di Andrea Attilio Grilli
Perché Israele non ascolta l’Occidente?
Preferisco le vostre condanne alle vostre condoglianze (Golda Meir)
Da decenni la politica estera di Israele è al centro di un dibattito acceso: il Paese sembra spesso prendere decisioni in contrasto con le posizioni dei suoi tradizionali alleati occidentali (Stati Uniti, Unione Europea, Regno Unito). Questo fenomeno non è dovuto a una semplice “ribellione” contro l’Occidente, ma nasce da una combinazione di fattori storici, geopolitici, culturali, di sicurezza e di fiducia che modellano la percezione e le scelte di Gerusalemme.
In particolare dopo l’attacco di Hamas e dell’Iran è sempre più evidente la distanza che si sta scavando tra Israele e gli alleati occidentali.
Nei decenni precedenti anche se Israele reagiva agli attacchi di Hamas o di Hezbollah, a un certo punto si fermava, sia per una reazione occidentale e internazionale, di solito per cercare una soluzione, sia per evitare di creare rotture proprio con gli alleati.
Eppure dopo il 7 ottobre del 2023 Israele ha pianificato e agito cercando di mantenere i rapporti con il super alleato statunitense, ma senza cercare di mantenere i rapporti con l’Europa, ancor meno con le istituzioni internazionali. Per molti versi la storica affermazione di Golda Meir è diventata parte del pensiero strategico, culturale e narrativo del Paese.
Sicurezza nazionale come priorità assoluta
Israele è nato nel 1948 in un territorio circondato da paesi ostili. La guerra d’indipendenza, le successive guerre arabo‑israeliane (1956, 1967, 1973) e gli attacchi terroristici hanno radicato nella società israeliana una percezione di insicurezza e paura. Ogni decisione politica è filtrata attraverso il prisma della sicurezza.
Le minacce reali sono collegate sia all’Iran che ai suoi proxy terroristici:
- Iran: programma nucleare, retorica anti‑israeliana e supporto a gruppi militanti (Hezbollah, Hamas).
- Hezbollah in Libano: capacità missilistica e presenza di truppe iraniane al confine.
- Hamas nella Striscia di Gaza: lancio di razzi, tunnel sotterranei e attacchi suicidi.
Queste minacce spingono Gerusalemme a prendere misure rapide (es. operazioni militari a Gaza, costruzione di barriere di sicurezza) anche quando l’opinione occidentale è contraria.
Le agenzie di sicurezza israeliane (Shin Bet, Mossad, Aman) forniscono valutazioni che spesso differiscono dalle analisi occidentali. Quando le informazioni di intelligence indicano un rischio imminente, il governo tende a dare priorità a queste valutazioni rispetto alle pressioni diplomatiche.
Va detto che probabilmente anche la reazione filo palestinese dell’opinione pubblica occidentale che nega il diritto di esistere a Israele, oggi sia entrata nell’elenco dei pericoli percepiti dagli israeliani. D’altra parte l’impegno e la passione, fino quasi alla violenza, per difendere i palestinesi, senza distinzione tra civili e militari, non è minimamente spesa per gli israeliani.
Questo doppio binario di trattamento delle popolazioni, mina la fiducia che Israele poteva avere verso l’Europa, una delle aree occidentali più impegnata nel doppio binario.
Differenze di valori e di percezione del diritto internazionale
Israele sostiene che molte risoluzioni ONU (es. 242, 338) siano state interpretate in modo restrittivo dagli stati occidentali, limitando la sua capacità di difendersi o di negoziare territori. La percezione di un “bias” nelle istituzioni internazionali alimenta la sfiducia verso le raccomandazioni occidentali. Inoltre alcune agenzie internazionali, tra le quali UNWRA, di fatto assumono solo la posizione palestinese e condannano costantemente Israele sullo schema molto banale di “se sei uno Stato ben organizzato” allora sei cattivo se il tuo avversario si presenta come debole.
Va anche sottolineato che ormai l’ONU e diversi suoi diramazioni sono più spesso guidate da personale di paesi africani e medio orientali palesemente schierati contro Israele.
Inoltre non va dimenticato la serie di fallimenti delle missioni ONU per garantire un cessate il fuoco o la sicurezza degli israeliani. L’Unifil non può certamente considerarsi un successo visto tra gli obiettivi era presente anche il disarmo di Hezbollah, operazione che ha dovuto poi gestire l’IDF e i servizi segreti israeliani. Sottolineando ancora una volta la totale inattività delle strutture internazionali.
Relazioni speciali con gli Stati Uniti vs. divergenze con l’Europa
Gli Stati Uniti sono il principale alleato militare ed economico di Israele. Il sostegno americano (aiuti militari, veto al Consiglio di Sicurezza) offre a Gerusalemme una “carta di credito” diplomatica che riduce la necessità di seguire le linee guida europee. Non fu così subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, si tratta infatti di un rapporto costruito col tempo, grazie sicuramente anche alla forte presenza ebraica negli USA, ma anche alla testimonianza di ogni soldato che rientro dall’Europa al termine della guerra.
L’appoggio si consoliderà anche perché parte degli stati arabi entrano nell’area di influenza sovietica, mentre Israele, soprattutto dopo la pace con l’Egitto, diventa insieme proprio allo stato del Nilo un partner fondamentale. A tutto questo va aggiunto il conflitto con l’Iran che avvicina i due stati.
L’Unione Europea, pur mantenendo legami commerciali e scientifici, critica più apertamente le politiche di insediamento e le operazioni militari a Gaza. Queste critiche sono percepite da Israele come un “doppio standard”, soprattutto quando gli USA rimangono più indulgenti.
Va anche sottolineato che solo gli USA hanno tentato più volte dagli anni novanta di trovare una soluzione, rivalendosi agli israeliani come alleati disposti a mettere in gioco qualsiasi risorsa per garantire la sicurezza dell’alleato. L’Europa ha di fatto sempre considerato Israele responsabile di qualsiasi evento.
Narrative nazionali e antisemitismo europeo
La memoria della Shoàh e delle persecuzioni storiche ha plasmato una narrazione nazionale che enfatizza la vulnerabilità e la necessità di autodifesa. Questa narrazione è rinforzata dai media locali e dalla scuola, creando una coscienza collettiva che privilegia la sicurezza rispetto alle pressioni esterne.
I media israeliani tendono a focalizzarsi sulle minacce esterne e sui successi militari, mentre le critiche occidentali sono spesso presentate come “propaganda” o “antisionismo”. Questo rafforza la percezione di un “mondo ostile” che richiede decisioni autonome.
D’altra parte l’atteggiamento dell’Europa che enfatizza la protezione dei diritti civili dei palestinesi, escludendo il diritto dei cittadini israeliani “di non essere in pericolo”, fino alla totale disattenzione delle vittime del 7 ottobre, compresi i diritti delle donne israeliane, ha costruito una percezione di rifiuto e odio verso Israele e il suo popolo.
Inoltre l’atteggiamento orientato solo a favore dei palestinesi, si confonde sempre di più con l’antisemitismo vista la percezione degli europei che Israele sia uno stato mono etnico e antidemocratico. Nel momento in cui iniziano le campagne contro le operazioni di difesa israeliane, aumentano anche gli attentati e gli incidenti antisemiti, su cose e persone.
Alcuni acuti osservatori e ricercatori hanno messo in evidenza lo stato di paura in cui vive la società israeliana, comunque in uno stato di assedio perenne. Per molti versi questa condizione non viene percepita dagli europei, che proiettano la loro percezione delle dinamiche sociali su un contesto in realtà molto diverso e molto più violento e aggressivo. Costituito anche da regole sociali e antropologiche molto diverse da quelle europee.
…Masada
Israele non “ignora” l’Occidente per capriccio, ma agisce secondo una logica che mette al primo posto la sicurezza nazionale, la sovranità territoriale e la percezione di una minaccia costante.
Infine va ricordato che quando Israele si è fidata dell’Occidente non ha visto i suoi problemi di sicurezza risolti, ma soltanto congelati e spesso di nuovo amplificati come sono stati gli effetti dell’Unifil.
In sintesi fidarsi dell’Occidente per Israele non è opzione sicura, anzi ormai si concretizza in una amplificazione del pericolo. Il sostegno alla causa palestinese di fatto diventa sostegno alla strategia terroristica di Hamas e degli Hezbollah, senza responsabilizzare le scelte degli stati arabi nel dopo guerra e oggi della dirigenza palestinese. Il fatto che la dirigenza israeliana sia l’unica responsabile di qualsiasi evento, si traduce in responsabilizzazione, diretta o indiretta, del popolo israeliano.
Cosa dovrebbe pensare Israele?
Di fronte a secoli di discriminazioni, di odio e sterminio, Israele sceglie l’affermazione totale come Stato e nello stesso tempo si chiude dentro l’antica fortezza di Masada. Questa volta non è circondata, perché i suoi aerei, i carri armati dai nomi biblici e le sue forze speciali possono uscire a dar battaglia quando è necessario.
Probabilmente potremmo definirla “sindrome Masada”, ma questa volta non ci saranno eroi che sceglieranno di condannare se stessi per non darla vinta al nemico.
Questa volta Masada, l’antica fortezza, salverà il suo popolo, lo accoglierà e lo sfamerà.













Commenti
Una risposta a “SINDROME MASADA”
Come al solito l articolo è scritto con uno stile asciutto ed elegante.analisi attenta della condizione psicologica e sociologica del mondo ebraico.