarsi dalla parte giusta il disporsi dall’altra degli avversari sul terreno generale.

In questo quadro giunse il sogno (o delirio?) di Grillo e Casaleggio.

Essi ipotizzarono una nuova democrazia non rappresentativa ma diretta. Ogni cittadino (scompariva il concetto di popolo) avrebbe potuto votare direttamente su ogni cosa.

Immaginavano Socrate e i suoi allievi muniti di cellulare che discettavano e decidevano in una perpetua assemblea democratica, senza rappresentanti professionali.

Sappiamo come è andata a finire e non è il caso di parlarne ancora.

Oggi, però, nessuno si presenta più al popolo italiano offrendo una analisi della realtà e una proposta sul come intervenirvi che sia nell’interesse generale.

È morta la dialettica sinistra vs destra per sparizione dei due protagonisti, e neanche il populismo sta troppo bene.

Il dialogo e le proposte politiche non sono rivolte alla collettività, ma ai singoli individui.

Gli obiettivi vengono scelti non in base al loro valore strategico ma in seguito alla considerazione di quanti like possono portare oggi.

Due cose, però, colpiscono al cuore il vecchio socialista (cioè io). 

La prima è che non si possono spacciare i diritti individuali per valori di ordine collettivo.

È giustissimo difendere il diritto di ciascuno a scegliere la propria identità sessuale ed evitare e respingere le discriminazioni.

Ma è una lotta per un diritto personale, non per un valore generale.

Come sarebbe giusta, anche se nessuno la fa, una lotta per il diritto a una libera morte. Ma comunque anche l’eutanasia sarebbe un diritto individuale e non un obiettivo complessivo.

Tale sarebbe semmai quello relativo alla libertà nella società civile.

È difficile spiegarlo in un contesto in cui la cosiddetta sinistra risponde allo sfratto del Leoncavallo a Milano con la simultanea richiesta del medesimo atto ai danni del Casa Pound a Roma.

E, di conseguenza, la cosiddetta destra si arrampica al fumo della pipa per difendere i propri camerati mentre inneggia allo sfratto meneghino.

Tutto strumentale, tutto fittizio.

E, per finire, basterebbe forse la crescita costante dell’astensionismo elettorale a segnalare che il Popolo, quello vero con la maiuscola, ha di fatto già tolto a questa classe dirigente il mandato di rappresentanza.


Commenti

2 risposte a “D’OSSIMORO SI MUORE”

  1. Avatar Giuliana Gamba
    Giuliana Gamba

    La democrazia, come la viviamo noi “occidentali” dimostra una crisi profonda, non si adatta alla società contemporanea.Modelli pensati nel dopoguerra, che hanno svolto un ruolo fondamentale per lo sviluppo economico e sociale del nostro paese , della Europa, si sono svuotati di significato.Hanno perso il potere di identificarsi in un futuro condiviso e migliore.

  2. Avatar Claudio
    Claudio

    Verissimo, sempre più persone prendono coscienza e non vanno più a votare. È un chiaro segnale di chi non crede più in questi politici, di chi si rende conto che le vere decisioni vengono prese dal sistema economico più che da quello politico. Sistema economico che spesso è esterno al nostro paese.