Franco Raimondo Barbabella
Che peccato! La storia, questo strano animale dalla forma non definibile, pieno di ammaccature e di buchi ma capace anche di guizzi improvvisi, prevede che nel suo corso si presenti spesso l’imprevedibile e ancora più spesso l’imprevisto. Perciò accade che se quando arriva l’occasione non la sai cogliere è bene che saluti la storia e ti rassegni al massimo alla lotta per la sopravvivenza e al rimpianto. Sta accadendo proprio adesso al PD.
L’occasione per prendere l’onda e cavalcarla si è presentata a Elly Schlein quando si è capito senza possibili equivoci che le dichiarazioni del presidente Trump in campagna elettorale si stavano trasformando in posizioni politiche vincolanti e in azioni con effetti dirompenti per il quadro internazionale. Più che all’offensiva sui dazi, tutta ancora da capire per portata e significato, il riferimento è alla questione Ucraina, rispetto alla quale Trump ha deciso di procedere come un elefante in cristalleria.
Non c’è bisogno di ricordare il crescendo delle trumpate: le minacce da bullo, la sfrontata richiesta da nuovo colonizzatore di sfruttare il sottosuolo ucraino senza limiti di tempo trasformando unilateralmente gli aiuti in prestiti da onorare per una diecina di generazioni, l’agguato alla Casa Bianca e l’umiliazione al presidente Zelensky. Con sullo sfondo la trattativa diretta Trump-Putin con schiaffi in faccia a Zelensky e palate all’Europa. Fino alla decisione di sospendere gli aiuti militari e l’assistenza satellitare e dell’intelligence all’esercito ucraino, un invito a Putin a prendersi territorio e continuare le indiscriminate distruzioni, come appunto sta facendo, sanzione esplicita di un accordo di spartizione territoriale e di influenze geostrategiche contro ogni principio e ogni regola.
Ed ecco allora l’Europa messa sotto scacco e costretta a cambiare velocemente visione come non era ancora accaduto con l’occupazione della Crimea nel 2014. Così abbiamo finalmente visto le reazioni e le iniziative dei leader europei fino al Consiglio di giovedì 6 marso con la decisione di stanziamenti massicci chiamati sinteticamente riarmo e finalizzati non solo ad un necessario potenziamento delle dotazioni operative trascurate da troppi anni ma all’organizzazione di un sistema di difesa capace di garantire gli europei dopo l’abbandono americano.
Un quadro politico complesso per chiunque, non autostrade da percorrere ma solo vie strette e tortuose. Eppure alcuni leader europei hanno reagito e finalmente ora si distinguono sia per consapevolezza del momento che sconvolge il mondo e mette a rischio l’Europa e i singoli paesi, sia per coraggio di decisioni che impegnano i governi e creano le condizioni, come è accaduto in altri momenti difficili, di far fare un passo avanti all’unità. Ma soprattutto fanno pensare ad un’Europa che sa di doversi assumere le sue responsabilità di fronte all’aggressione attuale e futura della Russia senza l’ombrello americano. È finito il secolo americano.
Ne sono protagonisti il leader CDU/CSU e futuro cancelliere tedesco Friedrich Merz, Il presidente francese Emmanuel Macron, il primo ministro inglese Keir Starmer, il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez, il presidente polacco Donald Tusk, la stessa Ursula von der Leyen. E Giorgia Meloni? Anche la posizione di Meloni è di grande interesse, perché partita con la retorica del rapporto privilegiato con Trump e Musk, che aveva fatto subito pensare ai soliti cortigiani servili e alla folta selva massmediatica di poter godere come Italia di un trattamento quanto meno più vantaggioso di altri, si è rivelata capace di allinearsi al nuovo clima europeista che avanza per necessità votando con coraggio il piano di riarmo solo con qualche distinguo tanto per dire anche io ci sono.
Ecco, in questo quadro è passato il “Momento PD” di cui Elly Schlein non si è accorta. Di che cosa si tratta è facile dire ma perché Elly non se n’è accorta non lo è per niente. Vediamo allora intanto che cos’è il “Momento PD”. Fatte le dovute proporzioni e tenendo conto delle differenze di situazione e di personaggi protagonisti, si può dire che è cosa analoga a quella che Giuliano Ferrara in un articolo di venerdì scorso ha chiamato “Momento Churchill”, la decisione dello statista inglese di rovesciare lo sciagurato appeasement di Monaco.
Ferrara lo descrive così: “Momento Churchill … quando quel vecchio aristocratico, politico e uomo pubblico controverso e diabolico, riuscì ad entrare a Downing Street al tempo della guerra di Hitler (1940), rovesciò l’appeasement della Conferenza di Monaco che circa un paio d’anni prima aveva svenduto un pezzo d’Europa al Terzo Reich in cambio della ‘pace per il nostro tempo’, organizzò la resistenza eroica e il contrattacco di cielo terra e mare fin quando alla fine arrivarono i nostri, cioè gli americani di Roosvelt, di Eisenhower, di Patton e della Carta Atlantica”.
Le condizioni oggettive, le tensioni politiche, il clima mediatico, insomma tutto avrebbe potuto rendere possibile a Elly Schlein di imitare Churchill e rovesciare il tavolo politico italiano, con i commensali impegnati, come nei migliori momenti di ordinaria miseria, in arzigogoli dialettici senza responsabilità, lasciando così al Presidente Mattarella il compito di rappresentare (e lo fa da par suo) la linea robusta della dignità nazionale e a Giorgia Meloni la funzione di non perdere il contatto con la realtà effettiva ed evitare che l’Italia debba pagare un prezzo troppo alto per le sue ambiguità e venga messa ai margini dei giochi che contano per oggi e per domani.
Elly Schlein avrebbe potuto proporre alla presidente del Consiglio un accordo di unità nazionale per affrontare l’emergenza europea con una proposta semplice ma positivamente spiazzante: adesione al piano di massicci finanziamenti per il riarmo dell’UE (cambiamogli pure il nome!), senza di che ogni discorso diventerebbe vaniloquio, e finalizzazione della quota di debito comune per la costruzione dell’esercito europeo e di un sistema di difesa e sicurezza comune passato da opzione ad assoluta e urgente necessità. Questo, più che aiutare Meloni, probabilmente l’avrebbe messa in imbarazzo e costretta ad uscire dalle strette di un’alternativa Trump/Europa, problema comunque secondario rispetto ad altre conseguenze sicuramente di maggior rilievo.
Avrebbe affermato la posizione unitaria dell’Italia in sintonia con l’Europa a fianco dell’Ucraina secondo il pensiero e l’impegno del presidente Mattarella. Avrebbe finalmente dato un verso alla politica estera ed interna del PD come forza nazionale con chiara visione europeista pronta ad essere realmente alternativa ad uno schieramento di centrodestra contraddittorio e pesantemente condizionato dalle pericolose posizioni ultrareazionarie, esplicitamente putiniane e trumpiane, di Matteo Salvini. Avrebbe messo uno stop all’allucinante dibattito che sta trasformando la manifestazione promossa da Michele Serra e da Repubblica inizialmente a sostegno di un’Europa a fianco dell’Ucraina in una cosa completamente diversa, un coacervo delle pulsioni pacifiste di fatto antiucraine ed antieuropee, orientate al disarmo e alla resa a Putin come fin dall’inizio volevano i gruppi del pacifismo italiano.
Ma Schlein non ha colto il “Momento PD” che le ha offerto la storia. Forse per poca dimestichezza con la storia? Non è pensabile. Forse perché intimorita dalla saccenza di intellettuali diventati influencer, che usano le alte frequentazioni del pensiero per sparare sentenze che fanno sbandare le normali intelligenze, come ad esempio Di Cesare e Cacciari? Non è pensabile, magari se non altro perché affiancati ormai, come dice Vitiello, dagli altri eterni liceali in assemblea permanente, da Di Battista a D’Alema e da ultimo dallo stesso Serra, da aggiungere ora tutti al furbo sindacalista anni settanta Maurizio Landini. No, non è pensabile. D’altronde, quale credibilità può avere uno che, indovinate chi, contro tutte le evidenze continua a parlare di guerra civile tra Russia e Ucraina?
Schlein non ha colto il “Momento PD” semplicemente perché ha trasformato quella che tempo addietro era una furbata scambiata per strategia, il cosiddetto campo largo con Giuseppe Conte e AVS, in una gabbia dalla quale è difficile uscire, rafforzata peraltro anche dalle tattiche mixiane di Renzi. E così Schlein annaspa, il dibattito nel PD si intorbidisce, la politica italiana appare incerta e divisa come effettivamente è pur di fronte agli sconvolgimenti epocali che dovrebbero invece costringere tutti a ripensare strategie e posizioni operative. Peccato. Non so se questo equivarrà al “requiescat” del PD, ma certo è un brutto segno.
Il bipolarismo populista conferma dunque ancora una volta di essere non la soluzione del problema ma appunto il problema da risolvere. Qualcuno se ne è accorto da un pezzo, qualcun altro se ne sta accorgendo, altri ancora prendono iniziative per il suo superamento. La speranza non muore. Continuiamo a guardare avanti.
Commenti
Una risposta a “PASSA IL “MOMENTO PD” MA SCHLEIN NON SE NE ACCORGE”
Caro Franco una analisi che coglie appieno la crisi della sinistra, questo strano coacervo di estremismo radicalismo e populismo , fa capire perche ha vinto Giorgia, e la necessita’ che in Italia risorga una nuova stagione riformista socialista e democratica con un ritorno al proporzionale .