di Beppe Attene
Ovviamente dobbiamo tutti sperare nella effettiva conclusione della battaglia di Gaza e nell’effettivo disarmo dei terroristi, veri e sanguinari oppressori del popolo palestinese.
Ma dobbiamo anche sperare di avere imparato, dalla drammatica lezione, a riconoscere gli errori e le assenze dell’Occidente e dell’Europa in particolare.
Da questo punto di vista la cosiddetta sinistra italiana si è distinta in atteggiamenti e passaggi che, paradossalmente, non le hanno nemmeno giovato elettoralmente.
Di fronte a un improvviso e vasto movimento di massa, che ha visto effettivamente centinaia di migliaia di cittadini scendere in piazza, la nostra cosiddetta sinistra ha deciso di intestarsene il merito e la guida.
Il vecchio PCI non avrebbe mai commesso un errore così grossolano.
Al contrario si sarebbe sinceramente preoccupato di fronte ad azioni collettive che non aveva organizzato e non era in grado di guidare e gestire.
Quando, per esempio, dalla società civile scaturì il Movimento del ’77 il Partito gli si schierò decisamente contro affrontando anche situazioni violente e rischiando una perdita di popolarità a sinistra.
Fecero premio gli insegnamenti gramsciani contro lo spontaneismo e la necessità di una valutazione politica, sia tattica che strategica, delle parole d’ordine che radunavano quei giovani.
Sotto i portici di via Indipendenza a Bologna, che ieri hanno visto l’aggressione alla Polizia di Stato, i rivoluzionari del ’77 si trovarono contro il Servizio d’Ordine del Partito Comunista.
Sicuramente una parte di quella lucidità (che invece mancò a noi socialisti) nasceva dalla consapevolezza delle zone grigiastre che collegavano l’apparente spontaneità di quei movimenti alle strategie del terrorismo di sinistra che stava per sferrare il suo attacco più violento e deciso al cuore dello Stato.
Quella capacità di attenzione nasceva, insomma, da un effettivo radicamento nella società italiana e nella conseguente capacità di coglierne i movimenti interni, sia realmente autonomi che deliberatamente provocati e guidati con obiettivi ben precisi.
La perdita di questa capacità ha determinato il prevalere dell’inseguimento sfrenato. Inseguiamo tutto purché possiamo usare questa valanga contro i Partiti di governo e costringiamoli quindi a schierarsi contro il Paese reale.
Inseguiamo un movimento chiaramente antisemita sostenuto da una sottocultura diffusa che certamente non contiene nulla di sinistra.
Inseguiamo slogan e striscioni con contenuti che sappiamo comunque non ricevibili e irrealistici.
Inseguiamo una strategia politica che, di tutta evidenza, non ha alcuna possibilità di essere funzionale a una soluzione della crisi.
Inseguiamo, anche se sappiamo di stare lavorando per la guerra e non per la pace.
E, visto che ci siamo, esprimiamo ampia solidarietà a forze e culture politico – religiose che il problema del rispetto verso i diversi comportamenti umani lo hanno già risolto a colpi di pietra.
Poveri inseguitori, poveri inseguitori!
Non sarà stato facile per la CGIL aggiungersi supinamente a sigle para – sindacali con cui sino a ieri non avrebbero preso nemmeno un caffè.
E non sarà stato facile per i post – comunisti marciare dietro a striscioni che equiparano la Resistenza italiana alla strage del 7 ottobre.
E ancora più difficile sarà stato non porsi delle domande su chi ha organizzato tutto questo, su chi ha sostenuto i costi della democratica flottiglia che è andata navigando di bolina per tutto il Mediterraneo consumando ogni giorno più di quel che sosteneva di voler donare.
Ma il peggio doveva ancora venire dalla successiva scoperta che tutto questo inseguimento non ha spostato un solo voto a favore degli inseguitori.
Il passaggio dalla sanguinosa violenza della guerra alla cattiveria delle urne elettorali non sarà stato facile neanche quello.
Eppure è proprio da qui che occorrerebbe ripartire, e non solo a a sinistra.
Ora speriamo che in Toscana le cose vadano meglio dal punto di vista della partecipazione elettorale, ma in Italia ormai vota stabilmente meno del 50% della popolazione.
Non si tratta solo della crisi di un prezioso modello democratico ma della manifestazione di un vuoto politico e di rappresentanza in cui chiunque può infiltrarsi ed agire.
Tutto questo, naturalmente, in un sistema in cui la comunicazione “one to one” è inevitabilmente destinata a crescere sempre di più.
Non per caso la aumentata sensibilità degli italiani si è rivolta verso Gaza e non verso il Sudan o la vicina Kiev.
Non per caso ha assunto la tonalità antisemitica che si sta già ulteriormente imbarbarendo trasformando la parola “ebreo” in un insulto da mormorare strascicando le sillabe.
Qualcuno ha attivamente lavorato ad incanalare in quella direzione le insoddisfazioni e le lamentele che le Istituzioni e i Partiti italiani non esprimono e non portano più alla luce.
E non si illuda, chi oggi è al Governo, che questa problematica possa essere affrontata e risolta con la dissociazione o l’aggravamento minaccioso delle pene.
Tutta la Storia recente mostra come il sentimento di estraneità e non riconoscimento nello Stato non venga minimamente indebolito dalla possibilità di venire punito o addirittura dalla esecuzione delle punizioni stesse.
Colui che oggi ha trasferito (anche strumentalmente) la sua rabbia contro il mondo nella difesa dei finti patrioti di Hamas si sentirà rafforzato quando verrà condannato per una azione che considera di natura politica e tendente alla Liberazione.
Si sentirà ad essi più vicino, oggi tutti repressi e sconfitti.
Ci si deve invece aspettare che tutte le forze politiche e culturali riprendano quel ruolo di interpretazione e lettura approfondita della Realtà che il nostro sistema di rappresentanza democratica ha assegnato loro e che hanno smesso di svolgere.
Che elaborino piattaforme realistiche e non semplici collezioni di insulti agli avversari. Che assumano delle responsabilità rispetto alle loro analisi e alla verificata o meno rispondenza alla realtà.
Che raccolgano e indirizzino correttamente i sentimenti e le pulsioni presenti nella pancia della società civile italiana.
Se non lo sanno più fare possono guardare al Quirinale e copiare quello che quotidianamente fa il nostro Presidente.
Non sbaglieranno niente e pian piano impareranno di nuovo.













Commenti
Una risposta a “INSEGUIRE NON SERVE”
condivido questa analisi lucida e coraggiosa in questo tempo di nuova barbarie