UNA MODESTA PROPOSTA

di Giampaolo Sodano

Qualunque opinione si abbia sulla attuale situazione politica ed economica italiana, non esistono dubbi sulla esistenza di una crisi profonda del rapporto tra cittadini e istituzioni, tra elettori e partiti, che ha origini lontane nel tempo.

Tra i molti dubbi una cosa sembra certa: la crisi ha travolto i partiti politici che hanno dominato la scena fino alla fine del secolo scorso, e quelli attuali spesso con incerti contorni e con altrettanti incerti programmi. La loro credibilità tra i cittadini è crollata, come dimostra il crescente calo dei votanti alle elezioni e la loro funzione di mediazione degli interessi presenti nella comunità nazionale e in quelli locali è di fatto venuta meno, così come la rappresentanza di quegli interessi nelle istituzioni e nel Parlamento, in primo luogo, complice una legge elettorale maggioritaria e con la esclusione dei voti di preferenza che non ha certo favorito il rapporto elettori-eletti.

VERRA’ IL GIORNO IN CUI, I LEADER DEI PARTITI, FINITA LA CAMPAGNA ELETTORALE E CONOSCIUTI I RISULTATI PER IL LORO PARTITO E I LORO CANDIDATI, SMETTANO DI FARE PROPAGANDA, E SI ABBANDONINO A QUALCHE RIFLESSIONE INTELLIGENTE, MA SOPRATTUTTO SOFFERMINO LA LORO ATTENZIONE SU UNA MALATTIA DELLA DEMOCRAZIA CHE SE NON CURATA IN TEMPO PUO’ ESSERE MORTALE: ALLE ULTIME CONSULTAZIONI POLITICHE POCO PIU DELLA META’ DEGLI ELETTORI SONO ANDATI ALLE URNE E ALLE RECENTI REGIONALI POCO MENO. INSOMMA IL 50% DEI CITTADINI NON VANNO A VOTARE!

Verrà il giorno in cui qualcuno si occuperà seriamente di questo grave problema? Fino a quando questa situazione non subirà modifiche, per i cittadini o per i gruppi sociali portatori di legittimi interessi, sarà difficile trovare uno strumento per prospettare quegli interessi in Parlamento in modo che, se positivamente valutati, possano trovare soddisfacimento in norme di leggi.

È un problema non secondario che forse merita una riflessione per individuare una possibile soluzione senza stravolgere il nostro sistema di Democrazia rappresentativa.

Non è un mistero per gli addetti ai lavori che più volte la Camera dei Deputati è stata chiamata a pronunciarsi su alcune modifiche al suo regolamento per consentire una corsia preferenziale per l’esame dei disegni di legge governativi, un modo per tagliare alla radice quelle lungaggini delle procedure parlamentari che giustificano il frequentissimo ricorso ai decreti-legge.

Così come previsto, lo spazio delle nuove leggi è occupato quasi per l’intero da quelle di iniziativa governativa, restringendo quello della iniziativa legislativa parlamentare. Di fatto il Governo è diventato una sorta di Comitato direttivo del Parlamento e non più il suo comitato esecutivo, come è stato negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso e  come talvolta è accaduto negli anni successivi: oggi è a tratti l’una e l’altra cosa e la mancata scelta di una soluzione ben definita nuoce non poco alla confusione dei linguaggi della vita politica e istituzionale.

Che i regolamenti parlamentari siano uno strumento importante per il corretto funzionamento del sistema politico è una realtà poco conosciuta: si tratta di un campo riservato agli specialisti che talora si esercitano in operazioni ai limiti dell’impossibile, come ad esempio modificare attraverso il regolamento dell’Assemblea talune parti della Costituzione o quantomeno svuotarle di contenuto… Forse chi lo ha fatto ha esagerato ma ha colto nel segno quanto alla importanza dei regolamenti delle due Camere nel sistema: è da considerare a questo proposito che è probabile che la data della nascita in Italia di un sistema politico bipolare debba essere fatta risalire all’approvazione dei regolamenti delle due Camere del 1971, che sancirono per la prima volta lo “Statuto” dell’opposizione parlamentare, presupposto di qualunque sistema bipolare che richiede la garanzia dell’opposizione contro possibili prevaricazioni della maggioranza.

Non è dunque fuori luogo ritenere che una nuova riforma del regolamento della Camera dei Deputati possa costituire un’utile occasione per avviare un processo teso a dare effettività all’Articolo 71 della Costituzione per la parte che attribuisce il diritto di iniziativa legislativa anche a 50.000 elettori secondo le norme stabilite dalla legge (successivamente emanata).

Nei quasi ottanta anni di vita della Costituzione Repubblicana sono state presentate molte proposte di legge di iniziativa popolare ma solo in alcuni limitatissimi casi esse sono state esaminate.

Una ragione certamente c’è: non di rado le proposte di legge di iniziativa popolare tendono a rivendicazioni di gruppi ristretti di cittadini o ad affermare principi ideologici di esigue minoranze tentando di dare ad essi una valenza generale. Non è dunque possibile che esse divengano leggi, dovendo la legge per definizione tendere a perseguire l’interesse generale (o almeno quello definito tale).

L’iniziativa legislativa popolare, in altri termini, sfugge alla mediazione degli interessi che è operata (o quanto meno dovrebbe esserlo) dalla politica, a garanzia della loro coerenza con un programma politico di carattere generale evitando affermazioni di interessi particolaristici (per non dire personalistici) secondo un costume che negli anni più recenti si è espanso (purtroppo) a macchia d’olio. Perché dunque non tentare quantomeno di contrastare questo fenomeno incentivando l’iniziativa legislativa popolare con lo stabilire per essa la stessa corsia preferenziale valevole per i disegni di legge governativi? Si tratterebbe naturalmente di adottare talune cautele: ad esempio potrebbe stabilirsi un termine per l’esame della proposta da parte della Commissione per la legislazione, composta alla Camera dei Deputati da quattro Deputati di maggioranza e quattro di opposizione. Al termine dell’esame la Commissione potrebbe esprimere un pare sulla ammissione alla corsia preferenziale: qualora il parere fosse negativo, la decisione, su richiesta di un numero qualificato di Deputati, potrebbe essere rimessa all’Assemblea che deciderebbe a maggioranza assoluta (metà più uno dei suoi componenti).

Potrebbe essere una delle tante strade per colmare il fossato tra istituzioni e cittadini, per dare voce a coloro che oggi difficilmente riescono ad averla, non di rado ricorrendo alle manifestazioni di piazza più o meno spontanee. Quanto poi alla obiezione che potenziare l’iniziativa legislativa popolare significherebbe restringere lo spazio di quella parlamentare, è facile replicare che ormai quest’ultima si esprime di fatto solo con emendamenti o con proposte di legge che in molti casi hanno ad oggetto problemi interessanti, quanto può essere quello del numero dei buchi in una fetta di groviera.

“Libertà è partecipazione” cantava Giorgio Gaber: se fosse vivo lo si potrebbe invitare ai dibattiti sulla riforma dei regolamenti delle Camere del Parlamento.