LA LUNGA STRADA DELLA VERITÀ

di Giampaolo Sodano

Divenuto segretario del PSI nel 1976 e vicepresidente dell’Unione Internazionale Socialista, l’anno successivo, Craxi schierò i socialisti italiani in una posizione nettamente libertaria, nel solco del pensiero liberalsocialista di Carlo Rosselli, e al tempo stesso sostenne in tutti i modi i movimenti politici europei che avevano gli stessi obiettivi dal Portogallo di Soares alla Grecia di Papandreu. Questo significò due cose: il ritorno della presenza dei socialisti italiani nel mondo e in Patria un duro confronto con il Partito Comunista, una strategia che per maturare avrebbe avuto bisogno di più tempo di quanto ne ebbe.

L’alleanza con la DC nei governi di centro-sinistra portò Craxi alla Presidenza del Consiglio ma non riformò il sistema, purtroppo il disegno della Grande Riforma non trovò attuazione. La dura contrapposizione dei dirigenti comunisti che giudicavano il leader socialista un “gangster” (definizione del compagno Tatò, segretario di Enrico Berlinguer) spinse Craxi, seppure in un contesto internazionale sconvolto dalla caduta del Muro di Berlino, a proseguire nell’accordo con la Democrazia Cristiana malgrado la inaffidabilità del gruppo dirigente che culmina con la elezione a Capo dello Stato di Oscar Luigi Scalfaro.

Siamo alla fine degli anni ’80, la crisi politica mostra i segni di una crisi di sistema e la magistratura ne approfitta per rivendicare maggior potere colpendo i partiti di governo in uno dei suoi punti più sensibili, il finanziamento illecito ai partiti. Era una vecchia storia: la Democrazia Cristiana lo aveva a suo tempo risolto con il sostegno finanziario degli industriali italiani e degli Stati Uniti in funzione della lotta al comunismo, il Partito Comunista con i rubli provenienti dall’Unione Sovietica mutati in lire con la compiacente tolleranza delle autorità italiane o attraverso società che curavano il commercio internazionale tra Italia e Russia. Il PSI finché durò l’alleanza con il PCI e cioè negli anni successivi alla fine della Seconda guerra mondiale riceveva attraverso la Jugoslavia aiuti finanziari che divennero, con la nuova stagione politica degli anni ’60, aiuti del mondo industriale.

La questione quindi non era quella che i socialisti fossero più implicati degli altri nella vicenda del finanziamento illecito, la verità è il diverso e maggiore rilievo dato dalla stampa e dalle tv di proprietà dei grandi gruppi industriali privati, e talora anche pubblici, al suo coinvolgimento. Il fatto è che gli imprenditori che avevano per decenni versato somme cospicue nelle casse della DC e del Partito Comunista, per non parlare dei partiti minori, decisero di sbarazzarsi del PSI: meglio tornare ai vecchi equilibri che avevano garantito loro larghi e generosi profitti.

Quando prese l’avvio l’inchiesta, subito denominata dai giornali “mani pulite”, Craxi dimostrò di aver compreso che la procura di Milano aveva nel mirino il Partito Socialista (e i partiti di governo) e contava sul sostegno delle forze antisistema come la Lega Nord, che sventolava il cappio alla Camera dei Deputati, dell’MSI con il deputato missino Teodoro Buontempo che distribuiva monetine per la sceneggiata del Raphael e soprattutto dei comunisti che avevano una gran voglia di governare.
Tuttavia la fine della Prima Repubblica non fu determinata dai magistrati di Milano. La vera causa fu il perdurare di un assetto politico istituzionale nato nei primi anni del dopoguerra e rimasto sostanzialmente immutato fino alla caduta del muro di Berlino. In quel contesto la battaglia riformista dei socialisti fu perdente.

Lo scontro tra i due fronti contrapposti, da una parte Craxi dall’altra i cinque cavalieri dell’Apocalisse, Borrelli, Di Pietro, Davigo, Greco e Colombo, si chiuse con cinque vincitori e un perdente ma quei vincitori hanno potuto solo brevemente gioire della vittoria prima di diventare a loro volta cinque perdenti. Il procuratore della repubblica Borrelli è morto dando segni di pentimento e dei quattro PM di tangentopoli non si ha più notizia o meglio si ha notizia di un tale Di Pietro entrato nell’anonimato quando non è stato più utile alla causa, un altro è finito condannato dai suoi colleghi di un tribunale italiano, gli altri due sono in pensione.

All’alba dei 25 anni dalla sua scomparsa Craxi, che allora fu il perdente, oggi ha vinto.
La verità è che al posto di una vera classe dirigente sul palcoscenico della cosiddetta Seconda Repubblica sono rimasti soltanto “i nani e le ballerine” (copyright di Rino Formica) mentre la democrazia soffre tutti i mali di una comunità di cittadini che rifiuta la partecipazione e di una magistratura che “sciopera” contro il potere legislativo che tenta di ristabilire un corretto equilibrio dei poteri dello Stato. Annota un attento osservatore della politica: “Dall’immunità parlamentare al finanziamento pubblico: trent’anni dopo la fine della Prima Repubblica si avverte (anche a sinistra) il desiderio di tornare alla “normalità costituzionale”. (francesco verderami, corriere della sera 18 gennaio 2025)

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione del 25° anniversario della morte di Bettino Craxi, ha rilasciato la seguente dichiarazione: «Bettino Craxi è stata una personalità rilevante degli ultimi decenni del Novecento italiano. Parlamentare italiano ed europeo, Segretario del Partito Socialista Italiano per oltre un quindicennio, Presidente del Consiglio dei Ministri, ha impresso un segno negli indirizzi del Paese in una stagione caratterizzata da grandi trasformazioni sociali e da profondi mutamenti negli equilibri globali. Interprete autorevole della nostra politica estera europea, atlantica, mediterranea sostenitrice dello sviluppo dei Paesi più svantaggiati, aperta al multilateralismo, lungo queste direttrici ha affrontato passaggi difficili, rafforzando identità e valore della posizione italiana.

Un prestigio che poi gli venne personalmente riconosciuto con incarichi di rilievo alle Nazioni Unite. Le politiche e le riforme di cui si fece interprete sul piano interno determinarono cambiamenti che incisero sulla finanza pubblica, sulla competitività del Paese, sugli equilibri e le prospettive di governo. Una spiccata determinazione caratterizzò le sue battaglie politiche, sia nel confronto tra partiti, sia in campo sociale e sindacale, catalizzando sentimenti contrastanti nel Paese. Raccolse un consenso ampio quando riuscì a portare a conclusione il processo di revisione del Concordato tra Stato e Chiesa cattolica, sul cui inserimento in Costituzione i socialisti si erano espressi, all’epoca della Costituente, in termini negativi.

La crisi che investì il sistema politico, minando la sua credibilità, chiuse con indagini e processi una stagione, provocando un ricambio radicale nella rappresentanza. Vicende giudiziarie che caratterizzarono quel burrascoso passaggio della vita della Repubblica. Nel venticinquesimo anniversario della scomparsa del leader socialista, desidero esprimere sentimenti di vicinanza ai familiari e a quanti con lui hanno condiviso impegno politico e personale amicizia».