di Beppe Attene
Il nostro Occidente (vale a dire quello europeo) ha appena iniziato a vivere il più complesso cambiamento della sua, pur lunga e variegata, storia. Non si può dire quando l’assestamento finirà e, soprattutto, come finirà.
Ciò deriva dalla contemporanea presenza di nuovi fattori strutturali che si collocano su diversi piani e interagiscono fra loro in maniera non prevedibile.
Il risultato di questa complessa interazione è l’inarrestabile processo di de-territorializzazione del potere istituzionale e politico e della sua inevitabile dialettica con il comparto economico-sociale di appartenenza.
Individuare, ma soprattutto riconoscere ed accettare, questa tendenza non è facile e neppure gradevole.
Tutti noi abbiamo ereditato e recepito come fondante il concetto di “confine” nel senso di luogo fisico, chiamato a definire la nostra identità nazionale sia come Popolo che come Stato.
Il Territorio ci definiva e distingueva gli uni dagli altri ancor prima di altri fattori fondanti come Lingua, Cultura e Religione.
La difesa del Territorio nazionale veniva data come primo e fondamentale compito dei detentori del potere.
Un mese prima della caduta, Mussolini garantisce agli italiani che inchioderà i nemici sul bagnasciuga e ancora una volta conferma il controllo fisico su una parte dello spazio vitale come essenziale per il riconoscimento e il mantenimento della identità nazionale.
Sentimento semplice ma estremamente efficace anche per la sua traducibilità nella esperienza di ciascuno: io esisto sino a quando possiedo e governo uno spazio specifico che mi rende diverso e riconoscibile rispetto agli altri, anch’essi possessori di altre porzioni.
Il concetto di territorialità non si applica soltanto alla affermata invalicabilità dei confini fisici.
Codifica e organizza al suo interno tutti gli elementi costitutivi della società che è ricompresa al loro interno: ovviamente l’economia e le condizioni di vita dei cittadini, ma anche le pratiche di socialità e di organizzazione di vita della popolazione.
Ci fanno simpatia i colorati kilt dei nostri amici scozzesi, ma appunto in quanto definiti territorialmente in una zona dell’Europa che ha fatto della sua specificità geografica un irrinunciabile fattore identitario.
La difesa del territorio viene progressivamente estesa dall’aspetto tecnico-militare alla elaborazione e diffusione di convenzioni e sistemi di valori che però continuano a riguardare i rapporti tra diverse Nazioni.
Siamo tutti impegnati a superare i traumi e i disastri della II Guerra Mondiale, ma paradossalmente questo passaggio importante si fonda e rafforza il rispetto reciproco per le sovranità territoriali delle varie Nazioni europee.
Il concetto di difesa del proprio territorio nazionale è talmente forte e specifico da determinare isolamenti anche su materie delicatissime rispetto alle quali l’atteggiamento delle Nazioni europee dovrebbe essere unico e assoluto.
Prendendo in esempio l’Italia, nel momento della maggiore aggressività del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina il “lodo Moro” consentì ai terroristi palestinesi il libero passaggio sul territorio italiano, con il trasporto e la conservazione dei materiali bellici.
I palestinesi, in rapporto anche con le BR, poterono usare l’Italia come ponte di passaggio per organizzare sanguinosi rapimenti e attacchi negli altri Paesi europei.
L’Italia, in cambio, non subì da quel momento aggressioni.
Cinico, ma efficace.
Su questa concezione, largamente condivisa, si è ora abbattuta una valanga di fattori.
In primo, e fondamentale, luogo la fine della lontananza territoriale come elemento difensivo. È ben vero che, come dimostrò tragicamente l’attentato alle Torri Gemelle del 2001, la colpibilità di obiettivi civili e militari non poteva più essere garantita dalla distanza rispetto ai luoghi dello scontro bellico.
Ma quell’atto terribile non si configurava come una invasione di uno Stato nell’altro con conseguente attacco a obiettivi civili a scopo di demoralizzazione (come per i bombardamenti in guerra).
Ben diverso, e forse rassicurante, è pensare che una Nazione, come l’Ucraina, possa disporre di strumenti bellici in grado di colpire qualunque punto dell’avversario belligerante.
Si è passati in un attimo dalla aggressione russa, condotta nelle modalità della “guerra d’attrito” sul territorio a un’altra dimensione.
E, naturalmente, non occorre dimenticare che anche l’aggressore dispone dei mezzi bellici per spietatamente annullare il concetto stesso di territorio.
Altrettanto determinante sul piano della de-territorializzazione è il composto delle due mutazioni strutturali in atto in economia.
Quella che la nostra illusoria sinistra chiamava allegramente “globalizzazione” è in realtà la contemporanea accumulazione di due potenti modificazioni.
Si tratta della mondializzazione del mercato che si unisce alla completa finanziarizzazione della economia.
In un attimo si modificano tutti i criteri relativi alle forme dello sviluppo economico e alla correttezza in termini territoriali delle possibili operatività.
Mentre il fattore di cui sopra sottrae ai governanti la possibilità della difesa sui confini fisici, questa ulteriore condizione elide gli spazi in cui era possibile elaborare strategie economiche sociali legate agli interessi del territorio.
Si aggiunge a questo quadro la diffusione planetaria di una forma di comunicazione “one to one” che unisce paradossalmente territori e situazioni molto diversi fra loro.
Essa rende molto più difficile la costruzione di atteggiamenti collettivi legati alla espressione di un territorio e della sua cultura.
È in questo contesto che, come vediamo proprio in questi giorni, persone che si professano fortemente libertarie approvano e sostengono l’azione di forze che, se conquistassero il potere, negherebbero voracemente i diritti qui e sin qui acquisiti.
Nel nuovo gioco, ognuno si illude di giocare da solo senza avere bisogno di una appartenenza che lo difenda e identifichi: anche i personali confini sembrano aver perduto il loro originario significato.
Ci chiediamo, nel titolo, se si tratti di un ingorgo che saremo capaci di reggere e superare o non piuttosto un groviglio dove ogni movimento ci porta sempre più dentro il problema.
I primi segni, a guarda l’Europa, non appiono confortanti.
Ma magari di questo un’altra volta.













Commenti
Una risposta a “INGORGO O GROVIGLIO?”
Bellissimo pezzo, complimenti. Inoltre mi ha ricordato la tesi di laurea che elaborai circa cinquant’anni fa dal titolo : Il comportamento animale ed umano sulla base delle strutture neurologiche che lo sottendono, il fenomeno del territorialismo.